Roma – Fondazione per la gioventù ebraica 1963 – 5723
Versione scansita e convertita con OCR da originale del 1963 con l’autorizzazione della famiglia Artom, Israele – Copyright Morashà.it
È IN PREPARAZIONE UN’EDIZIONE RIVISTA E AGGIORNATA COL CONTRIBUTO DI STORICI E INSEGNANTI
Indice
Prefazione alla prima edizione 1963
Introduzione
Periodo primo
Capitolo 1 – L’origine del popolo d’Israele
Capitolo 2 – I figli d’Israele in Egitto
Capitolo 3 – Costituzione e prime conquiste del popolo d’Israele
Capitolo 4 – La Torà
Periodo secondo
Capitolo 5 – La terra di Kanà’an prima della conquista israelitica
Capitolo 6 – La conquista e lo stanziamento
Capitolo 7 – L’istituzione della monarchia e il regno di Shaùl
Capitolo 8 – Il regno di Davìd
Capitolo 9 – Il regno di Shelomò
Capitolo 10 – Lo scisma – Il regno israelitico del nord
Capitolo 11 – Il regno di Giuda
Capitolo 12 – La vita e le istituzioni israelitiche prima dell’esilio babilonese
Periodo terzo
Capitolo 13 – L’esilio babilonese
Capitolo 14 – Vicende dei rimpatriati durante il dominio persiano
Capitolo 15 – La diaspora nell’età persiana
Capitolo 16 – La Giudea sotto Alessandro Magno e nel periodo delle lotte tra i suoi successori
Capitolo 17 – La Giudea sotto i Seleucidi e l’insurrezione maccabaica
Capitolo 18 – La lotta per l’indipendenza nazionale della Giudea
Capitolo 19 – La Giudea sotto i principi Asmonei
Capitolo 20 – Il protettorato romano e gli ultimi Asmonei
Capitolo 21 – Erode e gli Erodiani
Capitolo 22 – La Giudea sotto il dominio romano
Capitolo 23 – La Giudea sotto il dominio romano dopo il regno di Agrippa
Capitolo 24 – La guerra per l’indipendenza e la distruzione del Tempio e di Gerusalemme
Capitolo 25 – La vita spirituale in Èretz Israèl nel periodo del secondo Tempio
Capitolo 26 – Gli Ebrei della Diaspora
Periodo quarto
Capitolo 27 – Gli Ebrei di Èretz Israèl fino al prevalere del Cristianesimo nell’impero romano
Capitolo 28 – Gli Ebrei in Èretz Israèl durante il periodo cristiano dell’impero romano
Capitolo 29 – La vita spirituale e la letteratura
Capitolo 30 – La Diaspora
Prefazione alla prima edizione 1963
Agli insegnanti e agli educatori
Scopo del presente libro, che non ha né pretende di avere nulla di nuovo nel suo contenuto, è quello di dare al lettore che viva in Italia, e specialmente ai ragazzi fra gli undici e i quindici anni circa, in forma semplice, idee chiare e precise sullo svolgimento della storia del popolo d’Israele dalle origini fino ad oggi. In modo particolare, per quel che riguarda il lettore ebreo per il quale il libro è stato principalmente scritto, deve fargli vedere che la storia d’Israele, anche quella che è nel tempo più lontana da noi, è storia sua, e spiegargli che egli, non in senso razzistico ma in senso spirituale, è il figlio degli antichi patriarchi, e che egli è quello che è in conseguenza di ciò che è avvenuto dai lontani tempi in cui quelli vissero fino ad oggi. Deve inoltre fargli comprendere che gli Ebrei di oggi, qualunque sia il luogo di loro attuale residenza — anche se in esso vissero da secoli i loro antenati — qualunque sia l’atteggiamento che hanno avuto ed hanno verso gli Ebrei coloro in mezzo ai quali egli vive e hanno vissuto i suoi antenati, qualunque sia la posizione che i suoi padri, nelle varie generazioni, hanno assunto di fronte all’Ebraismo, ai suoi principi, ai suoi ideali, alle sue concezioni, al modo di vita che gli è caratteristico, egli è Ebreo e che all’infuori della sua qualità di uomo e a quella di Ebreo, tutto quello che c’è in lui è contingente: che se anche egli, per ipotesi, non sentisse più nessun legame con l’Ebraismo, avesse anche dimenticato di essere Ebreo, egli sarebbe sempre, di fatto, un uomo ebreo; e che questo è tutto quello che di essenziale e inderogabile vi è nel suo essere e di cui non può in alcun modo spogliarsi. La storia d’Israele fa vedere che Israele costituisce una unità attraverso il tempo, lo spazio, le condizioni, e che questo avviene perché ha avuto, e continua ad avere presso gran parte dei suoi figli, la coscienza che Israele ha origine da un patto stabilito con l’unico eterno Dio e perché le conseguenze di questa coscienza durano inconsapevolmente anche in chi individualmente oggi non abbia questa coscienza. Solo se, per ipotesi assurda, venissero un giorno a cessare del tutto questa coscienza e le sue conseguenze, finirebbe l’esistenza di Israele anche se un gruppo di persone si chiamasse con questo nome.
