Capitolo 12 – La vita e le istituzioni israelitiche prima dell’esilio babilonese
Le fonti
La vita privata: a) Città e villaggi; b) Abitazioni comuni; c) Palazzi e abitazioni di lusso; d) Arredamento; e) Vestiario e abbigliamento; f) Igiene e cura del corpo; g) Alimentazione; h) Divisione del tempo e calendario
La famiglia: a) Organizzazione della vita familiare; b) Matrimonio e usi nuziali; c) Divorzio; d) Levirato; e) I figli; f) Eredità; g) Usi funebri e sepoltura
La vita economica. Occupazioni degli antichi israeliti: a) Pastorizia; b) Agricoltura; c) Industria; d) Commercio, mezzi di comunicazione, pesi e misure; e) Navigazione
La vita sociale, civile e politica: a) Passaggio dallo stato nomade allo stato sedentario; b) La schiavitù; c) Delitti e pene; d) La monarchia; e) Amministrazione della giustizia; f) Autonomie locali; g) Disparità sociali; h) La corte reale; i) La guerra e l’arte militare
La vita intellettuale e spirituale: a) La scrittura e la letteratura: b) Cognizioni a credenze degli antichi Ebrei sul mondo e sugli esseri che vi si trovano; c) Scienze speculative; d) Arti; e) Il culto pubblico; f) Atti religiosi individuali: Nazirei e Rechabiti; g) Credenze sui defunti; h) La profezia
Le fonti
Sul modo di vivere e sulle istituzioni del nostro popolo prima dell’esilio babilonese possiamo farci un’idea da quello che si rileva dai libri biblici, e da oggetti e residui di edilizi, appartenenti, secondo gli archeologi, a quel periodo, che vennero trovati negli scavi. In parte ci può anche servire quello che sappiamo su epoche posteriori, quando non ci sia ragione di ritenere che siano avvenuti dei cambiamenti, o su popoli antichi affini al popolo d’Israele abitanti in Èretz Israèl o in territori confinanti con essa.
La vita privata
a) Città e villaggi
Gli Israeliti, entrati nel paese di Kanà’an e abbandonata la vita nomade, si stanziarono in buona parte nelle città già costruite che trovarono in quel paese.
Le cosiddette città cananee che gli Israeliti trovarono al momento della conquista non erano in realtà che dei villaggi, costituiti da una fortezza, situata in luogo elevato, circondata da poche abitazioni, addossate le une alle altre, in mezzo alle quali si transitava per angusti vicoli e passaggi. La scelta del luogo per la costruzione di tali città era determinata, oltre che da ragioni strategiche, dalla necessità che esse fossero in prossimità di sorgenti di acqua. Nelle città poi erano costruite cisterne, che dovevano assicurare il rifornimento di acqua per i casi in cui, specialmente durante gli assedi, non fosse possibile avere quella di sorgente. Per ottenere il medesimo scopo già gli antichi Cananei, come poi gli Israeliti, costruirono delle gallerie sotterranee per l’introduzione delle acque di sorgente nelle città.
Queste erano circondate di mura, lo spessore delle quali raggiungeva talvolta in qualche punto parecchi metri. Come materiali di costruzione per tali mura erano usati terra, macigni, pietre minute, legno, mattoni, variamente mescolati. Nei punti più deboli le mura erano munite di torri che si elevavano variamente al di sopra delle mura; esse erano massicce o fornite di camere interne. Si entrava nella città per mezzo di porte che di notte e in caso di pericolo venivano chiuse; presso le porte si amministrava la giustizia e si tenevano le riunioni di popolo ed i mercati. Alcune città, oltre che le mura all’intorno, avevano delle cittadelle interne: si scoprirono i resti di alcune fortezze cananee e di altre che sono del periodo della monarchia israelitica fra il X e ### VEDERE DATE ESATTE secolo.
Fra le antiche città cananaiche sono specialmente notevoli Ta’anàch, Meghiddò, Ghèzer; fra le città che acquistarono importanza o che furono fondate durante il periodo israelitico, ricorderemo, oltre alle residenze reali di Gerusalemme, Tirtzà e Samaria, quelle di Sichem, Lakhish, Penuel, Ramà; Yizre’èl fu, al tempo di Achàv, una seconda residenza reale.
b) Abitazioni comuni
Le case private di costruzione più antica erano fabbricate con mattoni o con pietre non squadrate, tenute insieme da un cemento di fango. I muli erano assai spessi in proporzione alle dimensioni delle stanze, ora isolate e ora in comunicazione fra di loro, che raramente superavano la superficie di pochi metri quadrati. L’aria e la luce non vi penetravano che attraverso la porta: qualche apertura si trovava talvolta sul soffitto o nella parte più alta delle pareti. Il suolo di tali abitazioni era generalmente di argilla battuta o di un intonaco primitivo, qualche volta di cemento; i pavimenti veri e propri non si trovavano che in edifici pubblici, palazzi o fortezze. Le pareti erano rivestite di intonaco di argilla fina o mescolata con paglia e calce. Il focolare della casa cananea era costituito da una cavità nel suolo, con le pareti intonacate di creta. Queste case erano naturalmente ad un solo piano. Le case comuni non dovettero, nel periodo israelitico, differenziarsi notevolmente da quelle che erano le case cananee trovate dagli Israeliti al tempo della conquista.
I tetti, a terrazzo, e costruiti in modo da raccogliere e far pervenire nelle cisterne l’acqua piovana, servivano come luogo di riposo, di rifugio, di osservazione. Talvolta vi si compivano anche degli atti che si voleva fossero osservati dal popolo radunato nella via sottostante; gli Ebrei dediti al culto degli idoli vi costruivano pure degli altari in onore probabilmente delle divinità astrali.
Nelle case ebraiche di struttura meno semplice e primitiva era comune l’esistenza di una cameretta superiore, destinata al riposo, all’isolamento, all’alloggio di ospiti di riguardo: tale cameretta era probabilmente costruita sul tetto, del quale occupava una parte.
c) Palazzi e abitazioni di lusso
Ben diverse, come già sappiamo, furono le costruzioni di lusso che, a cominciare dai tempi di Davìd, si eressero. Gli esempi del re furono ben presto seguiti dai ricchi, che si fecero costruire dei palazzi con pietre squadrate, marmi preziosi e legnami di pregio, tra i quali specialmente il cedro del Libano, o delle case più ampie e di struttura più complicata di quelle antiche. Queste ultime, a due o più piani, erano probabilmente formate da un atrio quadrato, nel quale si trovava un pozzo o una cisterna; in questo atrio poi si aprivano le varie stanze, fornite di finestre.
