Periodo quarto
Capitolo 27 – Gli Ebrei di Èretz Israèl fino al prevalere del Cristianesimo nell’impero romano
Le fonti
Gli ebrei di Èretz Israèl dall’età di Tito a quella di Traiano: a) La popolazione ebraica dopo la distruzione di Gerusalemme; b) Rabbàn Yochanàn ben Zakkài e il centro di Yavnè; c) Rabbàn Gamlièl di Yavnè
Gli ebrei di Èretz Israèl sotto l’impero di Adriano: a) Generalità; b) Progetto per la ricostruzione di Gerusalemme; c) La rivolta di Shim’òn di Kozivà; d) Le persecuzioni di Adriano
Da Antonino Pio a Costantino: a) Da Antonino Pio a Diocleziano; b) Diocleziano e successori
Il sinedrio: a) Rabbàn Shim’òn ben Gamlièl: b) Rabbi Yehudà Hanasì; c) Rabbàn Gamlièl III e R. Yehudà Nesià; d) Rabbàn Gamlièl IV e R. Yehudà III
Le fonti
Per il periodo che ci accingiamo a studiare non abbiamo un racconto continuativo che possa servire di fonte principale, e fonti di altro genere sono piuttosto scarse. Esse sono costituite principalmente da accenni nella letteratura talmudica che, come già abbiamo notato, sono spesso oscuri, e non sempre è facile sapere a che cosa esattamente si riferiscano, e da notizie date incidentalmente da scrittori romani per i quali i fatti interni della Giudea avevano scarsissima importanza. Altre notizie, anch’esse frammentarie, si ricavano dagli scrittori cristiani dei primi secoli e dai cronisti bizantini. Altra fonte è costituita da iscrizioni, da monete e da collezioni di leggi, alcuni articoli delle quali riguardano gli Ebrei. Nel deserto di Yehudà sono stati trovati recentemente alcuni documenti sulla rivolta di Shim’òn di Kozivà, fra cui alcune brevi lettere di questo, contenenti ordini di carattere militare, e armi che forse appartennero al suo esercito.
Gli ebrei di Èretz Israèl dall’età di Tito a quella di Traiano
a) La popolazione ebraica dopo la distruzione di Gerusalemme
Gerusalemme rimase quasi completamente deserta e disabitata, e in essa e nei suoi dintorni stazionavano una legione romana e alcune altre unità militari. A Cesarea risiedeva il comandante delle milizie, che fungeva anche da capo dell’amministrazione del paese. Il territorio divenne proprietà dell’imperatore romano che lo concedeva in appalto a quelli degli antichi suoi proprietari che erano rimasti in vita e non avevano abbandonato il paese; altre terre furono concesse a veterani romani. In genere il governo mostrò la tendenza ad accrescere in Èretz Israèl la popolazione non ebraica.
Il più degli Ebrei che rimasero nella loro terra abbandonarono le città della Giudea e risiedettero nei villaggi sparsi per il paese. Fra le città con popolazione interamente o prevalentemente ebraica nella Giudea sono da ricordare Yavnè e Lod (Lidda). Il più della popolazione ebraica risiedeva in Galilea che, essendo stata conquistata agli inizi della guerra, meno aveva sofferto delle devastazioni prodotte da questa. Nelle rimanenti parti del paese la popolazione pagana era prevalente o esclusiva. Presso Shekhèm fu fondata una città detta Flavia Neapolis (da cui il nome arabo moderno di Nablus) cioè città nuova dei Flavi, nome della famiglia di Vespasiano e suoi primi successori, vi fu eretto un tempio a Giove, e la città diventò centro dei giochi olimpici. Le autonomie locali furono ufficialmente soppresse e gli Ebrei considerati sudditi (dediticii) romani di religione ebraica; ma, dato che essi continuarono, seguendo il consiglio dei Maestri, a sottoporre le loro questioni a loro giudici e non a quelli romani, il governo finì per dare un certo riconoscimento di fatto ai tribunali ebraici, e il capo degli Ebrei residente in Èretz Israèl, detto Nasì, fu poi anche ufficialmente riconosciuto dai Romani.
