Tratto principalmente da una derashà di Rav Sacks e da un articolo di Rav M. Angel
Da dove arriva, nella civiltà occidentale, l’idea che l’uomo possa cambiare? Non si tratta di un’idea ovvia. Molte grandi civiltà semplicemente non pensavano in questi termini. I greci erano convinti che siamo quello che siamo, e non possiamo cambiarlo. Tutto è manovrato dal destino. Siamo nati con un certo destino, anche se sarà necessaria una certa dose di coraggio per divenire quello che siamo potenzialmente. Si nasce eroi, non ci si diventa. Platone credeva che vi fossero esseri umani d’oro, altri d’argento, altri ancora di bronzo. Aristotele credeva che alcuni fossero nati per governare, altri per essere governati.
Ancor prima di nascere, il destino di Edipo e di suo padre Laio era stato predetto dall’oracolo di Delfi, e nessuna azione umana potrà evitare che quel destino si avveri. Questo è esattamente il contrario di quanto affermiamo a Rosh ha-shanah, quando diciamo nell’Untanè toqef che la teshuvah, la tefillah e la tzedaqah possono controvertire il decreto malvagio. Questo è quanto avvenuto agli abitanti di Ninive, come leggiamo nel libro di Yonah. Il decreto voleva che di lì a quaranta giorni Ninive sarebbe stata distrutta, ma il popolo di Ninive si è pentito, e il decreto annullato. Non esiste un destino definitivo, nessuna diagnosi conduce a morte certa. Metà delle barzellette ebraiche si basano su questa idea. Più ci si confronta con le varie visioni del mondo, più ci si rende conto che l’ebraismo è il primo sistema a sviluppare in maniera chiara il libero arbitrio. Come notava argutamente Isaac Bashevi Singer: dobbiamo essere liberi, non abbiamo scelta. Questa idea è al centro del concetto di teshuvah. Non è solo confessione delle colpe, non è solo rimorso, è anche determinazione a cambiare, decidere di imparare dai propri errori, agire diversamente in futuro, mostrarsi determinati nell’essere una persona diversa.
Parafrasando Rav Soloveitchik, essere ebrei vuol dire essere creativi, e la più grande creazione è il nostro sé. Nel Tanakh assistiamo ad un processo in cui le persone cambiano. Il primo esempio ovvio è Mosheh, colui che si dichiarava, all’inizio della propria missione, incapace di parlare facilmente o fluentemente, e si tramutò nel più eloquente e visionario dei profeti. Mosheh è cambiato. Uno dei contrasti più affascinanti è quello fra due profili che si assomigliano, ed anzi vengono considerati a volte delle incarnazioni successive, Pinechas ed Eliahu. Entrambi erano caratterizzati da un grande zelo. Ma Pinechas è cambiato. E’ divenuto un uomo di pace. Lo vediamo alla fine del libro di Yehoshua condurre un negoziato di pace fra le tribù di Reuven e Gad, che si erano stabiliti oltre il Giordano, una missione portata a termine con successo. Elia era zelante non meno di Pinechas. Vediamo che dopo la grande sfida con i profeti di Ba’al sul monte Carmelo il Signore gli chiede: Cosa stai facendo qui Eliahu? Eliahu risponde: sono stato molto zelante per il Signore D. onnipotente. Il Signore manda un turbine, un terremoto, un fuoco, ma D. non era in tutto questo.
Poi parlò in una qol demamah daqah, una voce minuscola, e pose ad Elihau la medesima domanda, e la risposta di Eliahu fu ancora la stessa. A quel punto D. nominò Elisha’ come successore di Eliahu. Eliahu non è cambiato. Non ha capito che D. ora vuole un tipo diverso di leadership, difendendo Israele e non criticandolo. Chiede ad Eliahu di effettuare un cambiamento simile a quello compiuto da Pinechas, ma Eliahu, a differenza di Pinechas non cambiò. Anche le sue parole, nonostante la visione grandiosa ricevuta, non cambiano. Era divenuto troppo santo per questo mondo, e il Signore lo portò in cielo su un carro di fuoco. Non siamo incatenati da un destino. Anche oggi la scienza ritiene che siamo determinati nei nostri comportamento dal nostro DNA. La libera scelta e il cambiamento di carattere, dicono, sono illusioni. Dicendo così sbagliano. Una delle grandi scoperte degli ultimi anni è quella della plasticità del cervello. L’esempio più drammatico riguardò una neuroscienziata di Harvard, che fu colpita da un brutto ictus, che distrusse il funzionamento dell’emisfero sinistro del suo cervello, all’età di 37 anni. Perse la capacità di camminare, parlare, leggere, scrivere, o persino ricordare i dettagli della propria vita. Ma per via delle sue competenze sapeva perfettamente che le fosse successo. Per questo si mise a lavorare duramente con sua madre per otto anni, per esercitare il proprio cervello, e alla fine riuscì a recuperare tutte le proprie facoltà, usando l’emisfero destro per sviluppare le abilità proprie dell’emisfero sinistro.
