In tre giorni tutto è cambiato: scritte sui muri, i bambini portati via di corsa dopo la scuola
Paolo Conti – Corriere della Sera
La scritta è in spray nero: «Boicotta Israele/ Boicotta l’apartheid». Campeggia sul legno che protegge il restauro del cinquecentesco Palazzo Caetani alle Botteghe Oscure. Dietro quell’immensa mole c’è l’antico Ghetto. La città ebraica nel cuore della città di Roma. là, almeno dal XII secolo, vive la comunità degli ebrei romani. la più antica della Diaspora nel Mediterraneo, duemila anni di radicamento tra Cesari e Papi. II Ghetto fu abolito, solo nel 1870, ultimo in Europa Occidentale, dopo l’unità.
Lo spray; invece, ha poche ore. Risale a lunedì pomeriggio, al corteo pro Palestina. Da lì hanno gridato «assassini, fascisti» al centinaio di ebrei romani corsi con la bandiera israeliana in piazza dell’Enciclopedia Italiana, il varco accanto a Palazzo Caetani, per evitare pericolose «invasioni» del Ghetto. Alberto Mayer, a anni, è un commerciante ma è anche uno studioso di ebraismo: «Cantavano “Bella ciao” verso di noi. lo ho dei partigiani, tra i miei familiari. E proprio non vedo similitudine tra la Resistenza e ciò che è avvenuto in queste ore…». I manifestanti non sono entrati ma hanno lasciato un scritta. Che a molti ebrei pare un segnale.
L’antico Ghetto vive ore dure. Polizia e carabinieri hanno triplicate controlli e presenza L’angoscia stona coi cartelli che invitano all’allegro pranzo di Shabbat «T’empio lo stomaco», organizzato per sabato, 5 al prezzo di 10 euro per i giovani romani dai 18 al 35 anni, cibo kosher assicurato. Più in là, convocazione per il 4 giugno alle 9 al Tempio, 66° anniversario della sua riapertura dopo il fascismo. Prove concrete di dialogo, di confronto, di apertura. Adesso, c’è la paura che le ultime vicende riportino indietro molti, troppi orologi
Perché tutto è cambiato in tre giorni. Per esempio l’uscita dei bambini della scuola primaria «Vittorio Polacco» in via del Tempio, angolo piazza Giudìa, come qualsiasi ebreo da secoli chiama lo slargone pedonalizzato tra l’attuale via del Portico d’Ottavia e le Cinque Scole. Fino a tre giorni fa i bambini, a scuola finita, giocavano in piazza, si rincorrevano, si perdevano d’occhio, ma non c’era paura. Adesso arrivano genitori, nonni, spalancano le macchine («’ahò, salite qui, sbrigàteve!»). O si va via subito a piedi. Lo stesso succede ai ragazzi della secondaria «Angelo Sacerdoti». Più fluida l’uscita del liceo «Renzo Levi».
L’incubo degli ebrei romani ha una data: 9 ottobre 1982, attacco al Tempio, un attentato di estremisti palestinesi. Stefano Gaj Taché, di due anni appena, e ferisce 24 persone. Andrea Limentani, 35 aiuti, avvocato, ricorda bene quelle ore: «Lunedì hanno gridato “assassini” a noi ebrei romani. Poco prima dell’attentato del 1982, durante un corteo dei sindacati unitari qualcuno depositò una bara davanti al Tempio, sotto la lapide che commemora la deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943. Oggi, stesso clima. Un’atmosfera ostile trasversale, da destra come da sinistra, che spesso diventa antisemitismo. Sull’eccidio non può che esserci rammarico e dispiacere per il dramma dei morti civili. Ma prima di giudicare sarebbe bene capire. Perché tutto è successo su quella sola nave tra le tante altre?»
Ancora Alberto Mayer: «Tuttora non c’è una percezione esatta di cosa significhi essere ebrei italiani, romani ed essere israeliani. Noi siamo cittadini romani ebrei Amiamo Israele. Ma possiamo nutrire un senso critico verso le sue scelte come qualsiasi altro cittadino europeo. Viviamo a Roma e, di fronte a certe manifestazioni, ci sentiamo impotenti» Il 1982? «Lo ricordo come fosse adesso, avevo 15 anni. Purtroppo le analogie sono tante. Sicuramente è diverso il clima politico».
La vita del Ghetto non si ferma. I turisti affollano i ristoranti kosher («Giggetto al Portico d’Ottavia», «Ba’Ghetto», «Kosher Bistrot Caffè»). Trionfi di carciofi alla giudia, odore di fritti e di spezie, di dolci caramellati del mitico forno di piazza, tutto si mischia e si lega alla cucina romanesca e del Medio Oriente. Avverte Leo Terracina, 47 anni, commerciante: «Se lunedì pomeriggio non fossimo stati pronti a difendere il nostro territorio, il casino sarebbe stato inevitabile. La paura è che la prossima volta non vengano a manifestare spinti dall’antisionismo ma direttamente dall’antisemitismo. I morti? Arabi o israeliani che siano, quando ci sono, significa che tutti hanno perso».
Angelo Sermoneta, detto «Baffone», motore dell’associazione «I ragazzi del ’48» in via della Reginella «Ma cosa c’entriamo noi ebrei romani con gli israeliani? Perché devo andare a pregare al Tempio tra camionette di polizia e carabinieri? Forse abbiamo rubato? E poi, per giudicare gli avvenimenti, aspettiamo l’inchiesta, no?». C’è la fila al forno dei dolci. Risate: «C’è la crostata?» Sembra un giorno qualsiasi. Ma no, non lo è.