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Cultura ebraica a tutto campo

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Maamàr

מאמר Articoli scientifici su argomenti specializzati

Un’antica parodia  del pregiudizio

Il Targum Shenì aramaico di Ester 3, 8.

Introduzione

Il witz ebraico non è un’invenzione di Woody Allen. L’ironia, in quanto contiene una contrarietà che suscita ilarità e per questo si presta a esprimere una critica, assolve a una fondamentale funzione etica: consente di esprimere liberamente un giudizio senza offendere, mascherandolo dietro parole di apprezzamento. “Non significa che se uno riceve un’offesa debba rimanere fermo come una pietra per non controbattere, come se in questo modo avvalorasse le accuse rivoltegli… Piuttosto è opportuno che il saggio risponda dolcemente con ironia senza tuttavia adirarsi, perché ‘l’ira alberga in grembo agli stolti’” (Qohelet 7, 9; Sefer ha-Chinnukh, Prec. 338, “Non offendere”). L’ironia nei confronti dei potenti trova forse la sua massima espressione ebraica nella Meghillat Ester: il re Achashverosh pretende di dominare su tutto il suo vasto regno “in modo che ognuno sia padrone in casa sua” ma in definitiva non riesce a farsi obbedire neppure dalla moglie: in quell’occasione si fece suggestionare a prendere sotto l’effetto del vino una decisione di cui, appena risvegliatosi la mattina dopo, ebbe a pentirsi. E così Haman adorava se medesimo come un dio al punto di far approvare dal re, contro i suoi stessi interessi economici, la decisione di sterminare un intero popolo per un’offesa personale. Ma l’ironia diventa acuta allorché è diretta verso il soggetto e sa trasformarsi in autoironia. Allora possiamo ironizzare sui nostri difetti accertati, ma anche su quelli presunti, anziché adirarci contro chi ce li attribuisce. La forma più alta, infine, è manifestata da chi riesce a ridere persino delle proprie sventure.

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