Dato che, come detto sopra, il libro è destinato specialmente a ragazzi ebrei di 11-15 anni residenti in Italia, e dato che questi generalmente frequentano le scuole medie, nelle quali si insegna storia generale, il libro è diviso in tre volumi corrispondenti alle tre parti in cui questa si suole dividere. Da un punto di vista teorico, la storia d’Israele non dovrebbe essere studiata a parte, ma ogni alunno ebreo dovrebbe, studiando i singoli periodi storici, studiare in modo particolare le vicende del suo popolo, e l’ideale sarebbe un unico testo di storia che desse il giusto spazio a quella d’Israele. Ragioni pratiche, indipendenti dalla nostra volontà, e sulle quali non occorre fermarsi, impediscono che ciò possa avvenire; ma sarebbe desiderabile che nelle scuole medie ebraiche venisse studiata la storia d’Israele parallelamente a quella degli altri popoli e che lo stesso facesse anche chi, pur non frequentando scuole ebraiche, voglia avere, per quello che riguarda la storia, i fondamenti della cultura ebraica. Nella trattazione dei singoli periodi, presupporremo nel lettore la conoscenza di storia generale che generalmente si apprende nelle scuole medie.
Dato il pubblico a cui il libro è specialmente rivolto, daremo parte notevole alla storia degli Ebrei in Italia, che è invece trascurata o appena accennata nei libri esistenti di storia ebraica.
Qualche parola occorre aggiungere per quello che riguarda il modo in cui abbiamo trattato la storia biblica, modo che è alquanto diverso da quello con cui è generalmente trattato nei libri per le scuole ebraiche. In questi libri solitamente viene dato, come storia dell’antico Israele, il contenuto narrativo dei libri biblici, tanto che si comincia la storia d’Israele con la creazione del mondo, vi si inserisce, fra l’altro, il racconto di Yonà divorato e vomitato dal pesce e di Iyòv (che evidentemente non era neppure ebreo) piagato nel letamaio. Noi riteniamo invece che si debba nettamente distinguere fra storia ebraica antica e contenuto narrativo dei libri biblici. Questi sono, senza dubbio, fonte importantissima e spesso unica per quella, ma non sono né di fatto né nell’intenzione dei loro autori libri di storia, ma libri di educazione che vogliono, attraverso fatti storici, e anche talvolta leggendari o perfino di carattere novellistico, instillare i principi della dottrina ebraica e della concezione ebraica del mondo. Le narrazioni bibliche sono al tempo stesso di meno e di più che storia in senso stretto: meno perché trascurano fatti (che, purtroppo, solo in piccola parte ci sono noti dalle scarsissime altre fonti) che, pur avendo importanza storica, non servono allo scopo che si prefiggono gli autori dei libri sacri; più, perché, per il loro scopo, riferiscono aneddoti che, se anche riguardano fatti realmente avvenuti, non hanno importanza storica. Oltre a ciò, noi abbiamo inteso l’idea di storia, secondo la definizione classica che se ne dà, come racconto di fatti umani, e quindi non inseriamo la Divinità nei nostri racconti. Noi abbiamo l’intima convinzione che il vero autore di quel che avviene nel mondo e specialmente in Israele è Dio, in quanto fa direttamente o indirettamente agire gli uomini in un determinato modo, o permette o impedisce loro di agire in un certo modo, ma riteniamo che non sia possibile determinare oggettivamente, come deve fare lo storico, quali atti sono voluti, permessi, o impediti da Dio. Quello che si può in certi casi storicamente dire è che, in un dato momento, un individuo o un gruppo di individui o un popolo intero ha sentito l’intervento diretto della Divinità.
Ad ogni capitolo abbiamo premesso brevissime e sommarie notizie sulle fonti. Ci siamo deliberatamente astenuti dal tenere conto delle ipotesi della critica biblica. E questo per la semplice ragione che, secondo noi. tutte queste ipotesi sono destituite di fondamento. Nel leggere opere di critica biblica ci siamo sempre trovati d’accordo con l’autore dove egli confuta ipotesi di altri, ma abbiamo sempre dovuto constatare che ci sono ragioni non meno forti per confutare le sue ipotesi, ragioni che, secondo noi, sono anche meno forti di quelle che si sogliono portare contro le idee tradizionali, che presentano anch’esse delle gravi difficoltà. Per noi dunque, chi sente (dico: “sente”, e non “crede”) la verità delle idee tradizionali, ci si attenga, confessando la propria incapacità a risolvere le difficoltà che esse presentano, difficoltà alcune delle quali, nonostante i tentativi dei tradizionalisti, non hanno trovato soluzione soddisfacente, e chi non sente questo, confessi che allo stato attuale delle nostre conoscenze, nulla si può dire di certo e di probabile sulla composizione della maggior parte dei libri biblici, e in modo particolare della Torà.