Nelle case signorili si distinguevano la sala per i pasti e le feste, delle camere da letto, degli appartamenti estivi ed invernali; questi ultimi erano riscaldati per mezzo di un braciere collocato in mezzo alla stanza. Il pavimento nelle case di lusso era spesso di legno di pregio: le pareti di tali case avevano fregi d’avorio e forse negli ultimi tempi erano talvolta ornate di pitture.
d) Arredamento
Il mobilio era essenzialmente costituito da una tavola, un letto o divano, un sedile e un lume. I letti, forniti di coperta, di materasso e di guanciali, erano, nelle case dei ricchi, sontuosamente ornati con drappi, colonne di metalli preziosi, avorio. I lumi, ad una o più fiaccole, erano esclusivamente a olio con lucignolo; la gente modesta li aveva di terra, i ricchi di metallo. Ogni casa aveva poi, oltre alle stoviglie di terra, di legno o di metallo, un mulino a mano, costituito da due pietre, fra le quali si mettevano gli alimenti da macinare.
e) Vestiario e abbigliamento
Gli abiti erano di pelle, di lino o di lana. L’abbigliamento dell’antico israelita era costituito da un vestito inferiore generalmente di lino, che doveva giungere fino alle ginocchia ed era fornito di cintura e di maniche; era questo una specie di tunica o camicia. Sopra di questa si indossava un abito di forma quadrangolare, una specie di mantello. Quest’ultimo, per i poveri almeno, serviva anche da coperta da letto nella notte. L’abito superiore femminile differiva senza dubbio da quello maschile, ma in che cosa precisamente la differenza consistesse, non sappiamo. L’uso dei calzoni non era generale; comune l’uso dei sandali ai piedi. La copertura del capo era costituita da una specie di turbante.
Quali abiti non indispensabili, ma usati da ricchi o da persone per qualche rispetto ragguardevoli, ci sono noti specialmente: l’efòd, abito sacerdotale, il mantello di re e profeti, talvolta, specialmente presso questi ultimi, di pelliccia, i calzoni, usati specialmente dai sacerdoti, e vari abiti femminili di cui è difficile determinare con esattezza la forma e l’uso; le donne dovevano fra l’altro usare un velo, col quale in certi casi si coprivano la faccia; non pare però vigesse neppure in tempi antichi, fra gli Ebrei, come presso altri popoli orientali semitici, l’uso che le donne non si mostrassero mai a viso scoperto.
Quali oggetti complementari al vestiario, troviamo presso gli uomini il bastone e l’anello munito di sigillo. Molti sigilli furono trovati negli scavi. I re ed altri personaggi di gran riguardo solevano portare collane e braccialetti d’oro.
Quale fosse, negli ultimi secoli anteriori all’esilio, l’abbigliamento degli uomini di riguardo, può esserci indicato dalle figure di Israeliti che si trovano nell’obelisco del re assiro Salmanassar dell’anno 842. Il vestiario è costituito da un abito inferiore con maniche, sopra al quale sta un abito con ricche guarnizioni, chiuso sul davanti e aperto sul lato sinistro e con un passaggio per il braccio sul lato destro. Gli uomini hanno capelli lunghi e barba piena; una specie di scialle copre il capo e scende sulle spalle; le scarpe hanno la punta rivoltata.
I monili femminili, che nei tempi più antichi consistevano in orecchini, braccialetti, pendagli al naso, diventarono poi numerosissimi e complicatissimi; e il profeta Isaia, rimproverando il lusso smodato delle donne del suo tempo, fa un lungo elenco di monili e di oggetti di toeletta che non è facile determinare con precisione che cosa fossero. Elemento essenziale della toeletta femminile era costituito da una specie di belletto col quale le donne si tingevano di scuro le palpebre. Esse si servivano di specchi di metallo ben levigato.
f) Igiene e cura del corpo
Gli antichi Israeliti erano, in generale, sani e robusti. Le malattie venivano curate con modi empirici: di medici, nel vero senso della parola, non si hanno che tracce scarsissime.
Tra le malattie è in modo particolare ricordata quella chiamata tzarà’at, che è dubbio se vada identificata, come si pensava un tempo, con la lebbra. Si cercava di isolare questa malattia: chi ne era colpito entrava in stato di impurità rituale. L’esecuzione delle prescrizioni tendenti ad isolare la lebbra, che giungevano fino al punto di demolire, in certi casi, le abitazioni infette, era affidata ai sacerdoti.
La pulizia personale doveva essere abbastanza curata dagli antichi Ebrei, che facevano frequenti abluzioni, le quali avevano spesso anche carattere rituale; non si ha traccia nell’antico Israele dell’esistenza di bagni pubblici, ma i bacini per le abluzioni dovevano trovarsi abitualmente nelle case. Oltre all’acqua, si faceva uso, almeno nei tempi antichi, di una specie di sapone. Assai in uso erano oli, spesso profumati, con cui si solevano ungere la pelle e i capelli.
g) Alimentazione
L’alimentazione, nei tempi più antichi e di maggior semplicità, consisteva essenzialmente in cereali abbrustoliti, in pane di orzo o di grano, generalmente fermentato, e latticini. Accanto al pane troviamo usati come cibo frutta, aglio, cipolla, cetrioli, varie specie di erbe; erano pure usate focacce di frutta compressa. Ingredienti quasi esclusivi della cucina erano sale, olio e farina. Il miele, di cui il paese è detto, al pari del latte, stillante, era pure abbondante e d’uso comune. Di carne, arrostita o lessa, e di vino, le persone comuni facevano uso soltanto in occasione delle grandi solennità annuali, in cui si celebravano i sacrifici festivi. Solo più tardi, con l’introduzione del lusso e della raffinatezza nel periodo posteriore a Shelomò, divennero comuni.
Gli animali delle carni dei quali si cibavano anticamente gli antichi Ebrei erano quelli permessi dalla Torà. La caccia, per quanto non del tutto sconosciuta, non doveva essere molto esercitata.
Il pasto principale pare fosse quello di mezzogiorno. Mangiando gli Ebrei stavano o seduti a terra o in sedili, o distesi sui divani; il primo uso è forse più antico, il secondo proprio dei tempi di maggior raffinatezza. Uniche stoviglie da tavola pare fossero varie specie di piatti e i coltelli; cucchiai e forchette erano usati soltanto per la preparazione dei cibi. Per la cottura si adoperavano pentole, caldaie e paioli di terra e di metallo.
h) Divisione del tempo e calendario
Quanto alla divisione del tempo, la giornata cominciava e finiva per gli antichi Israeliti al calar del sole; il giorno era diviso in tre parti principali: mattino, mezzogiorno e sera; la notte era parimenti divisa in tre parti; sette giorni formavano una settimana. Il mese andava da un novilunio all’altro; l’anno era formato da dodici mesi lunari. Certamente si dovette fin dai tempi più antichi accordare in qualche modo questo anno lunare con quello solare, che, come è noto, è di circa 11 giorni più lungo, dato che le ricorrenze, in date fissate secondo il calendario lunare, dovevano cadere in determinate stagioni; non sappiamo però con quale mezzo questo accordo fosse raggiunto nei tempi più antichi. Prima dell’esilio babilonese, i mesi venivano generalmente indicati col loro numero d’ordine, considerandosi come primo quello il cui inizio era prossimo all’equinozio di primavera (marzo-aprile).