Sotto Vespasiano e Tito gli Ebrei non subirono persecuzioni; furono però sottoposti a gravi tasse, tra cui il fiscus Judaicus che era per gli Ebrei un avvilimento nazionale e religioso, in quanto essi soli fra i popoli soggetti erano obbligati a questa tassa speciale e perché quel danaro che prima serviva al culto del Tempio di Gerusalemme ora era versato al Tempio di Giove a Roma. La tassa venne riscossa con particolare rigore ai tempi di Domiziano (81-96), fratello e successore di Tito, e ne furono colpiti, oltre che gli Ebrei, anche coloro dei quali risultava, in base a denunce, che seguissero costumi ebraici. In genere, Domiziano perseguitò i Romani che mostravano tendenze all’Ebraismo e forse anche gli Ebrei accusati di cercare di fare proseliti. La situazione migliorò ai tempi di Nerva (96-98) e rimase buona durante i primi anni dell’impero di Traiano (98-117). È probabile che le gravi agitazioni di Ebrei che ebbero luogo durante l’impero di questo in parecchie regioni abbiano avuto qualche ripercussione in Èretz Israèl, ma non se ne hanno notizie precise.
b) Rabbàn Yochanàn ben Zakkài e il centro di Yavnè
Rabbàn Yochanàn ben Zakkài, allievo di Hillèl, appartenne a quel gruppo di persone che ritenevano che la lotta contro Roma sarebbe finita con una sconfitta, e volle agire allo scopo che l’Ebraismo non perisse con la perdita dell’indipendenza politica, da lui prevista come sventura inevitabile.
Ottenuto da Tito di poter istituire a Yavnè un centro di studi, vi raccolse i più autorevoli Maestri della sua generazione che costituirono il nuovo Sinedrio, dopo che quello antico aveva dovuto cessare di agire. Il Sinedrio a capo del quale fu Yochanàn ben Zakkài non ebbe certo l’importanza e l’autorità di quello dei tempi dell’indipendenza e fu privato di ogni autorità politica e limitato anche, come del resto già era fino dai tempi di Pompeo, nelle sue competenze giudiziarie, ma fu ciononostante di eccezionale importanza per quella generazione e le successive. Esso costituì la più alta autorità in materia di rito, e si deve alla sua attività se in certi campi non venne a cessare ogni autonomia della popolazione ebraica; alle sue decisioni si sottomisero non solo gli Ebrei di Èretz Israèl ma anche quelli della diaspora, e così si mantenne l’unità del popolo ebraico che la dispersione minacciava seriamente. All’opera di Yochanàn si deve la continuazione e lo sviluppo della Legge orale. Il Sinedrio di Yavnè prese delle importanti deliberazioni conosciute con nome di takkanòt (disposizioni) di Rabbàn Yochanàn, molte delle quali miravano a far sì che rimanesse vivo nel popolo il ricordo del Tempio e dell’indipendenza e che esso sentisse che la mancanza di esso, la sospensione del culto che in esso si praticava, l’esilio e la dispersione erano cose provvisorie, e che sarebbe venuto il tempo in cui tutto si sarebbe ripristinato come in antico. Fra le attribuzioni più importanti del Sinedrio vi era anche quella di fissare il giorno in cui dovevano cominciare i vari mesi e in quali anni si dovesse aggiungere un mese lunare ai dodici che normalmente costituivano l’anno, cosa che era della massima importanza affinché non avvenisse che nei vari luoghi le ricorrenze venissero celebrate in giorni diversi. Il Sinedrio di Yavnè decise in molti casi le controversie fra la scuola di Hillèl e quella di Shammài, dando il più delle volte la prevalenza all’opinione della prima. Le decisioni del Sinedrio erano in genere prese a maggioranza di voti. I membri del Sinedrio di Yavnè non risiedevano tutti stabilmente in quella città: i più importanti di essi avevano le loro scuole in vari punti del paese, ma di quando in quando si riunivano a Yavnè per discutere e deliberare. Il Sinedrio esercitava la sorveglianza sui tribunali locali e spesso provvedeva alla nomina dei membri di questi o alla approvazione delle nomine fatte nei singoli centri.