Qualcuno troverà forse il nostro testo troppo difficile per ragazzi dell’età delle scuole medie. Non è certo più difficile di libri di storia generale ad essi destinati. La verità è che la storia non è scienza facile, e non è colpa nostra né di altri autori, se la si vuole fare studiare da chi solamente forse è in grado di comprenderla bene. È però da notare che nessun libro destinato a ragazzi dell’età delle scuole elementari e medie inferiori può essere messo senz’altro in mano degli alunni che le frequentano. Anche nel nostro caso, come negli altri simili, l’opera dell’insegnante dovrà intervenire ad aiutare gli alunni.
Le domande poste alla fine del volume devono servire per la ripetizione e per il controllo del profitto; ad esse gli alunni dovranno poter rispondere oralmente o per iscritto senza avere a loro disposizione il testo. Per rispondere a esse è sufficiente quello che si trova in questo libro. Tanto meglio però se l’insegnante aggiungerà, con parole sue, o mediante appropriate letture, aneddoti e considerazioni che integrino e delucidino il testo che, per ovvie ragioni, ha dovuto essere molto parco.
Il Dipartimento per l’Educazione e la Cultura dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane esprime un particolare ringraziamento all’Istituto Bialik di Gerusalemme (Enciclopedia Biblica») e alla Casa Editrice Marietti di Torino («Atlante Biblico») gentilmente ci hanno messo a disposizione materiale documentario ed illustrativo contenuto nelle loro pubblicazioni.
A. S.
Avvertenze (DA RIVEDERE 2022)
I nomi propri ebraici sono generalmente trascritti in modo da rendere possibile all’alunno pronunciarli esattamente in ebraico seguendo le regole della lettura italiana.
Si noti in modo speciale:
1) Il gruppo ch rappresenta il suono aspirato della cheth e della khaf senza daghesh.
2) La lettera k rappresenta il suono della c dura.
3) La lettera s rappresenta sempre il suono della s dura.
4) Il gruppo sh in fine di parole o prima di consonante rappresenta il suono della shin.
5) La lettera z rappresenta il suono della zain ebraica che in alcune regioni d’Italia si pronuncia come s dolce, in altre come z dolce.
6) Le parole terminanti in consonante nelle quali non è segnato l’accento vanno pronunciate tronche.
7) Dato che da qualche tempo alcuni hanno abbandonato certi particolari della pronuncia tradizionale dell’ebraico presso gli Ebrei d’Italia, coloro che li hanno conservati tengano presente che il segno ‘ ci indica il suono nasale della ‘ain, il gruppo th va pronunciato d, e la h in principio di parola o fra due vocali non va pronunciata.
8) Poiché alcuni usano, per i nomi propri ebraici, la forma che essi hanno in ebraico, ed altri la forma usuale italiana, essi vengono dati la prima volta in cui ricorrono nella doppia forma. Così, per esempio: Yehudà (Giuda).
Introduzione
Ebrei, israeliti, giudei, israeliani
La terra d’Israele: a) Generalità: b) Corsi d’acqua: il Giordano e la sua depressione; c) Le pianure; d) I monti; e) Le steppe; f) Il clima e le stagioni; g) I prodotti principali; h) Gli animali
La Diaspora
L’era ebraica
Durata e divisione della storia ebraica
La lingua ebraica
La vita ebraica e il pensiero ebraico
Ebrei, israeliti, giudei, israeliani
Il nostro popolo, del quale ci accingiamo a studiare la storia, è chiamato popolo ebraico o popolo d’Israele. Ebrei o Israeliti o figli d’Israele sono detti gli appartenenti a questo popolo. A partire poi da un certo momento della nostra storia, nel quale, come a suo tempo apprenderemo, solo una frazione del popolo, appartenente in gran parte alla tribù di Yehudà (Giuda), continuò a vivere di vita propria, esso viene designato anche come popolo giudaico, e Yehudìm (Giudei) sono anche detti coloro che vi appartengono. Dopo che, nel 1948, risorse a nuova vita lo Stato ebraico, detto Stato di Israele (Medinàt Israèl) è invalso l’uso di chiamare israeliani i cittadini di questo Stato per distinguerli dagli appartenenti al popolo d’Israele che sono cittadini di altro Stato.
La terra d’Israele
a) Generalità
La regione nella quale ebbero origine, si svilupparono e continuano a svilupparsi principalmente la vita e la civiltà del popolo d’Israele, si chiama terra d’Israele (Èretz Israèl). Gli scrittori greci antichi la chiamarono Palestina, e questo nome passò poi nelle varie lingue. Essa si trova nella terra asiatica che forma la sponda orientale del Mar Mediterraneo ed è compresa fra la Mesopotamia, l’Egitto, la penisola del Sinài e l’Arabia.