La famiglia
a) Organizzazione della vita familiare
Per quel che riguarda la vita familiare è da mettersi in rilievo la posizione onorevole della donna, se confrontata con quella che essa aveva presso gli antichi popoli orientali. Nel complesso essa doveva, nella vita domestica, essere in condizione di uguaglianza rispetto all’uomo. A questo, o direttamente o per mezzo degli schiavi, spettavano i lavori agricoli e faticosi, e in generale quelli da farsi fuori di casa; alla donna, coadiuvata, se ricca, dalle schiave e dalle ancelle, i lavori domestici, la filatura, la tessitura. Il gran numero dei figli, specialmente maschi, era considerato come il maggior bene e come lo scopo essenziale del matrimonio.
b) Matrimonio e usi nuziali
Il matrimonio aveva luogo di regola assai presto, ed era spesso concluso dalle famiglie dei futuri sposi: talvolta però le nozze nascevano da diretta conoscenza di questi. Lo sposo dava al padre della sposa il mòhar, una donazione in danaro o in natura e talvolta anche a mezzo di prestazioni personali. Giunto il tempo del matrimonio la sposa, attorniata dalle sue amiche, ornata e profumata, attendeva lo sposo che, accompagnato dai suoi amici, si recava a prenderla nella casa del suocero e poi la conduceva a casa sua in mezzo a suoni e canti. Gli sposi ricevevano auguri e benedizioni dai parenti, e i festeggiamenti duravano parecchi giorni con banchetti, canti, danze, suoni e giochi.
La poligamia, escluso il matrimonio con due sorelle, era praticata, ma raramente, e comunque di rado le mogli superavano le due; soltanto i re, Davìd e Shelomò certo, e forse anche alcuni dei loro successori, avevano un vero e proprio harem all’orientale. I matrimoni fra parenti, esclusi quelli vietati dalla Torà, erano comuni. Le unioni con donne straniere erano disapprovate.
c) Divorzio
La rottura del vincolo coniugale era generalmente ammessa, ma pare fosse raramente praticata; antico è l’uso, confermato sulla Torà, di redigere per iscritto uno speciale documento di ripudio. Dopo il divorzio entrambi i coniugi diventano liberi; se però la donna si risposa, è vietato al primo marito di riprenderla dopo il divorzio o la morte del secondo marito.
d) Levirato
Caso speciale di matrimonio è il cosiddetto levirato (yibbùm), per cui la vedova senza prole, se vuole risposarsi, deve sposare il fratello del defunto marito, a meno che questo fratello dichiari di non volerla. Salvo che in questo caso, la donna resta libera con la morte del marito.
e) I figli
Appena nato un figlio o una figlia, il padre o la madre gli davano il nome, composto talvolta col nome di Dio, esprimente un augurio o ispirato alle circostanze che avevano accompagnato la nascita; non erano rari i nomi di animali; i maschi venivano poi circoncisi; la madre restava per varie settimane in istato di impurità.
L’allattamento veniva praticato il più delle volte dalla madre, talvolta da una nutrice, e durava non meno di un anno, spesso due o più. Lo svezzamento era festeggiato in modo particolare.
L’educazione e l’istruzione venivano impartite in famiglia; per l’antico Israele non si hanno prove sicure dell’esistenza di scuole o di luoghi di educazione collettiva; qualche indizio fa però ritenere che, almeno dal sec. IX in poi, ne esistessero. In che cosa particolarmente fossero istruiti e in che modo educati i fanciulli, non sappiamo.
f) Eredità
L’eredità spettava ai soli figli maschi; in mancanza di questi, alle femmine; in mancanza di prole, al padre, se superstite, o, in caso diverso, ai fratelli del defunto, o, quando anche questi mancassero, ad altro parente quanto più stretto fosse possibile. Nella generazione che prese possesso del paese, la figlia che ereditava non contraeva matrimonio con persona appartenente ad altra tribù, allo scopo che si mantenesse intatto il possesso di terreno assegnato a quella a cui essa apparteneva per nascita. Al figlio primogenito spettava il doppio di quanto toccava a ciascuno dei fratelli: in nessun caso il padre poteva dare tale preferenza ad altro dei figli.
g) Usi funebri e sepoltura
Vive erano presso gli antichi Ebrei le manifestazioni di lutto, in caso di decesso di persone care; esse consistevano nella lacerazione dei vestiti, nel digiuno, nel mettere cenere sul capo, nel coricarsi a terra, nel coprirsi col manto il volto fino alla bocca. Le donne in particolare solevano emettere alte grida in caso di decessi, ed esistettero, almeno dai tempi del profeta Yirmiàhu, delle donne che avevano questo speciale incarico.
Gli scavi archeologici hanno messo alla luce un buon numero di tombe palestinesi dell’epoca cananaica e israelitica anteriore all’esilio. Queste sono costituite da grotte naturali o da cavità artificiali, nelle quali si penetra generalmente per mezzo di un foro praticato sul soffitto della cavità, più raramente per mezzo di una porta situata in una parete laterale, presso il soffitto. I cadaveri venivano collocati sopra dei piani rialzati, erano poi ricoperti da pietre e terra. Spesso parecchi cadaveri erano disposti in una medesima caverna, in piani uno al di sopra dell’altro, od anche entro cavità praticate nel suolo della caverna. Presso i resti dei cadaveri si trovano, nella maggior parte delle tombe, vasi di terra in gran quantità, lampade, avanzi di cibo, armi, oggetti di ornamento, idoli, spesso in forma di animali; in tombe che presentano caratteri alquanto diversi e che sono costruite in muratura, mancano gli idoli e quasi del tutto gli oggetti di terra, sostituiti da vasi d’argento e di alabastro. Tutto ciò fa ritenere come probabile che gli Israeliti entrati in Kanà’an abbiano, nel complesso, adottato gli usi funerari dei Cananei: non è possibile distinguere, fra le tombe fin qui scoperte, quelle israelitiche da quelle cananee; è però da ritenersi che israelitiche siano quelle che appaiono prive di idoli.
Soltanto verso la fine del periodo israelitico anteriore all’esilio appaiono dei sepolcri con carattere architettonico e monumentale. Erano formati da una camera centrale alla quale si accede per mezzo di uno stretto corridoio sull’estremità esterna del quale si apre una piccola porta. Vi erano pure delle nicchie laterali. Il lutto, fin dai tempi più antichi, durava sette o trenta giorni. Quali segni di lutto si ricorda che veniva trascurata la cura del corpo, la barba e i capelli si lasciavano crescere in disordine e si indossava un abito speciale detto sak (sacco). Parecchi segni di lutto usati da popolazioni straniere, come il radersi o farsi delle incisioni sul corpo, sono vietati dalla Torà. In casi particolari, in cui il cadavere doveva poi essere trasportato in luogo lontano, si praticava l’imbalsamazione. Sulle tombe dei re si usava ardere dei profumi.