Questo è un esempio significativo del fatto che con uno sforzo di volontà, possiamo cambiare non solo il nostro comportamento, le nostre emozioni, il nostro carattere, ma anche la stessa architettura del nostro cervello. Questa è la sfida della teshuvah. Nella vita ci sono problemi tecnici e problemi adattivi. Quando abbiamo un problema tecnico ci affidiamo ad un esperto. Stiamo male, andiamo dal medico, che ci dà una terapia. Ma, a volte, quando abbiamo un problema adattivo, siamo noi il problema. Possiamo andare dal medico, che ci dirà che alle lunghe la pillola non aiuterà, dobbiamo cambiare stile di vita. Quando è così tutte le pillole del mondo non sono di aiuto. Di fronte ad un problema adattivo dobbiamo fare teshuvah, e la teshuvah parte dall’idea che possiamo cambiare. Spesso ci diciamo che non possiamo. Ci sentiamo troppo vecchi, troppo abituati. Cambiare è troppo gravoso. Quando diciamo così, ci priviamo del più grande dono che D. ci ha dato, la capacità di cambiare. Di Kippur dobbiamo mostrare di avere il coraggio di cambiare. Se crediamo che non possiamo, non lo faremo. Riuscire a crescere nel nostro ebraismo, nella nostra maturità, nella nostra conoscenza, nella nostra sensibilità, o rimarremo identici a prima? Non dovremmo mai pensare di non avere le risorse per cambiare.
Troviamo un esempio importante della capacità di cambiare nella parashah di Vayelech, nella quale troviamo il passaggio di consegne fra Mosheh Rabbenu e Yehoshua, che ne prenderà il posto. Nel cap. 31 (v. 7) leggiamo: Quindi Mosè chiamò Giosuè e gli disse dinnanzi a tutto il popolo d’Israele: Sii forte e coraggioso perché tu perverrai con questo popolo alla terra che il Signore giurò di dare ai loro padri e tu la darai loro in possesso. Il senso del versetto sembra chiaro: abbiamo un trasferimento di competenze di fronte a tutto il popolo ebraico. Rav Ovadiah Yosef però, basandosi sulla divisione del versetto in base ai te’amim, dà una lettura differente. In realtà Mosheh dice a Yehoshua di essere forte e coraggioso dinnanzi a tutto il popolo di Israele. Mosheh era preoccupato circa la capacità di Yehoshua di assumere il potere. Sino ad allora si era rivelato un ottimo numero due; era una persona umile, e questo è un bene. Eppure, per guidare il popolo, era necessario avere forza e coraggio. Va bene essere umili e schivi, ma in privato. Quando si è dei leader è necessario essere forti e coraggiosi. E’ necessario infondere fiducia nel popolo, non si può essere incerti. Quanto Mosheh dice a Yehoshua è importante per tutti noi. Dobbiamo mantenere certamente l’umiltà, ma in determinati momenti dobbiamo mostrarci forti e coraggiosi, quando siamo di fronte a tutto Israele. Quando siamo chiamati a difendere pubblicamente il nostro popolo, siamo tenuti a prendere il coraggio a due mani, mettendo da parte la nostra umiltà. Quando il male sembra prendere il sopravvento nel mondo, non possiamo ritrarci umilmente. Questo messaggio trova anche eco nei simboli del mese di Tishrì, lo Shofar, che ha forma ricurva, simboleggia l’umiltà, ci pieghiamo di fronte a D. con contrizione. Ma a Sukkot prendiamo il Lulav, che punta in alto. Un lulav ricurvo non è adatto per compiere la mitzwah. Non dobbiamo indietreggiare di fronte agli attacchi e le provocazioni dei nostri nemici, siamo tenuti a difendere i nostri ideali con forza e coraggio. La nostra interiorità deve essere segnata dall’umiltà, ma l’umiltà non deve impedirci di agire mostrando coraggio in pubblico. Per il bene del popolo di Israele e della Torah dobbiamo puntare in alto.