L’attuale Stato d’Israele è tutto compreso entro questi confini, ma non ne abbraccia che una piccola parte.
b) Corsi d’acqua; il Giordano e la sua depressione
Il solo corso d’acqua della regione che sia degno del nome di fiume è il Giordano (Yardèn) che, scorrendo da nord a sud, divide il paese in due parti distinte: la parte ad oriente del fiume si chiama Transgiordania (‘Èver Hayardèn). Il Giordano nasce alle falde del monte Chermòn, va discendendo rapidamente, attraversa la regione già occupata dal lago di Meròm o Chùle ora quasi del tutto prosciugato, entra nel lago detto Mar di Kinnèret, o lago di Tiberiade, o lag0 di Genèzaret (Ghenusàr), o mare di Galilea a oltre 200 m sotto il livello del mare, ne esce e continua la sua discesa fino a che sbocca nel Mar Morto o Yam Hamèlach (Mare del Sale), o, a circa 400 m. sotto il livello del mare. Esso è un grande lago salato che deve i suoi nomi alla fortissima salsedine delle sue acque e al fatto che in esso manca quasi totalmente la vita animale. La valle del Giordano è in gran parte costituita da una depressione.
Altri corsi d’acqua di una certa importanza sono il Yarkòn e il Kishòn, che sboccano entrambi nel mare Mediterraneo, il primo a Tel Aviv, e il secondo presso Haifa. Numerosi torrenti hanno acqua soltanto nei periodi di pioggia
c) Le pianure
Oltre alla depressione del Giordano, sono da notarsi la pianura di Yizre’èl (‘Èmek Yizre’èl, detta anche Ha‘èmek per antonomasia) che si estende in direzione da nord-ovest a sud-est. dal mare presso Haifa ai monti che formano l’ossatura centrale del paese, e la pianura costiera, lungo il Mare Mediterraneo, fra Gaza e Cesarea, detta Shefelà nella sua parte meridionale, e Sharòn nella settentrionale.
d) I monti
La maggior parte della regione è montuosa. Ai due lati del Giordano si estendono, in direzione generale da nord a sud, due catene di mediocre altezza, che formano la continuazione meridionale del Libano (Levanòn) e dell’Antilibano. Da notarsi specialmente, sono il Carmelo (Karmèl) che si innalza presso la costa del Mediterraneo, nelle vicinanze di Haifa, e i monti della regione centrale detti di Efràim nella parte settentrionale, e di Yehudà (Giuda) nella parte meridionale. Ricorderemo ancora, ad occidente del Giordano, la catena del Ghilbòa‘, nel limite sud-est della pianura di Yizre’èl, e, nella parte meridionale i monti del Nèghev.
Ad oriente del Giordano, sono da notarsi specialmente l’altipiano di Golàn, la pianura di Bashàn, i monti di Ghil’àd e l’altipiano di Moàv.
e) Le steppe
Le estremità meridionale (Nèghev) e orientale del paese sono costituite da regioni steppose che preludono ai deserti della penisola del Sinài da una parte e ai deserti arabici dall’altra. Queste regioni, abbastanza ricche di vegetazione e produttive nella stagione delle piogge, diventano sterili nel periodo estivo di siccità se non vengono irrigate artificialmente.
f) Il clima e le stagioni
In conseguenza della latitudine (circa 31°-33° Nord) il clima è in genere subtropicale. Nelle regioni costiere e in quelle montagnose si avvicina di più al temperato; nelle regioni steppose e nelle depressioni, al tropicale.
L’anno è diviso in due stagioni principali: estate, circa da Pèsach a Sukkòt (aprile-ottobre) e inverno, circa da Sukkòt a Pèsach (ottobre-aprile). L’inizio e la fine dell’inverno sono segnati dalle piogge autunnali (yorè) e da quelle primaverili (malkòsh). Nel periodo invernale sono frequenti le piogge e, nelle zone montuose, non rara la neve; in estate la pioggia è del tutto eccezionale e il calore e la siccità sono mitigati dalla rugiada. Di quando in quando, e specialmente al principio e alla fine del periodo estivo, si hanno giornate calde e secche (sharàv in ebraico, chamsìn in arabo) nelle quali soffia il vento proveniente dal sud-est (rùach kadìm). Solo nelle zone di maggiore altitudine la temperatura scende talvolta fino a pochi gradi sotto zero; la temperatura massima arriva di rado ai 40°, salvo che nelle regioni steppose meridionali.
g) I prodotti principali
Nell’antichità i principali prodotti del paese erano: cereali, olio, vino, varie specie di frutta, datteri. Ora si aggiungono molti altri prodotti, come agrumi, banane, patate, pomodori e molte specie di verdure.
I numerosi boschi abbondavano un tempo di alberi come querce, terebinti, cipressi, tamarischi; il Libano forniva legname da costruzione (cedri del Libano) assai pregiato. In seguito il paese venne quasi del tutto disboscato, e solo negli ultimi decenni è cominciata l’opera di rimboschimento.