La vita economica. Occupazioni degli antichi israeliti
a) Pastorizia
Una parte della popolazione continuò, anche dopo la conquista del paese di Kanà’an, ad essere dedita alla pastorizia, che era l’occupazione principale nell’età dei patriarchi. I ricchi proprietari avevano una numerosa schiera di pastori da loro dipendenti, sotto un capo di pastori. La vita del pastore, se non faticosa, era però assai penosa, perché lo costringeva a stare lungo tempo, giorno e notte, all’aria aperta, soffrendo del freddo notturno e del gran calore del giorno. Le parti della popolazione dedite alla pastorizia continuavano naturalmente a vivere in condizioni di civiltà assai primitive: le loro abitazioni erano costituite da capanne; essi si servivano anziché di recipienti di terra o di metallo, per lo più di otri di pelle. La musica ed il canto costituivano la loro principale distrazione; la tosatura delle pecore veniva da loro festeggiata con particolare letizia.
b) Agricoltura
Occupazione principale degli Ebrei dopo lo stanziamento in Kanà’an fu, oltre alla pastorizia, e in parte in sostituzione di questa, l’agricoltura. Gli Ebrei, che pure trovarono in Kanà’an una discreta quantità di terreno coltivato e l’agricoltura abbastanza progredita, resero, col loro lavoro, fertili dei terreni, specialmente montuosi, prima improduttivi. Cura speciale posero nell’irrigazione a mezzo di canali artificiali. Come concimi gli antichi Ebrei si servivano di letame e di paglia bruciata nei campi. Gli strumenti agricoli dovettero essere molto semplici: sono specialmente menzionati la vanga, la falce, l’aratro. Come bestie da lavoro erano usati i buoi e gli asini che venivano spinti da un pungolo. Nulla di particolare hanno i costumi agricoli ebraici per quel che riguarda la semina, la piantumazione, la mietitura dei vegetali; da ricordare soltanto sono gli usi, prescritti dalla Torà, di lasciare parte dei prodotti a disposizione dei poveri e di non mescolare semi di piante di natura diversa.
La trebbiatura avveniva o per mezzo di bastoni con cui si battevano i cereali, o col far calpestare da animali le biade disposte nell’aia, o per mezzo di uno strumento a punte.
La Palestina era pure ricca di vigne, chiuse da siepi o da muriccioli, e fornite di capanne e torri per la guardia. La vendemmia era celebrata con feste di allegria, suoni, canti e grida di giubilo. Le uve raccolte in panieri venivano pigiate in appositi tini; da questi colava il liquido in un serbatoio scavato nel terreno e murato all’interno con mattoni, o incavato nella pietra. Il vino veniva generalmente fatto fermentare entro recipienti per lo più di terra; si beveva però anche mosto non fermentato.
Altro ramo importante dell’agricoltura ebraica era la coltura degli ulivi. I frutti venivano staccati per mezzo di bastoni; l’olio veniva prodotto schiacciando le olive in mortai o pigiandole in apposite presse.
Nelle campagne ebraiche non mancavano poi i giardini coltivati ad ortaggi, a frutta e a fiori. Tra gli alberi fruttiferi troviamo menzionati specialmente il mandorlo, la palma, il melo, il melograno, il fico.
c) Industria
L’industria fu in tutto il periodo assai scarsa, e per gran parte domestica. Essa provvedeva esclusivamente ai bisogni più impellenti della popolazione mentre i prodotti di lusso venivano importati dal di fuori. Le industrie maggiormente praticate erano la tessitura, la filatura, e quelle del vasaio, del lavoratore del legno e del muratore. La tessitura e la filatura erano in gran parte industrie domestiche, affidate alle donne: nulla di particolare sappiamo sul modo in cui questi lavori venivano eseguiti, né è possibile determinare con sicurezza a che cosa si riferiscano i vari nomi di strumenti e di tessuti di cui i testi biblici ci parlano.
L’industria e l’arte della ceramica israelitica del periodo anteriore all’esilio appaiono talvolta sotto l’influenza cretese e cipriota. Erano in uso vasi di terra di varia forma con uno o due manici. L’ornamentazione era costituita principalmente da linee che talvolta occupavano solo alcuni punti della superficie esterna del vaso, talvolta le giravano tutto intorno a strisce parallele; altra specie di ornamentazione era costituita da cerchi concentrici, disposti parallelamente all’asse del vaso, dalle varie parti della sua superficie. L’argilla usata per i vasi era di vario colore; il più delle volte i vasi erano fabbricati al tornio, ma talvolta anche a mano.
Dopo il IX secolo, l’arte ceramica indigena appare in regresso, ma d’altra parte si fa sentire più viva l’imitazione ellenica: i vasi eleganti venivano importati, ed anche i vasai israeliti si sforzavano di imitare i modelli greci, senza però riuscirvi. Notevole per questo periodo è l’uso di apporre in alcuni vasi il nome del suo fabbricante, o il luogo della fabbricazione, o qualche segno convenzionale che lo indichi.
Agli antichi Ebrei, prima dell’esilio, erano note tutte le più importanti specie di metalli e anche l’arte di fonderli e di lavorarli; più usato di tutti il bronzo, meno il ferro. L’oro e l’argento venivano usati per i vasi preziosi, dei quali si soleva apprezzare il valore intrinseco più che l’arte della lavorazione.
d) Commercio, mezzi di comunicazione, pesi e misure
Del commercio abbiamo già avuto occasione di parlare trattando della storia politica degli antichi Ebrei. Aggiungeremo soltanto che presso di questi era in uso un sistema di monete, di pesi, di misure di lunghezza e di capacità per solidi e liquidi. Le misure di lunghezza erano designate con nomi di parti del braccio o della mano a cui corrispondevano: la palma, la spanna, il cubito. Quale misura itineraria nell’epoca anteriore all’esilio era usato il cammino che si può percorrere in un giorno. Le misure di capacità pare appartenessero a due sistemi diversi, decimale l’uno e duodecimale l’altro. I pesi in uso per le bilance e per le stadere erano per lo più di pietra. Non è provata, per il periodo di cui ci occupiamo, l’esistenza di monete coniate: dovevano però essere in uso pezzi di metallo, di peso determinato, che portavano gli stessi nomi dei pesi corrispondenti.
Nessuna notizia precisa abbiamo intorno ai ponti e alle strade della Palestina; ma l’importanza di questa come regione di passaggio e lo sviluppo commerciale che essa prese dopo i tempi di Shelomò ci obbligano ad ammettere che essa ne fosse almeno discretamente fornita. Le vie di grande comunicazione si chiamavano vie del re. Certo Gerusalemme almeno dovette essere allacciata con strade ai punti più importanti della regione. Dubbia è l’esistenza di ponti, tanto più che la lingua ebraica antica non ci ha neppure conservata una parola che li designi: il Giordano e, nella stagione delle piogge, anche gli altri corsi d’acqua, potevano essere stati attraversati per mezzo di barche.
e) Navigazione
Gli antichi Ebrei non furono un popolo dedito alla navigazione; ne appresero forse l’arte dai Fenici e non è inverosimile che non solo i costruttori, ma anche coloro che formavano gli equipaggi fossero Fenici. Si navigava a remi e a vela e normalmente si andava lungo le coste, il che rendeva assai lunghi i viaggi.
