Nella Parashà di Balak impariamo che non sempre la guerra si combatte con la spada. A volte si combatte con la lingua: quanto sia potente questo strumento, è sempre più evidente in questo tempo. Ci sono parole che guariscono, e parole che colpiscono. Ci sono benedizioni che si mostrano come oro lucente, e benedizioni che si travestono di spine per essere indenni dalle mani gelose degli accusatori celesti, che vorrebbero sradicarle. Nel Talmud si racconta una storia sottile come un filo di seta:
I figli di Rabbì Shimon salirono dai Maestri, Rabbì Yonatan e Rabbì Yehuda, in cerca di parole buone. Speravano in frasi benefiche come rugiada, ma ricevettero sentenze dure: “Che tu semini e non raccolga, che tu entri e non esca, la tua tavola sia confusa…”. Ritornarono dal padre, col cuore agitato come mare d’inverno. Rabbì Shimon sorrise: “Non temete. Queste parole sono gemme travestite. Nei cieli pendeva un’accusa su di voi. Se vi avessero benedetto apertamente, la benedizione non sarebbe potuta accadere, sarebbe stata bloccata. Così l’hanno velata di spine, e così vi è arrivata intatta: Seminerai e non raccoglierai significa avrai figli che vivranno e che non moriranno giovani; Che tu entri e non esca, sono delle figlie sposate senza vedovanza; la tua tavola sarà confusa, significa avrai una casa piena di bambini, feste e rumore e così via (si veda Moed Katan 9b sulle altre benedizioni).