I monti forniscono in quantità pietre da costruzione; nell’antichità venivano sfruttate miniere, specialmente di rame. Del tutto mancanti sono i metalli preziosi; abbondanti il sale, e, specialmente nel Mar Morto, l’asfalto e la potassa. Negli anni a noi vicini è stata ripresa l’estrazione del rame e iniziata, non senza successo, la ricerca di pozzi di petrolio, alcuni dei quali sono già in corso di sfruttamento.
h) Gli animali
Sono abbondanti i quadrupedi e i volatili domestici più comuni; i mari e i laghi sono in molti punti ricchi di pesci. Quasi del tutto scomparse sono le bestie feroci; comune è tuttora lo sciacallo.
La Diaspora
Il nostro popolo ha sempre considerato come sua terra il paese che abbiamo sopra brevemente descritto; ma la sua storia oltrepassa di molto i suoi confini. Come vedremo studiando questa, nella maggior parte del tempo della nostra esistenza molti Ebrei, e spesso la loro grande maggioranza, vissero, e tuttora vivono, fuori del nostro paese. Ci furono persino dei periodi in cui solo uno scarsissimo numero di Ebrei visse in terra d’Israele. Il complesso dei paesi abitati da Ebrei fuori di questa terra si chiama diaspora, parola di origine greca che significa dispersione, in ebraico golà, “paese di esilio”.
Non occorre dire che la storia degli Ebrei della diaspora è parte essenziale della nostra storia, e che quindi anche essa dovrà essere da noi studiata. La diaspora ebraica, limitata in origine a pochi paesi non molto distanti dalla terra d’Israele (specialmente Mesopotamia ed Egitto), andò poi estendendosi, tanto che oggi può dirsi quasi non esista paese nel mondo nel quale non vivano Ebrei. La possibilità di vivere secoli e millenni fuori del proprio paese senza perdere la coscienza di appartenere al popolo che in quello ha la sua sede naturale è una delle principali caratteristiche del popolo ebraico.
L’era ebraica
Nei tempi più antichi della nostra esistenza non si usava datare gli avvenimenti secondo un computo continuo a partire da un tempo fisso, ma secondo gli anni dei singoli capi dello stato, o da certi avvenimenti di grande importanza, come l’uscita dall’Egitto, o secondo il computo dei popoli in mezzo ai quali vissero i nostri padri. Da un migliaio di anni circa è invalso tra di noi l’uso di contare gli anni dalla creazione del mondo, ma noi ci serviamo anche del computo usuale presso quasi tutti i popoli, detto dell’era volgare. Gli anni dell’era ebraica hanno inizio col 1° di tishrì del calendario ebraico che cade in settembre o ottobre del calendario europeo; l’anno 5782 dell’era ebraica corrisponde al 2021-2022 dell’era volgare. Nella nostra trattazione ci serviremo generalmente del computo secondo l’era volgare, affinché il lettore possa facilmente mettere in relazione le date degli avvenimenti della nostra storia e quelle dei fatti della storia universale. Ogni anno avanti l’era volgare da gennaio a settembre-ottobre, corrisponde all’anno dell’era ebraica con un numero che si ottiene sottraendolo da 3760; ogni anno dell’era volgare, da gennaio a settembre-ottobre, corrisponde all’anno dell’era ebraica che si ottiene aggiungendogli 3760. Così per esempio, l’anno 587 a.E.V. corrisponde per massima parte al 3173 dell’era ebraica; l’anno 70 E.V. corrisponde per la massima parte all’anno 3830 dell’era ebraica.
Durata e divisione della storia ebraica
La storia del popolo ebraico, fino alla ricostruzione dello Stato d’Israele, si può dividere in quattro grandi periodi:
1) Dalle origini fino alla conquista della terra di Kanà’an (sec. XII a. E.V. circa).
2) Dallo stanziamento in terra d’Israele fino alla distruzione del primo Tempio e il primo esilio (587 a.E.V.)
3) Dal ritorno di una parte della popolazione dal primo esilio alla distruzione del secondo Tempio e al secondo esilio (70 E.V.)
4) Dal secondo esilio alla ricostruzione dello stato d’Israele (1948 E.V. – 5708 dell’era ebraica).
Siccome dalle origini del popolo nostro fino al suo stanziamento nella sua terra passarono non meno e forse più di 500 anni circa, noi sappiamo di avere una storia che fino ad oggi comprende poco meno di 4000 anni circa. Nessuno dei popoli civili oggi esistenti nel mondo ha la coscienza di una storia così lunga e quindi noi possiamo a ragione dire di essere il popolo più antico fra i popoli antichi che oggi esistono. Lo studio della nostra storia servirà a spiegarci le ragioni per cui la nostra vita è così lunga e perché noi abbiamo la convinzione che il popolo nostro, che ha visto e vedrà sparire tante altre nazioni, durerà quanto il mondo e perciò suole designarsi come “popolo eterno” (‘am nitzchì; ‘am ‘olàm).