La vita sociale, civile e politica
a) Passaggio dallo stato nomade allo stato sedentario
Il cambiamento di genere di vita che le tribù israelitiche fecero entrando nel paese di Kanà’an ebbe per conseguenza una trasformazione nella vita sociale. Questa, durante la vita nomade, era fondata principalmente sul vincolo del sangue: la società era costituita dai membri di una famiglia e da coloro che le si erano aggregati. Col mutarsi la vita in sedentaria, la società cominciò ad avere per base il territorio, risultando costituita da coloro che abitavano la medesima città o il medesimo villaggio. Così all’autorità del capo di famiglia venne a sostituirsi quella di un’aristocrazia locale. Questa dapprincipio fu naturalmente costituita dai capi delle famiglie che formavano il nuovo aggregato sociale. A questa origine della nuova autorità civile accenna chiaramente il termine di zekenìm (anziani) col quale sono spesso designati i capi della città. Altre volte sono essi designati con altri termini che indicano dominio, forza, principato, potere di legiferare, ecc., senza che sia possibile determinare se e quali differenze reali corrispondano alle differenze di nomi. A questi capi di città spettavano l’autorità civile e l’amministrazione della giustizia.
b) La schiavitù
La condizione degli schiavi non era nel complesso cattiva, e la schiavitù non era nella compagine ebraica qualche cosa di essenziale. Lo schiavo, per quanto del tutto sottomesso al padrone, non era però considerato come un essere inferiore, ma anzi come un membro della famiglia e lo vediamo qualche volta anche dare consigli al suo padrone.
c) Delitti e pene
Per quel che riguarda le pene e i risarcimenti di danni è da ritenersi che ci si attenesse in genere alle norme sancite nella Torà.
d) La monarchia
Una grande trasformazione nella vita politica e sociale fu determinata dalla costituzione monarchica. La monarchia ebraica non è tirannide né dispotismo. Il re in origine è consacrato in nome di Dio e accettato dal popolo: tra questo e il re interviene una specie di patto. La nomina di un re non priva il popolo né i suoi membri della loro libertà collettiva ed individuale. Il re non è autore della legge né al di sopra di essa: è sottomesso come gli altri e più degli altri alla Torà. Achàv, per potersi impadronire di una vigna di un suo suddito, deve ricorrere a testimoni falsi per dare alla sua usurpazione una parvenza di legalità: come re, non avrebbe potuto violare il diritto di proprietà dei suoi sudditi.
e) Amministrazione della giustizia
Nel regime monarchico, giudice supremo divenne il re, a cui si rivolgeva invocando giustizia chi riteneva di averne diritto. Egli sentenziava in base alle norme della Torà e del diritto consuetudinario esistente. Nelle città e nei villaggi lontani dalla capitale, la giustizia continuò anche nel periodo monarchico ad essere generalmente amministrata dai maggiorenti locali, che potevano però essere ufficiali regi. In generale al re si ricorreva per appellarsi alle sentenze dei magistrati ordinari o in casi di particolare difficoltà. Gli aspri rimproveri e le continue ammonizioni dei profeti dimostrano che non sempre gli amministratori della giustizia adempivano al loro ufficio con l’equità e l’imparzialità necessaria.
Per quel che riguarda la procedura, notiamo che la prova dei fatti che davano luogo a condanna doveva essere fornita dalla deposizione di almeno due testimoni: in caso di condanna capitale per lapidazione, i testimoni dovevano in genere essere i primi esecutori. In certi casi di cause civili, la prova poteva anche essere fornita da giuramento.
f) Autonomie locali
Durante il governo dei primi re, le città continuavano a godere di una certa autonomia: non risulta neppure che in quel primo periodo monarchico i re esigessero delle tasse dai loro sudditi. Le cose cambiarono con Shelomò, che instaurò un regolare sistema tributario, per il quale da tutte le parti dello stato dovevano affluire i contributi alla corte regia. Questo sistema, che obbligò varie città anche lontane dalla capitale a sentire continuamente la forza del governo centrale, fece naturalmente perdere importanza e autorità alle oligarchie locali; gli anziani gradatamente si trasformarono in ufficiali regi o cessarono di esistere: non di rado essi appaiono come consiglieri dei re in rappresentanza del popolo. Quest’ultimo non perdette mai la sua grande importanza, e la costituzione monarchica israelitica continuò sempre ad avere, come ebbe nei suoi inizi, carattere prevalentemente democratico.
g) Disparità sociali
Lo sviluppo del commercio, fattosi vivo specialmente ai tempi di Shelomò, aggiungendo nuove fonti di ricchezza a quelle antiche, consistenti soltanto nel possesso di fondi o di animali, determinò una disparità di condizioni economiche, che era sconosciuta all’antico Israele. I nuovi ricchi, non contenti della casa e della porzione di terreno che costituiva il loro patrimonio familiare, volevano, come dice Yeshayàhu, «aggiungere casa a casa, campo a campo», costituire delle grandi proprietà a danno delle piccole, trasformare i possessori di queste in loro mercenari o schiavi. La letteratura profetica è piena di proteste contro questo stato di cose. Non risulta che sia stato effettivamente praticato il costume, prescritto nella Legge, di far ritornare alla fine di ogni periodo di cinquant’anni (Giubileo) i possessi fondiari ai possessori primitivi che, per qualunque ragione, se ne fossero spogliati.
h) La corte reale
Un altro cambiamento nei rapporti sociali fu determinato dalla costituzione di una vera e propria corte. Questa fece sorgere, accanto all’antica aristocrazia, formata dai maggiorenti delle tribù e delle città, una nuova aristocrazia di corte: l’importanza di quest’ultima veniva di mano in mano crescendo, mentre per le ragioni già accennate andava diminuendo quella della aristocrazia più antica.
Della corte reale faceva parte in primo luogo il comandante dell’esercito, che aveva un posto segnalato specialmente nel regno del nord, nel quale l’importanza dell’esercito era particolarmente grande: nei frequenti cambiamenti di dinastia di quel regno, è spesso il generale in capo che assume la dignità regia. Costituivano inoltre la corte altri funzionari, tra cui specialmente il sacerdote, il segretario, lo scriba, il maestro di palazzo, l’aiutante di campo del re. In stretto rapporto con la corte stavano poi i prefetti delle varie province; in certe circostanze anche la madre del re appare fornita di grande influenza politica.
i) La guerra e l’arte militare
L’arte della guerra fece, nel periodo della conquista, notevoli progressi. Le tribù israelitiche, che, ai tempi di Yehoshùa’, non potevano competere militarmente con i Cananei, progredirono a poco a poco nell’uso delle armi e delle fortificazioni, imparando dai loro stessi nemici. La lotta a corpo a corpo per mezzo della spada e della lancia andò di mano in mano cedendo il posto al combattimento a distanza per mezzo dell’arco e dei giavellotti.
Anche nella vita militare, l’istituzione e lo sviluppo della monarchia determinarono dei cambiamenti. Il re, come capo supremo dell’esercito, andava spesso alla guerra alla testa dei sudditi; agli scudieri, che nei tempi più antichi portavano le armi dei combattenti, si aggiunsero gli aiutanti dei re e dei guerrieri principali che stavano sul carro insieme con gli arcieri e difendevano il loro signore con lo scudo. Facevano parte dell’esercito i maschi dai 20 anni in poi. All’esercito furono spesso aggregati mercenari stranieri.