c) Rabbàn Gamlièl di Yavnè
A quanto pare, Rabbàn Yochanàn ben Zakkài fu, di fatto, presidente del Sinedrio, in un tempo in cui non ci fu un Nasì ufficiale della famiglia di Hillèl, forse perché a questo si opponevano le autorità romane. In seguito però, e al più tardi dopo la morte di Rabbàn Yochanàn (verso la fine del I sec. E.V.) il Sinedrio centrale, che continuò a risiedere a Yavnè, fu presieduto da Rabbàn Gamlièl II, detto Rabbàn Gamlièl di Yavnè, nipote di Gamlièl I. Egli mirò a rafforzare l’autorità del Nasì allo scopo che il popolo si mantenesse disciplinato nell’uniformarsi alle norme del Sinedrio; per evitare pericolosi contrasti fra i membri di questo che, com’è naturale, erano non di rado discordi nei loro pareri, volle che l’opinione del Nasì avesse valore preponderante. Inoltre egli si mostrò molto rigoroso nell’ammettere alle riunioni del Sinedrio dotti destinati ad esserne in seguito membri. Questo suo atteggiamento suscitò una notevole opposizione in una parte dei membri del Sinedrio, ed egli fu spesso in lotta con alcuni di essi e ne mise al bando alcuni. Le cose giunsero a tal punto che in un certo momento egli venne deposto dalla carica, e in suo luogo fu nominato un altro insigne dotto, El’azàr ben ‘Azaryà. In seguito però si trovò modo di rimetterlo nella sua carica senza privarne del tutto El’azàr che era stato chiamato a sostituirlo.
Fra le disposizioni prese dal Sinedrio sotto la presidenza di Rabbàn Gamlièl sono notevoli alcune che riguardano la liturgia, ed alcune che mirano a separare nettamente gli Ebrei rimasti fedeli alla tradizione dai Giudeo-cristiani. Rabbàn Gamlièl e alcuni dei suoi più autorevoli colleghi fecero dei viaggi a Roma per ragioni di interesse pubblico, che sono forse da mettersi in rapporto con l’atteggiamento ostile del governo ai tempi di Domiziano. In occasione di tali viaggi i dotti ebrei sostenevano talvolta delle discussioni con dotti pagani e cristiani.
Gli Ebrei di Èretz Israèl sotto l’impero di Adriano
a) Generalità
Adriano (117-138), successore di Traiano, non si mostrò nei primi tempi del suo impero ostile agli Ebrei, ma in seguito divenne uno dei più accaniti e crudeli persecutori degli Ebrei e dell’Ebraismo, tanto che, nella coscienza degli Ebrei, è esecrato non meno di Antioco Epifane e di Tito. Mentre questo è all’infuori di ogni dubbio, le notizie che abbiamo nelle varie fonti sono frammentarie, incerte e contraddittorie non solo per quello che riguarda i singoli avvenimenti, ma anche per la loro successione e per i loro rapporti di causa ed effetto. Ci atterremo quindi a quella ricostruzione dei fatti che appare la più probabile.
b) Progetto per la ricostruzione di Gerusalemme
Una delle caratteristiche di Adriano è il suo amore per le costruzioni, e molte città che erano state distrutte o danneggiate dalle guerre sotto gli imperatori che lo precedettero furono da lui restaurate o ricostruite. Fra l’altro, egli decise la ricostruzione di Gerusalemme. Quando gli Ebrei ne ebbero notizia, ritennero che la sua intenzione fosse ridare a Gerusalemme il suo antico splendore e che in primo luogo l’imperatore pensasse alla ricostruzione del Tempio. Gli Ebrei, nei quali era vivo il senso della prossima apparizione del Messia atteso, giubilarono e credettero che l’inizio dell’era messianica fosse giunto. Ma ben presto dovettero ricredersi; era evidente che Adriano pensava sì di costruire nel luogo dell’antica Gerusalemme una splendida città, ma non intendeva che questa fosse una città ebraica col Tempio consacrato al culto dell’unico Dio, ma una città di carattere interamente pagano, come tante altre, popolata da pagani, con santuari dedicati alle divinità che gli Ebrei aborrivano.
c) La rivolta di Shim’òn di Kozivà
L’esasperazione degli Ebrei giunse allora al colmo, e quel desiderio di scuotere il giogo romano, che non aveva mai cessato di covare nell’animo di molti, indusse il popolo alla rivolta armata che diventò presto una vera e propria guerra. I consigli di alcuni Maestri, tra cui Yehoshùa’ figlio di Chananyà, allievo di Yochanàn Ben Zakkài e noto per le sue controversie con Rabbàn Gamlièl, i quali raccomandavano la calma e la rassegnazione, non furono ascoltati ed altri Maestri, tra i quali ‘Akivà, allievo di Yehoshùa’ e del suo contemporaneo Eli‘èzer figlio di Ircano, incoraggiavano l’azione, dai risultati della quale speravano i migliori successi.