La lingua ebraica
Uno dei segni più importanti e visibili dell’unità di un popolo è l’unità della lingua. Il popolo ebraico parla oggi in terra d’Israele una lingua che è, nelle sue linee fondamentali, la stessa che parlava al tempo della sua origine. È questa la lingua ebraica (‘ivrìt) detta anche la lingua sacra (leshòn hakòdesh) perché in essa sono scritti i libri che il popolo d’Israele ha sempre considerato, e considera tuttora, come libri sacri.
Nei paesi della diaspora gli Ebrei, per quanto abbiano parlato e parlino abitualmente la lingua dei popoli in mezzo ai quali essi vivono, non hanno però mai cessato di studiare la lingua ebraica, di adoperarla in alcune manifestazioni della loro vita, di scrivere libri in essa e di farne uso per le relazioni fra Ebrei abitanti in paesi diversi che parlano linguaggi differenti. Oggi essa è la lingua adoperata per tutti gli usi dagli Ebrei viventi nello stato d’Israele e sua lingua ufficiale, oltre che la lingua in cui i suoi cittadini comunicano generalmente con gli Ebrei abitanti nelle varie parti del mondo.
La lingua ebraica appartiene al gruppo delle lingue semitiche, ed è quindi affine, fra le lingue parlate oggi, all’arabo. Con l’andare del tempo essa si è, come tutte le lingue, andata evolvendo, e ha adottato parole e modi di dire ed espressioni derivanti da altre lingue.
La vita ebraica e il pensiero ebraico
Ogni popolo ha il suo modo di vivere e le sue concezioni sul mondo e sulla divinità. Le basi di quella del popolo d’Israele sono quelle stabilite dalla Torà che il popolo ha accettata, nei primordi della sua esistenza, come legge divina. Nello studio della nostra storia vedremo che, per quanto non sempre tutto il popolo si sia mostrato né si mostri oggi fedele ai principi a cui avrebbe dovuto uniformarsi, lo studio e l’osservanza della Torà non sono mai stati del tutto abbandonati; e così Israele ha potuto, unico fra i popoli dell’antichità che perdettero il loro paese e la loro indipendenza politica, salvarsi dal fondersi cogli altri popoli, dalla cosiddetta assimilazione, e quindi riprendere la sua vita normale nella propria terra dopo circa duemila anni di vita in esilio.
Periodo primo
Capitolo 1 – L’origine del popolo d’Israele
Le fonti
I patriarchi e le tribù: a) Avrahàm e Yitzchàk; b) Ya’akòv e i suoi figli
Civiltà patriarcale: a) Generalità; b) La tribù e la famiglia: c) Vita privata; d) Vita sociale; c) Religione e culto; f) Onoranze ai defunti e credenze sull’oltretomba
Le fonti
Quello che noi sappiamo delle origini del popolo di Israele è fondato su quanto è narrato nel primo Libro della Torà, detto Genesi (Bereshìt) e su tradizioni orali conservate e messe per iscritto dai nostri Maestri. Da antichi documenti soprattutto egiziani e mesopotamici, che furono scoperti a partire specialmente dal secolo scorso, si possono desumere notizie che, senza riferirsi direttamente alla nostra storia, illustrano l’ambiente nel quale vissero i nostri progenitori e i costumi che vigevano nei paesi da loro abitati.
I patriarchi e le tribù
a) Avrahàm e Yitzchàk
Le origini del popolo d’Israele, come quelle di tutti i popoli, non sono ben note in ogni loro particolare. Dalle notizie forniteci dal libro della Genesi, combinate col poco che si può rilevare da altre fonti, risulta che varie tribù seminomadi di stirpe semitica, così chiamate perché dal racconto della Torà risultano discendenti da Shem (Sem), figlio di Noè scampato dal diluvio, che risiedevano in Mesopotamia, andarono per lungo tempo errando fra questo paese, la terra detta poi terra d’Israele, e l’Egitto. A una di queste tribù, designata col nome di ‘Ivrìm, appartenne un uomo di nome Avrahàm (Abramo) chiamato prima Avràm, figlio di Tèrach. Quando egli nacque, la tribù abitava in Ur, città antichissima, situata nella Babilonia meridionale, esistente, a quanto pare, già circa 3500 anni avanti l’Era Volgare. Di Ur sono rimaste molte rovine che testimoniano della sua passata grandezza ed importanza. Durante gli anni della giovinezza di Avrahàm la tribù, a capo della quale era allora Tèrach, si trasferì in Haràn, altra antichissima città della Mesopotamia. Gli abitanti di Ur e di Haràn, come tutti gli uomini in quel tempo, adoravano gli idoli e gli astri, e in quelle città era particolarmente diffuso il culto alla luna. Avrahàm invece riconobbe che gli astri e tutto quello che esiste nel mondo sono creature di un unico Dio, e, avendo udito una voce, nella quale egli riconobbe la voce di Dio, che gli comandava di lasciare il paese dove abitava per recarsi in altra terra, ubbidì e si trasferì con una parte degli appartenenti della tribù di Tèrach nel paese di Kanà’an. Qui ebbe ripetutamente delle visioni divine nelle quali gli fu promessa una discendenza alla quale Dio avrebbe, dopo secoli, concesso quel paese e che sarebbe stata a Lui fedele ed obbediente alle leggi di morale e di giustizia che Egli avrebbe date. Molti aneddoti della vita di Avrahàm riportati nella Torà e nei racconti dei nostri Maestri provano la sua fedeltà a Dio: è in modo particolare ricordato che egli sarebbe stato disposto a sacrificargli suo figlio Yitzchàk (Isacco).