Quali elementi dell’armatura israelitica, oltre alle armi già citate, si ricordano l’elmo, la corazza, gli schinieri. Una vera e propria tattica o arte militare israelitica pare non sia esistita, o almeno le fonti non ci permettono di stabilire quale essa fosse.
Ai morti in guerra si tributava grande onore; speciale cura di seppellire i caduti si prendevano i superstiti.
La vita intellettuale e spirituale
a) La scrittura e la letteratura
La scrittura, fin da tempi antichissimi, era abbastanza diffusa; ma non si sono conservati scritti dell’età più antica. I più antichi documenti sicuri della scrittura ebraica primitiva, che sono giunti fino a noi, appartengono ai secoli IX e VIII a.E.V. Esse sono la tavola di Ghèzer, che è, a quanto pare, una specie di calendario agricolo, l’iscrizione dello Shilòach, scoperta nel 1880, e una quantità di cocci scoperti specialmente a Samaria: le iscrizioni che si trovano su questi ultimi sono eseguite con inchiostro e, pare, a mezzo di penna di canna. Altre brevi iscrizioni si trovano in antichi sigilli. È da ritenersi che la scrittura alfabetica fosse in uso presso gli antichi Israeliti assai prima del tempo a cui appartengono i documenti più antichi giunti fino a noi.
È probabile che fin dal tempo della conquista venissero celebrate in canti le imprese degli eroi contemporanei e le antiche tradizioni delle tribù israelitiche, e che alcuni di questi canti venissero fissati per mezzo della scrittura. Nei libri biblici sono ricordati, come antiche raccolte di canti, il Sèfet Hayashàr e il Sèfer Milchamòt Ado-nài. Un’idea di questi canti ci può essere fornita da quello di Debora, che deve riprodurre un canto contemporaneo agli avvenimenti a cui si riferisce. Nel periodo dei re poi la letteratura si andò sviluppando maggiormente. È possibile che dal raggruppamento di vari degli antichi canti abbiano tratto origine dei piccoli componimenti epici, che forse venivano cantati o recitati nei santuari in occasione di feste, nelle riunioni di famiglie e di tribù o alle corti dei re. Da questi canti epici primitivi non si sviluppò in Israele, come invece avvenne presso altri popoli antichi, la vera e propria epopea, ma piuttosto la narrazione in prosa, prima orale e poi per iscritto. Anche in questo campo, è probabile si sia cominciato da narrazioni isolate, che poi raggruppandosi diedero luogo a racconti più ampi. Così ebbe origine la storiografia ebraica che, al pari di tutta la letteratura ebraica anteriore alla grande letteratura profetica del secolo IX, è anonima. Di questa storiografia più antica possiamo farci un’idea dai libri narrativi della Bibbia (Yehoshùa’, Giudici, Shemuèl, Re) che ad essa attinsero e che in parte la riprodussero.
Il desiderio di conoscere e quindi di narrare il passato crebbe naturalmente col formarsi e col rafforzarsi del sentimento nazionale, specialmente a partire dai tempi di Davìd, quando, terminate le guerre di questo re, il popolo si sentì tranquillo nella sua terra. La costituzione monarchica poi determinò la formazione di veri e propri uffici di stato nei quali si teneva nota di nomi e di fatti importanti: nei libri storici della Bibbia si conservano documenti desunti senza dubbio da tali documenti dei tempi dei re. Quel che avveniva presso la sede del governo doveva anche avvenire presso i principali santuari, cosicché si ebbero pure documenti e narrazioni di interesse culturale, locale e familiare.
Le più antiche scritture in lingua ebraica che siano a noi direttamente pervenute nell’originale sono, come già sappiamo, tracciate su materiali di pietra o di argilla; ma oltre che di questi materiali gli antichi Israeliti si servirono senza dubbio anche del metallo, della pelle, e forse del papiro.
b) Cognizioni e credenze degli antichi Ebrei sul mondo e sugli esseri che vi si trovano
Nell’antico Israele non si può parlare di sviluppo di vere e proprie scienze nel senso moderno della parola. Tutte le cognizioni che, a quanto ci risulta, possedevano gli antichi Israeliti, sono dovute all’osservazione superficiale ed empirica del mondo circostante, o alle credenze insegnate dalla Torà, senza che nulla dia a vedere che esistesse qualche tendenza alla ricerca sistematica intorno a quanto esiste e alla formulazione di leggi o principi generali.
La Divinità è ritenuta autrice delle leggi della natura, che possono essere dalla Divinità stessa mutate in certe circostanze: si hanno così i miracoli, che sono fatti che appaiono fuori dell’ordine naturale delle cose e che si considerano espressamente veduti da Dio per il raggiungimento di scopi determinati.
L’universo era concepito come opera della Divinità; gli esseri creati sono, nei primi capitoli della Genesi, rappresentati come apparsi in sei giorni o periodi distinti, nell’ordine seguente: luce, cielo, mari, vegetali, astri, pesci, rettili, uccelli, quadrupedi, uomo. I vegetali venivano distinti in erbe, piante con seme, alberi fruttiferi; i quadrupedi in domestici e selvatici, ruminanti e non ruminanti, o secondo altre qualità esterne; dai pesci si distingueva, tra gli abitatori dell’acqua, una classe di grandi animali, forse i cetacei.
Il corpo umano si considerava come composto essenzialmente di carne, ossa, pelle e nervi; degli organi interni non erano conosciuti che i principali, quali il cuore, il fegato, i reni, gli intestini. Il cuore e i reni erano ritenuti sede dei sentimenti e del pensiero. La vita si credeva risiedesse nel sangue e nel respiro.
La terra pare fosse ritenuta come situata al centro dell’universo, e avente forma circolare, sospesa nel vuoto senza sostegni e tenuta dalla forza divina, Lo spessore di questa terra si riteneva occupato, al di sotto della massa solida, dalle acque inferiori, e dallo Sheòl, sede dei defunti.
La parte della terra conosciuta, direttamente o no, dagli Ebrei poma dell’esilio, comprende: Persia, Susiana, Media, Caucasia, Armenia, Asia Minore, i lembi meridionali della Grecia, dell’Egeo, dello Ionio, l’Egitto, l’Etiopia, parte dell’Arabia, forse l’isola di Creta. Dei mari erano certamente conosciuti il Mediterraneo, il Mar Rosso e il Mar Morto.
L’umanità, secondo le credenze degli Ebrei, deriva tutta da un’unica coppia, secondo quanto è narrato nel libro della Genesi. Dai tre figli di Nòach, Shèm, Kam e Yèfet, discendono le varie popolazioni che occupano il mondo conosciuto dagli antichi Ebrei: dal primo discendono specialmente gli abitanti dell’Asia, dal secondo quelli dell’Africa e dal terzo quelli dell’Europa. L’umanità, che dapprima viveva unita, venne poi da Dio sparpagliata per aver voluto erigere una torre (la torre di Babele) che avrebbe dovuto giungere fino al cielo. Dalla discendenza di Sem nasce, come già sappiamo, Avrahàm.
