Il rabbino capo Riccardo Di Segni parla delle scuole chassidiche di New York dopo gli ultimi provvedimenti del Board of Regents
Gli ebrei di New York rappresentano circa il 13% della popolazione della città, rendendo la comunità ebraica la più grande al mondo al di fuori di Israele. Immigrati all’inizio del XX secolo, hanno un impatto significativo sulla cultura della metropoli, soprattutto dal XXI secolo, dopo la forte esplosione demografica dettata dall’alto tasso di natalità delle comunità chassidiche, oggi stanziate a Williamsburg, Brooklyn, cuore ebraico del mondo.
Fra i gruppi ultraortodossi ebraici di New York quello più numeroso è Satmar, nato nell’est Europa (nell’attuale Polonia meridionale) ad opera del Rabbi Israel Baal Shem Tov che, pur in armonia e parità con gli altri osservanti, si contraddistingue per la severità delle sue regole, per un approccio alle Sacre Scritture di stampo molto conservativo, per una interpretazione estremamente rigida della Halakhah (la legge ebraica) e un sistema scolastico tradizionale incentrato sullo studio del Talmud.
Dopo una recente inchiesta pubblicata, l’11 settembre 2022, dal New York Times, l’istruzione ebraica si è trovata al centro di un’accesa polemica. Il giornale descrive come più di cento scuole private ultraortodosse (yeshiva), di New York, negano ai loro allievi nozioni di scienze e storia, forniscono pochi insegnamenti di matematica, un inglese del tutto insufficiente (la lingua d’uso è lo yiddish), e proibiscono ogni contatto col mondo circostante. Nel dettaglio il sistema educativo chassidico viene accusato di molta preghiera e poca integrazione. Questo ha suscitato un forte malcontento dei gruppi ultraortodossi di Brooklyn, che disapprovano gli ultimi provvedimenti emanati dal Board of Regents dell’Università dello Stato di New York, e difendono il diritto alla libertà religiosa, la continua crescita del numero degli studenti nelle yeshiva (le iscrizioni alle scuole ebraiche sono aumentate del 62,6% dal 2000) oltre che il successo degli insegnamenti tradizionali.
In quella sintesi di storia e tradizione che sono gli ebrei di New York è complicato poter negoziare con successo il conflitto tra il fortissimo senso di appartenenza ebraico e l’americanizzazione. “Alla radice dell’ostilità antiebraica, difficile da sintetizzare, si può dire che ci sia la paura per il diverso”, scrive Rav Riccardo Shemuel Di Segni, medico e rabbino capo di Roma, che concede alla Voce di New York un’intervista, per chiarire l’importanza delle comunità ebraiche minoritarie di cui spesso si parla in termini impropri.
Questo non è certo un tempo semplice. L’antisemitismo purtroppo c’è, esiste, in mutevoli forme e non è così scontato riuscire a spiegare il valore e l’importanza delle comunità ebraiche soprattutto di quelle più difficili da afferrare come le chassidiche. Possiamo cominciare con una domanda base: chi è ebreo? L’ebraismo è una religione in cui si deve nascere o la si può scegliere?
“Secondo la definizione classica, quella dell’ebraismo ortodosso, ebrei si nasce, da una madre ebrea, o ci si diventa, impegnandosi a condividere la fede e seguire le regole della religione ebraica. È una definizione che comprende sia una componente “nazionale” di appartenenza che una componente religiosa. Rispetto a queste due componenti gli ebrei si identificano con l’ebraismo nei modi più disparati: di fatto oggi per la maggioranza degli ebrei, che si ritengono tali, l’identificazione è storica, familiare, culturale, e la religione può avere un ruolo minore o marginale”.
L’afflusso di non ebrei nelle comunità di New York spesso non è visto di buon occhio, c’è una tendenza alla chiusura piuttosto che ad attrarre e accogliere “il diverso” nella bolla. Perché?
“Nel mondo e a New York in particolare vi sono tante diverse modalità identitarie e organizzative ebraiche. In generale l’ebraismo non fa proselitismo, rispetta le convinzioni altrui e non preme perché le persone non ebree si convertano all’ebraismo. Se qualcuno desidera farlo, gli si spiega che questo è possibile solo se si impegna a seguire le regole religiose. È una strada difficile da percorrere, che implica un cambiamento della vita e gli ebrei non chiedono ad altri di farlo”.
Come dottore della Legge può sicuramente aiutare a capire gli aspetti meno intuitivi dell’intensa discussione che ruota attorno il sistema educativo hasidico delle yeshiva di Brooklyn, New York e della bassa Hudson Valley. A questo proposito, dove’ è la complicazione fra la conservazione della tradizione ebraica con l’integrazione nel mondo contemporaneo?
“L’ebraismo nella sua storia plurimillenaria si è sempre misurato con il mondo esterno che rappresenta, per le sue idee, valori, abitudini, cultura, una realtà diversa. La domanda è se e cosa accettare nell’ebraismo di tutto questo. Le risposte sono state e continuano ad essere variabilissime. Dipendono da tanti fattori. Ma pensare a una totale impermeabilità come potrebbe essere quella che appare dall’immagine che alcuni gruppi ebraici, peraltro minoritari, danno di sé, è sbagliato. C’è sempre un’osmosi bidirezionale, che sia dichiarata o no”.
Molti sono i giovani, di New York e non solo, che vivono una doppia cultura. Questo è un limite rispetto all’approfondimento della tradizione ebraica? Quanto è difficile affermare la propria identità?
“L’ebraismo, anche quello più ortodosso, può essere vissuto fedelmente anche quando si è immersi in un mondo estraneo. Affermare la propria identità è sempre stato difficile in una realtà che tende all’omologazione. Anche le società che si dichiarano le più libere e aperte hanno forme di omologazione pervasiva, di conformismo obbligatorio e di criminalizzazione del pensiero differente. Un ebreo che vuole mantenere la sua identità è automaticamente opposto a queste tendenze, e questa probabilmente è sempre stata una delle cause dell’ostilità antiebraica. D’altra parte sono proprio gli ebrei, che tendono all’assimilazione, i più polemici e imbarazzati nei confronti degli ebrei che “resistono”. Ma il messaggio dovrebbe essere che la società è tanto più bella e ricca quanto più è diversa e non omogenea nei pensieri e nei comportamenti”.
Qual è il messaggio che desidera arrivi sulle lavagne delle scuole ebraiche affinché i ragazzi riescano a vivere, e non tradire, la religione senza rinunciare ai loro sogni?
“Che se esiste una reale contrapposizione tra religione e sogni, i sogni potrebbero essere sbagliati, ma se i sogni sono buoni non c’è bisogno di tradire”.