Col trasferimento di Avrahàm nel paese di Kanà’an la storia della sua tribù si stacca da quella degli altri ‘Ivrim; ma con questo nome continuarono talvolta ad essere designati i suoi discendenti, specialmente nel linguaggio degli stranieri. Da questo nome deriva quello di Ebrei. Come capi del gruppo di Avrahàm dopo la morte di lui la Torà ci ricorda suo figlio Yitzchàk e il figlio di questo Ya’akòv (Giacobbe). Avrahàm, Yitzchàk e Ya’akòv sono detti i patriarchi (avòt) cioè i progenitori del popolo d’Israele. La Torà ci parla anche di altri figli di Avrahàm e di Yitzchàk, ma essi formarono dei gruppi separati, e solo dodici figli di Ya’akòv, chiamato anche Israèl, costituirono il primo nucleo del popolo detto poi, oltre che popolo ebraico, popolo d’Israele. L’origine di questo risale però ad Avrahàm, che, nell’abbandonare la parte della famiglia di suo padre che rimase a Haràn mostrò di voler dare origine ad un popolo Avrahàm, (zèra‘ Avrahàm). Non sempre gli appartenenti ai vari gruppi discendenti da Avrahàm vissero in pace fra di loro: ostilità e amicizia si alternarono, come risulta fra l’altro, da quello che la Torà ci narra sui rapporti fra Yitzchàk e Yishma’èl (Ismaele) figlio di Avrahàm e di una sua schiava. Avrahàm ed Yitzchàk risiedettero abitualmente nel paese di Kanà’an. Per quanto essi abitassero in esso come forestieri, lo considerarono come vera loro patria. Avrahàm non ne uscì se non per recarsi talvolta in Egitto, quando nel paese di Kanà’an mancavano i viveri; Yitzchàk non ne uscì mai. Essi erano convinti che si sarebbe avverata la promessa divina fatta ad Avrahàm, e rinnovata ripetutamente a Yitzchàk e Ya’akòv, che quel paese sarebbe divenuto possesso dei loro discendenti. Di questa loro convinzione la Torà ci dà anche alcune prove: così l’acquisto che fece Avrahàm di un terreno e della grotta detta Makhpelà nella città di Chevròn (Hebron) ad uso di sepolcro di famiglia.
I rapporti tra i primi patriarchi e le popolazioni in mezzo alle quali vissero furono generalmente pacifici, e non di rado vennero stipulati dei patti di amicizia. Non mancarono però incidenti e contrasti, specialmente per il possesso e l’uso di pozzi.
b) Ya’akòv e i suoi figli
Ya’akòv, per sfuggire all’odio del fratello ’Esàv (Esaù), col quale era venuto a contesa per i diritti di primogenitura, si trasferì in Mesopotamia presso lo zio Lavàn (Labano) di cui sposò due figlie, Leà (Lea) e Rachèl (Rachele). Da queste e da due loro schiave ebbe dodici figli maschi. Da Leà gli nacquero Reuvèn (Ruben), Shim’òn (Simone), Levì, Yehudà (Giuda), Issachàr e Zevulùn. Da Rachèl nacquero Yosèf (Giuseppe) e Binyamìn (Beniamino); da Zilpà, schiava di Leà, nacquero Gad e Ashèr; da Bilhà, schiava di Rachèl, Dan e Naftalì. Ya’akòv considerò come suoi figli tutti e dodici, qualunque fosse la loro madre; però volle usare una distinzione a Giuseppe e stabilì in punto di morte che egli avrebbe dato origine a due tribù, designate ciascuna col nome di uno dei suoi figli: Efràim e Menashè (Manasse). Le tribù sono dunque effettivamente tredici; si suole però parlare delle dodici tribù, sia perché dodici sono i loro progenitori e sia perché, come vedremo in seguito, una delle tredici non ebbe in terra d’Israele un territorio suo proprio.
Anche Ya’akòv visse generalmente in buoni rapporti con i popoli in mezzo ai quali viveva. Atti di grande ostilità si ebbero però quando, come narra la Torà, venne rapita e violata Dina, figlia di Ya’akòv, da un principe cananeo di Sichem, e due dei fratelli di lei, Shim’òn e Levì, fecero per vendetta strage degli abitanti della città.