Il cielo era concepito come corpo solido nel quale o al di sopra del quale si trovavano gli astri e le acque superiori, che, passando attraverso le finestre o cateratte del cielo, scendono talvolta in forma di pioggia. Non mancano però chiari accenni all’idea che questa scenda dalle nubi. Al di sopra del cielo visibile pare si credesse vi fossero degli altri cieli, detti cieli del cielo. Fra gli astri, oltre al sole e alla luna, erano conosciuti alcuni pianeti e alcune costellazioni, di cui ci sono noti i nomi, ma che non sono facilmente identificabili con sicurezza. Secondo le opinioni più generalmente accolte, sarebbero stati conosciuti dagli antichi Ebrei almeno Venere, Marte, Saturno, l’Orsa maggiore, le Pleiadi.
Gli antichi Ebrei conoscevano i punti cardinali, che chiamavano i quattro angoli, o i quattro venti della terra. Essi erano designati in tre modi diversi: o in rapporto al sole: oriente, luogo dove il sole nasce, occidente il luogo dove tramonta, mezzogiorno, il luogo dove risplende, mezzanotte, il luogo dove è occulto; o in rapporto ad un osservatore che guardi verso oriente: davanti, dietro, destra, sinistra; o in rapporto alla posizione, geografica della Palestina: mare (occidente), Nèghev, nome del deserto a sud della Giudea (mezzogiorno).
c) Scienze speculative
Di scienze teoriche e puramente speculative non vi è traccia. Le cognizioni matematiche degli antichi Ebrei non andavano oltre quel che occorre per le più semplici operazioni aritmetiche e la conoscenza empirica delle figure geometriche più comuni. La morale era esclusivamente pratica, ed esposta in forma di sentenze.
d) Arti
Fra le arti furono coltivate la musica e la poesia: la mancanza di sviluppo delle arti plastiche e del disegno è sufficientemente spiegata dal divieto di rappresentare la Divinità con figure. Per quel che riguarda la musica, nulla si può dire di preciso, perché non è possibile identificare con sicurezza i vari strumenti a corde ed a fiato menzionati nei testi biblici, né dare spiegazione sicura dei termini musicali che non di rado ricorrono.
La poesia è per lo più lirica religiosa, o profetica, o sentenziosa o morale. Caratteri generali della poesia ebraica antica sono: la spontaneità, l’abbondanza di immagini tratte specialmente dall’osservazione della natura e dalla vita agricola e pastorale, o dai fatti più celebri della storia e della tradizione nazionale. Per quel che riguarda la forma è specialmente notevole il parallelismo, che consiste nell’accoppiamento di frasi corrispondenti, talvolta di significato pressoché uguale e talvolta di significato apposto.
I componimenti poetici ebraici constano di versi, e spesso anche di strofe; non sono però note in modo sicuro, se pure esistettero, le leggi secondo cui i versi e le strofe sono costituite. Vi sono pure dei componimenti alfabetici, nei quali il primo verso o la prima serie di versi comincia con la prima lettera dell’alfabeto, il secondo con la seconda, e così di seguito fino al termine.
e) Il culto pubblico
II culto nei tempi più antichi doveva essere essenzialmente di famiglia e di tribù: l’insegnamento mosaico avrebbe dovuto sostituire a questo il culto nazionale, ma effettivamente ciò non avvenne: nel periodo della conquista ed anche in quello regio si hanno tracce sicure di culto prestato a divinità domestiche e della pratica di sacrifici in casa.
Gli Israeliti, penetrando nel paese di Kanà’an, nello stesso modo in cui adottarono, come già abbiamo visto, nella vita materiale la civiltà dei paesi che conquistarono, così ne adottarono in parte il culto, allontanandosi dalla tradizione patriarcale e dall’insegnamento mosaico. Israele in complesso rimase fedele al suo Dio, che lo aveva tratto dall’Egitto, ma lo adorò spesso nelle forme che vide usate dai Cananei per i loro be’alìm. Non solo: si andò anche più oltre, fino a identificare il Dio unico di Israele con i be’alìm cananei e dargli il carattere di divinità locale. Così si introduce nel culto israelitico l’uso delle bamòt, luoghi di culto, delle matzevòt, pietre consacrate o simboleggianti la divinità, delle asheròt, alberi o pali, che ci son note come proprie del culto cananeo; si diffonde la credenza negli spiriti e la pratica del culto dei morti; la Divinità viene rappresentata con figure; notevole la rappresentazione sotto forma di toro nei santuari eretti da Yervo’àm; altri idoli di cui non ci è ben nota la natura, quali i pesilìm, gli efòd, gli idoli domestici detti terafìm, vengono venerati; si praticano talvolta in nome del Dio d’Israele atti di magia e persino sacrifici umani.
Con la costruzione del Tempio di Gerusalemme avrebbe dovuto cessare definitivamente il culto prestato altrove; ma di fatto, ciò avvenne solo dopo Yoshiyàhu. Israele subì anche spesso influenza dai popoli stranieri coi quali venne a contatto, come abbiamo visto trattando la storia. Non abbiamo notizie precise sul modo in cui procedeva il culto; ma certo venivano offerti regolari sacrifici quotidiani in nome del popolo, oltre a quelli del re e dei privati, e venivano celebrati il sabato, i noviluni, le grandi festività annuali.
f) Atti religiosi individuali: Nazirei e Rechabiti
Tra gli usi religiosi di carattere privato, oltre a quelli che sono in relazione con avvenimenti domestici, dei quali prima abbiamo fatto cenno, sono da ricordare la tefillà e l’imposizione volontaria di certe astinenze.
La tefillà consisteva nell’espressione dei propri sentimenti e desideri alla Divinità e nella richiesta che questi venissero soddisfatti, oppure nel ringraziamento per benefizi ricevuti, o nell’omaggio alla Divinità in genere. La preghiera si faceva in qualunque luogo, ma speciale efficacia si attribuiva a quella rivolta nei santuari. L’antico Israelita nel pregare tendeva verso l’alto le mani, si prostrava a terra, si inginocchiava. La preghiera era talvolta accompagnata dalla pronunciazione di un voto, che consisteva nella promessa di un sacrificio o nella imposizione di qualche astinenza.
Nazìr (nazireo) si chiamava chi, in seguito a voto fatto da lui stesso o anche dai genitori prima della sua nascita, doveva astenersi, o per un tempo determinato, o per sempre, dal bere vino, dal tagliarsi i capelli e dal rendersi impuro per contatto di cadaveri.
Gruppo speciale costituiscono i Rechabiti. Questi erano discendenti di Yonadàv, figlio di Rechàv, sostenitore di Yehù nella lotta contro l’idolatria. Seguendo le istruzioni avute dal loro antenato, non abitavano in città, risiedevano in tende e non bevevano vino. Ne abbiamo notizie per il tempo di Yirmiàhu.
g) Credenze sui defunti
Quali esattamente fossero le credenze degli antichi Israeliti intorno allo stato dei defunti non sappiamo: certo essi credevano nell’esistenza di un luogo detto Sheòl, dove i defunti erano raccolti dopo la loro vita in questo mondo; senza dubbio essi credevano che qualche forma di vita esistesse anche dopo la cessazione di quella terrena.
h) La profezia
Nel corso del nostro racconto abbiamo avuto più volte occasione di ricordare dei profeti (neviìm, sing. navì). Questi, come già abbiamo accennato, sono uomini che sentono di essere ispirati da Dio e che cercano, e per lo più riescono, a comunicare questo loro sentimento a coloro ai quali si rivolgono. Moshè è considerato il più grande dei profeti e dopo di lui non sono mai mancati, in nessuna generazione, fino ai primi tempi dopo il ritorno dall’esilio babilonese, dei profeti.