La rivolta scoppiò nel 132, al ritorno dell’imperatore a Roma dopo i suoi viaggi in Egitto e in Siria. Capo ed eroe della lotta fu Shim’òn di Kozivà, nel quale ‘Akivà riconobbe dei segni che gli fecero ritenere potesse essere il Messia liberatore che in quei tempi era vivamente atteso. Avendo egli applicato a Bar Kozivà un verso della Torà che annuncia l’apparizione di una stella simboleggiante il liberatore d’Israele (Numeri 24:17) il capo dei rivoltosi fu dai suoi seguaci designato come Bar Kokhvà (“figlio della stella”). Gli insorti occuparono alcune fortezze, posizioni favorevoli e grotte nelle quali si nascosero e iniziarono operazioni di guerriglia contro i Romani. Essi riuscirono a prendere Gerusalemme, vi dominarono per qualche tempo, forse vi ripristinarono il culto dei sacrifici e coniarono monete che portano il nome di Shim’òn di Kozivà designato come Nasì, e sono datate secondo gli anni della “libertà”. Alcune recano anche il nome di un Sommo Sacerdote El’azàr. Il governatore romano Tinneo Rufo si mostrò impotente a sedare la rivolta, e allora Adriano mandò a combattere contro gli insorti il valoroso generale Severo che si era segnalato in Britannia. Adriano stesso fu presente per qualche tempo nei campi di battaglia. La guerra durò circa tre anni, con gravi perdite da ambo le parti. Nonostante il valore degli Ebrei, essi non poterono resistere all’assedio che fu posto a Gerusalemme, ne dovettero uscire e la città tornò ad essere in mano dei Romani. Cominciarono allora i lavori per la ricostruzione della città secondo i disegni di Adriano e, conformemente al costume romano, fu fatto passare l’aratro sul terreno, a mostrare la definitiva distruzione dei residui dell’antica città e l’inizio della nuova costruzione (9 av 134).
Bar Kozivà e quello che restava del suo esercito si chiusero nella fortezza di Betàr, a sud-ovest di Gerusalemme. Ma neppure in essa poterono resistere a lungo, e Betàr cadde un anno dopo. Quelli dei suoi difensori che non morirono di fame durante l’assedio furono massacrati dai Romani. Si dice che perirono centinaia di migliaia di Ebrei, ed anche i Romani subirono gravissime perdite. A quanto pare, alla caduta della fortezza contribuirono Samaritani e forse Cristiani che svelarono un passaggio sotterraneo.
La Giudea rimase in gran parte desolata e deserta. Alla nuova città costruita nel luogo dell’antica Gerusalemme fu dato il nome di Elia Capitolina, in onore dell’imperatore che si chiamava Elio Adriano, e vi furono costruiti dei templi pagani e teatri. Nel luogo del Tempio fu elevato un tempio consacrato a Giove Capitolino. In una delle porte della città fu collocata la statua di un cinghiale, emblema delle legioni romane che stanziavano a Gerusalemme. Agli Ebrei fu vietato l’ingresso a Gerusalemme: solo una volta all’anno, il 9 di av, molti di essi riuscivano, corrompendo con denaro i guardiani, a recarsi a piangere nel luogo dove era stato il Tempio.