L’età dei patriarchi è da collocarsi, a quanto pare, nella prima metà del secondo millennio (2000-1500 circa) a. E.V. Alcuni storici pensano che il famoso re babilonese Hammurabi (sec. XX) sia contemporaneo di Avrahàm e da identificarsi con Amrafèl (Genesi XIV), ma la cosa è tutt’altro che sicura.
Civiltà patriarcale
a) Generalità
La civiltà patriarcale, cioè la civiltà dei Semiti immigrati in Kanà’an dalla Mesopotamia, è una civiltà di seminomadi, dedicati essenzialmente alla pastorizia, e anche, quando si presenta la possibilità di stanziamento in sedi adatte, all’agricoltura.
b) La tribù e la famiglia
Per quel che riguarda i costumi familiari e la vita sociale, la civiltà patriarcale presenta grandi analogie con quella mesopotamica contemporanea, come è naturale, dato il luogo d’origine di Avrahàm.
Il patriarca è il capo della tribù costituita dalla sua famiglia, dai suoi schiavi e da coloro che ad essa si sono aggregati. Alle consuetudini patriarcali non era estranea la poligamia, l’uso cioè che un uomo avesse più mogli; questo uso però non era comunemente seguito, se non nella forma speciale che consisteva nel matrimonio con una schiava della moglie. Così Avrahàm ha, oltre alla moglie Sarà, la schiava di questa Hagàr (Agar); Yitzchàk ha una sola moglie, Rivkà (Rebecca). Ya’akòv prende, contrariamente alla sua volontà, due sorelle per mogli: Leà e Rachèl; e poi altre due, schiava ciascuna di una di esse.
Il figlio ereditava dal padre; speciali diritti aveva il primogenito o il preferito. Il figlio nato dalla schiava non aveva, in origine, parte nell’eredità paterna: Yitzchàk è unico erede di Avrahàm, escludendo dall’eredità Yishma’èl, figlio di Hagàr. I dodici figli di Ya’akòv furono invece tutti eredi del padre, perché i discendenti di tutti loro erano destinati a costituire il popolo d’Israele.
c) Vita privata
I patriarchi abitavano in tende che servivano a tutta la famiglia, o a singoli membri di essa. L’alimentazione consisteva soprattutto in carne, latticini e pane non fermentato. L’ospitalità era largamente praticata. Come animali da trasporto sia di persone che di oggetti servivano l’asino e il cammello. Sconosciuto era l’uso del cavallo. Ci mancano notizie particolari sul vestiario.
d) Vita sociale
Non abbiamo notizie particolari precise sul modo come essa fosse organizzata. Certamente i legami fra i membri della tribù erano molto stretti, e, in caso di controversie, decideva il patriarca, assistito forse dai membri più anziani del gruppo. Non si ha traccia di veri e propri tribunali.
e) Religione e culto
Base della vita religiosa è la venerazione di un solo Dio concepito come un essere potentissimo che risiede al di sopra della terra ma che esercita il suo potere nel mondo: i suoi devoti hanno verso di Lui, non solo l’obbligo di rendergli omaggio e di e di prestargli culto ma anche di fare il bene e di esercitare la giustizia. Dio, che non è un essere materiale, si manifesta in modo sensibile mediante sogni, visioni, messaggeri in forma umana (malakhìm) chiamati nelle lingue moderne, con voce greca, angeli (“messaggeri”).
Il culto consiste essenzialmente in sacrifici che sono da Dio graditi. Le vittime sono costituite da animali bovini e ovini e da volatili. Non risulta che si offrissero sacrifici in tempi determinati, né che essi fossero regolati da norme speciali. La pratica del sacrificio umano è esclusa dal culto dei patriarchi. Avrahàm, quando sta per immolare il proprio figlio obbedendo a un ordine che si sentì rivolgere da Dio, è trattenuto da un messo divino che gli spiega che, se Dio gli aveva ordinato il sacrificio, ciò era stato soltanto perché ci fosse una prova della sua obbedienza. Non consta che nell’epoca patriarcale esistessero templi o santuari, o persone destinate al culto (sacerdoti) o feste. I sacrifici venivano offerti all’aperto su altari. I patriarchi solevano costruire altari nei luoghi dove risiedettero. In particolari circostanze individuali, i patriarchi si rivolgevano a Dio con preghiere. Come segno del patto fra Dio e Avrahàm e la sua discendenza i patriarchi praticarono la circoncisione (milà), secondo l’ordine che Avrahàm sentì di ricevere da Dio. Essa era praticata anche da altri popoli, ma per Israele costituì il segno materiale del patto fra Dio ed esso.
f) Onoranze ai defunti e credenze sull’oltretomba
Nell’età patriarcale si onoravano i defunti con la sepoltura in grotte e con atti di lutto, uno dei quali consisteva nella lacerazione degli abiti. Da vari accenni risulta che, secondo le concezioni dei patriarchi, esisteva qualche forma di vita dopo la morte terrena. Il luogo di residenza di quel che si pensava rimanesse dei defunti è detto Sheòl.