Funzione principale di questi consiste nell’agire sui singoli e sul popolo nel suo complesso e sui suoi capi, con la parola, con gli scritti e con atti simbolici affinché si mantengano fedeli a Dio e alla Torà e ritornino sulla retta via quando questa è stata abbandonata. Fra i mezzi di cui si servirono i profeti vi è quello di annunziare in nome di Dio le conseguenze della condotta dei loro ascoltatori, e quindi i profeti furono spesso annunziatori del futuro. In certi casi, o per dimostrare che essi erano inviati divini, o per aderire a richieste di quelli che a loro si rivolgevano per averne aiuto o consiglio, compirono degli atti che furono riconosciuti diversi dal modo in cui generalmente si svolgono i fatti naturalmente. Tali atti si chiamano miracoli o prodigi. Occorre però distinguere nettamente tali atti da quelli, analoghi, compiuti realmente o apparentemente, come atti di magia e di sortilegio. Coloro che professano le arti magiche si presentano come dotati di particolari qualità personali d’eccezione e di particolare scienza, che permettono loro, quando vogliono, di fare dei miracoli. Il profeta invece sente e dichiara esplicitamente che egli agisce soltanto per incarico avuto di volta in volta da Dio, in qualità di esecutore della Sua volontà, quando e come Egli gli comanda di agire. L’autore del miracolo è sempre, secondo il profeta, non egli stesso, ma Dio.
Dei profeti più antichi, prescindendo da Moshè, non ci è giunto alcuno scritto, e neppure si consta che essi scrivessero i loro discorsi e i loro insegnamenti. Tali sono, tra i profeti che abbiamo nominati, Achià, Elia ed Eliseo. Il più antico dei profeti di cui ci sono giunti gli scritti è Amos, contemporaneo di ‘Uzzià re di Yehudà e di Yervo’àm II re d’Israele. Seguono, in ordine di tempo, Osea, Isaia, Mikhà, contemporanei più giovani di Amos o di poco posteriori; Nachùm e Chavakùk, che vissero, a quanto pare, nei primi tempi successivi alla caduta del regno d’Israele, Yirmiàhu e Tzefanyà, contemporanei della caduta del regno di Yehudà. Incerta è l’età di Joel e di ‘Ovadyà. Il libro biblico che porta il nome di Yonà ben Amittài, contemporaneo di Yervo’àm II, non contiene suoi discorsi, ma parla di lui. Altri profeti vissero durante l’esilio babilonese o nei primi tempi dopo di questo.
I profeti descrivono talvolta le loro visioni, cioè il modo in cui hanno sentito che Dio si manifestava a loro e comunicava loro la Sua parola; spesso invece dicono soltanto che le loro parole sono ispirate da Dio.
L’insegnamento dei vari profeti è diverso per quello che riguarda la forma dell’esposizione e lo stile dell’espressione, ma identico nella sostanza, perché consiste nella diffusione e nell’applicazione di quello che insegna e inculca la Torà. I profeti insistono specialmente sul concetto dell’unità di Dio, della Sua potenza, della Sua sovranità sul mondo intero e su tutti i popoli che tutti sono Sue creature, e sulla Sua giustizia per cui punisce tutti i popoli per le loro colpe. Gli uomini devono praticare l’onestà e la giustizia, e astenersi dall’esercitare violenza ed oppressione gli uni sugli altri; Israele, che è stato da Dio scelto come particolarmente Suo, non ha per questo dei privilegi, ma anzi degli obblighi speciali, e con lui Dio è più severo e più esigente che con le altre nazioni; soltanto, mentre per gli altri popoli la punizione più grave e definitiva è la distruzione, per Israele è l’esilio, che deve servire come mezzo di espiazione e di purificazione. È per questo che alla chiusura di quasi tutte le profezie annunzianti sventure si trovano espressioni di conforto per l’avvenire. Quando Israele, ritornato definitivamente nella sua terra dopo l’esilio, i patimenti e le persecuzioni sofferte per opera delle altre genti, ritornerà a Dio con tutto il cuore e ne seguirà i comandi, finirà per essere riconosciuto da tutti i popoli come inviato divino e loro guida spirituale; a Gerusalemme, suo centro, essi ricorreranno per dirimere le loro controversie, tutti riconosceranno l’unità di Dio e si inizierà nel mondo un periodo di benessere e di pace, senza malvagità e senza guerre (era messianica).
Le parole dei profeti sono rivolte sia ai loro contemporanei, sia ad Israele delle generazioni future. È quindi naturale che pur essendo, come detto sopra, tutte le profezie ispirate dai medesimi concetti, essi risentono talvolta l’influenza del tempo in cui furono scritte. È ovvio che i profeti, nel riprendere il popolo per le sue colpe, insistano in modo speciale su quelle di cui si macchiavano particolarmente i loro contemporanei. Fra queste vanno ricordate, oltre alle varie mancanze morali e sociali, il culto prestato alle divinità straniere, sulla nullità delle quali insistono molto i profeti, anche con espressioni ironiche e di scherno. Così pure essi riprendono coloro che ritengono che il culto dei sacrifici sia l’essenziale e tutto quello che Dio esige da Israele; essi affermano chiaramente che sacrifici, preghiere ed altri atti di culto accompagnati da colpe morali non solo non sono graditi a Dio, ma sono davanti a Lui un abominio.
Di alcuni profeti non risulta che si siano occupati della vita politica e che abbiano esercitato influenza su questa: altri invece agirono fortemente sui re e cercarono soprattutto di persuaderli che non la forza materiale e l’aiuto degli stranieri sono decisivi, ma la fedeltà a Dio e il Suo aiuto; tra questi sono specialmente da ricordare, fra i profeti scrittori, Yeshayàhu (Isaia) e Yirmiyàhu (Yirmiàhu).
Accanto ai veri profeti esistettero anche dei profeti falsi, degli uomini cioè che, pure non sentendosi ispirati da Dio, vollero far credere di essere tali. Falsi profeti abbondarono specialmente negli ultimi tempi dell’esistenza del regno di Yehudà, e annunciarono che questo non sarebbe caduto e il Tempio non sarebbe distrutto; contro di essi lottò aspramente Yirmiàhu. I profeti falsi ebbero numerosi seguaci, perché nessun criterio sicuro poteva distinguerli da quelli veri; il criterio si ebbe soltanto in seguito, quando gli avvenimenti mostrarono che profeti veri erano quelli secondo le parole dei quali gli avvenimenti stessi si svolsero: così soltanto dopo la distruzione del Tempio si poté riconoscere che Yirmiàhu era un vero profeta e i suoi avversari profeti falsi.