d) Le persecuzioni di Adriano
Adriano, istruito da quel che era avvenuto dopo la distruzione del Tempio, comprese che neppure con la fine disastrosa della rivolta di Bar Kozivà la nazione ebraica era stata annientata, che finché questa esisteva erano sempre da aspettarsi nuove rivolte, e che, per annientarla, era necessario toglierle quello che costituiva, assai più delle armi, la sua forza, che occorreva cioè colpirla nell’osservanza della Torà; e rinnovando in parte il tentativo di Antioco Epifane, proibì la circoncisione (facendola considerare come una forma di castrazione, vietata dalle leggi romane), l’osservanza del sabato, lo studio della Torà; non cercò però di obbligare gli Ebrei a prestare culto alle divinità pagane. La resistenza ebraica fu tenacissima, e numerose furono le vittime. Tra queste, alcuni dei più insigni Maestri come R. ’Akivà, R. Yishma’èl, R. Chaninà figlio di Teradyòn, che furono messi a morte dopo crudeli supplizi per aver continuato l’insegnamento della Torà. Allo scopo di distruggere quel poco che ancora rimaneva di autonomia ebraica grazie all’opera del Sinedrio di Yavnè, Adriano proibì la semikhà. Ma Yehudà figlio di Bavà trasgredì segretamente a questo ordine, e diede la semikhà ad alcuni allievi di R. ’Akivà; anch’egli, scoperto, fu ucciso dopo atroci tormenti. Il complesso di Maestri che furono messi a morte dai Romani, in vari tempi, e specialmente in quelli di Adriano, è designato, dalla tradizione ebraica, come ’asarà harughè malkhùt (i dieci uccisi dal governo).
Da Antonino Pio a Diocleziano
a) Da Antonino Pio a Diocleziano
Con la morte di Adriano e l’ascesa al trono di Antonino Pio (138-161) cessarono di avere vigore le disposizioni che vietavano l’osservanza e lo studio della Torà: rimasero in vigore il divieto di andare a Gerusalemme e quello di circoncidere chi non era ebreo di nascita. Però anche per il tempo del suo impero e di quello di Marco Aurelio (161-180) e del suo collega Lucio Vero si ha notizia di qualche persecuzione. Con queste debbono, a quanto pare, collegarsi le tradizioni relative a R. Shim’òn ben Yochài che rimase nascosto per molti anni in una grotta. Forse le persecuzioni ebbero luogo perché, nelle lotte dei Romani contro i Parti, gli Ebrei mostrarono di parteggiare per questi ultimi.
Per alcuni anni mancano quasi del tutto le notizie. L’imperatore Caracalla (211-217) che concesse diritto di cittadinanza romana agli abitanti di tutte le province, non ne escluse gli Ebrei; sotto Eliogabalo (218-222), per quanto i Romani lo accusassero di tendenze verso l’Ebraismo, e persino di essersi fatto circoncidere, agli Ebrei di Èretz Israèl furono imposte nuove gravezze fiscali. Particolarmente benevolo verso gli Ebrei si mostrò Alessandro Severo (222-235), che confermò tutti i diritti che imperatori precedenti avevano accordato agli Ebrei; egli poi, nativo di Siria, mostrò di avere subìto notevole influenza dall’Ebraismo e dal Cristianesimo. Durante il lungo periodo di disordini e quasi di anarchia che attraversò l’impero romano (235-285) pare esso non si sia occupato di Èretz Israèl e gli Ebrei ne approfittarono per rafforzare quel tanto di autonomia che era loro rimasto. Nulla di notevole sappiamo di avvenimenti successivi fino a Diocleziano.
b) Diocleziano e successori
Diocleziano (285-305), per quanto sia stato persecutore di Cristiani, non pare si sia mostrato ostile agli Ebrei: durante un suo viaggio in Èretz Israèl non pretese da loro come da altri, compresi i Samaritani, che compiessero atti di culto pagano, e si sono conservate tradizioni di un suo incontro coi capi degli Ebrei, durante il quale questi gli avrebbero dimostrato l’infondatezza di calunnie che loro nemici avevano sparse. Sta poi il fatto che nella seconda metà del sec. III tornarono a fiorire in Giudea alcune comunità ebraiche, a Cesarea, Lod e altrove. Per quanto non fosse stato ufficialmente abrogato il divieto di recarsi a Gerusalemme, consta che, di fatto, non pochi Ebrei la visitarono in occasione delle solennità.
Il Sinedrio
a) Rabbàn Shim’òn ben Gamlièl
Le persecuzioni di Adriano impedirono naturalmente al Sinedrio di funzionare. Cessate quelle, era impossibile ricostituirlo nella sua sede primitiva, dato lo stato di desolazione in cui si trovava la Giudea, e l’autorità centrale si trasferì in Galilea. I dotti più celebri del tempo, allievi di R. ‘Akivà, alcuni dei quali ritornarono in Èretz Israèl dopo essersi rifugiati altrove per qualche tempo, furono R. Meìr, R. Shim’òn figlio di Yochài, R. Yehudà figlio di ’Ilài.
Il Sinedrio ebbe sede nella cittadina di Ushà sotto la presidenza del Nasì Rabbàn Shim’òn figlio di Rabbàn Gamlièl di Yavnè. Anch’egli fu, come il padre, talvolta in lotta contro gli altri Maestri e, come lui, cercò di rafforzare l’autorità del Nasì. Tra i suoi oppositori sono da ricordare il già menzionato R. Meìr e R. Natàn. Questi finì per riconciliarsi con Rabbàn Shim’òn, mentre R. Meìr si staccò dal Sinedrio di Ushà e fu capo di una scuola a parte presso Tiberiade. Rabbàn Shim’òn agì energicamente per ottenere che cessasse di funzionare un Sinedrio che, durante la sospensione dell’attività di quello di Èretz Israèl, si era costituito in Babilonia, nella città di Pakòd, presso Nearde’à, dove alcuni dotti si erano rifugiati. Questo Sinedrio, presieduto da R. Chananyà, figlio di un fratello di R. Yehoshùa’ figlio di Chananyà, si era attribuito tutte le prerogative di quello di Èretz Israèl, anche quella di fissare il calendario. La continuazione della sua attività, dopo che un nuovo Sinedrio si era costituito in Èretz Israèl, avrebbe compromesso l’unità del popolo, e Shim’òn riuscì ad eliminarlo, non senza incontrare gravi opposizioni in Babilonia.
b) Rabbi Yehudà Hanasì
Il Sinedrio raggiunse il più alto grado di autorità e di importanza sotto la presidenza di R. Yehudà (165-210) figlio di Rabbàn Shim’òn ben Gamlièl, designato anche come R. Yehudà Hanasì, o Rabbènu Hakadòsh (il Santo), o, per antonomasia, Rabbi. Il Sinedrio, dopo essersi trasferito in vari luoghi della Galilea, ebbe la sua sede a Tzipporì (Sefforis), luogo di residenza del Nasì, che vi si era stabilito per ragioni di salute. Senza incontrare i contrasti che ebbero luogo al tempo dei suoi predecessori, R. Yehudà Hanasì riuscì ad affermare l’autorità del Sinedrio e del suo capo non solo in Èretz Israèl, ma anche nella diaspora. Egli poi si rese celebre, oltre che per la redazione della Mishnà, per la sua ricchezza e per la sua generosità. Fu pure in rapporti con un imperatore romano della famiglia degli Antonini, forse Marco Aurelio. Venne sepolto con grandi onori a Bet She’arìm, dove sono state in questi ultimi anni scoperte delle tombe che, a quanto pare, costituivano il sepolcro della famiglia dei Nesiìm.
c) Rabbàn Gamlièl III e R. Yehudà Nesià
Poco sappiamo dell’attività del Sinedrio sotto Rabbàn Gamlièl III (210- 230 circa) figlio di R. Yehudà Hanasì. Sotto il figlio di lui (230-286), che portava il nome del nonno e che, per distinguerlo da questo, si suole designare come Nesià, anziché Nasì, il Sinedrio ebbe di nuovo un periodo di grande importanza; oltre a emanare disposizioni di carattere interno, tornò di fatto, senza opposizione da parte dei Romani, a funzionare pienamente come tribunale, tanto che pronunciò perfino delle sentenze di condanna capitale. Durante gli imperi di Alessandro Severo e di Diocleziano furono frequenti e amichevoli i rapporti fra il Nasì e le autorità romane. A partire dai tempi di R. Yehudà Nesià la sede del Sinedrio fu a Tiberiade, che diventò uno dei più importanti centri ebraici.
d) Rabbàn Gamlièl IV e R. Yehudà III
Dopo la morte di R. Yehudà Nesià pare che il Sinedrio abbia iniziato la sua decadenza; sta il fatto che quasi nessuna notizia abbiamo del tempo (286-330) in cui fu presieduto da R. Gamlièl IV e R. Yehudà III, rispettivamente figlio e nipote di R. Yehudà Nesià. È da ritenersi che esso si occupasse esclusivamente di affari di ordinaria amministrazione. Doveva trovarsi anche in condizioni difficili dal punto di vista finanziario, tanto che spesso suoi inviati intraprendevano viaggi per raccogliere offerte.