Rabbì Yaakov Neuberger riporta la storia di un uomo, abbastanza rozzo e di certo non acculturato, che conduceva una vita modesta, ma che, stranamente, versava generose offerte per sostenere la Yeshivàh di Volozin, costituita da poco. Ciò incuriosì molto Rabbì Chayim di Volozin, che rimase ancora di più stupito quando, una volta, l’emissario della Yeshivàh incaricato della raccolta fondi, recatosi da quell’uomo, tornò a mani vuote. E’ difficile immaginare cosa passò in mente a quell’uomo modesto quando un gigante della Toràh come Rabbì Chayim si presentò a casa sua, una casa modesta, senza alcuna forma di agio, nella quale non si respirava l’aria dello studio della Toràh.
Avendo intuito subito lo scopo della visita, non essendo sprovveduto, il donatore spiegò come fosse felice ogni anno di finanziare le attività della Yeshivàh, e come la cosa fosse per lui fonte di soddisfazione, visto che l’emissario era vestito e viaggiava in modo modesto, senza alcuno sfarzo. Ma l’ultima volta gli era parso che fosse cambiato qualcosa. Infatti l’emissario, accompagnato da un aiutante, era vestito in modo elegante, e arrivava in groppa ad un cavallo ben curato. Il donatore era ben felice di aiutare dei giovani indigenti desiderosi di studiare Toràh, ma perché avrebbe dovuto sostentare dei bei cavalli? Rabbì Chayim gli spiegò che effettivamente era cambiata la politica nel fundraising, ed egli stesso aveva approvato questi cambiamenti. Fra l’altro questa nuova strategia stava portando buoni frutti, visto che le entrate della yeshivàh aumentavano. Certamente Rabbì Chayim in cuor suo era rammaricato, perché la natura umana impone di avvalersi di questi sistemi, ma per rassicurare il donatore gli garantì che la sua offerta sarebbe stata usata solo ed esclusivamente per il vitto e l’alloggio degli studenti, e non per i cavalli.
Rabbì Chayim chiese al padrone di casa una ghemarà o una mishnàh, ma, come si sarebbe potuto facilmente intuire, quell’uomo modesto non le possedeva. Aveva però in casa un Chumash, che Rabbì Chayim aprì alla parashàh di Wayaqhel, dalla quale lesse i versi relativi a Betzalel, che secondo la Toràh (Shemot 35,30-32) era dotato di spirito divino, sapienza, discernimento, assennatezza, oltre alla conoscenza della lavorazione dell’oro, dell’argento, del rame, ecc. Rabbì Chayim inizialmente mise in discussione quanto la Toràh scrive: che senso ha lodare Betzalel per le sue abilità di orafo e argentiere, dopo aver descritto la sua grande saggezza? Sarebbe come dire che un grande Chakham è anche un bravo sarto! Ma spiegò che anche questa affermazione è necessaria e non meno importante delle precedenti. Certamente ogni ebreo che offrì dell’oro per la costruzione del Mishkan avrebbe voluto che il suo oro venisse utilizzato per l’Aron, il centro della struttura, mentre forse non lo avrebbe dato per degli elementi periferici e meno appariscenti. Betzalel è stato però in grado di intuire quali fossero le reali intenzioni dei donatori. L’oro di coloro che lo offrirono con un’intenzione più pura fu utilizzato per l’Aron, quelli che offrirono l’oro per promuoversi individualmente o semplicemente perché temevano il giudizio altrui, videro il loro oro utilizzato per usi molto meno centrali. Per questo Betzalel venne lodato per le sue abilità relative all’oro e l’argento. In questo modo Rabbì Chayim rincuorò il donatore. Vista la sua sincerità, certamente la sua offerta sarebbe stata destinata esclusivamente per gli studenti.
I donatori meno sinceri avrebbero invece finanziato gli elementi scenografici, i cavalli ecc., che comunque si erano rivelati necessari. Questo può spiegare un’altra frase della parashàh, che un fundraiser non dovrebbe mai usare: è detto infatti che i figli d’Israele offrirono quanto era necessario per la costruzione del mishkan ed altro, fatto abbastanza singolare, che stona un po’ con il resto del quadro. Forse la Toràh vuole sottolineare che portando le offerte ciascuno pensava al proprio stile nella ‘avodat ha-Shem, e attraverso la propria offerta riempiva una casella: quelli che consideravano centrale lo studio portavano offerte per l’aron, coloro che si dedicavano alla preghiera offrivano per l’altare, quelli che sostenevano i poveri e si preoccupavano che tutti avessero i mezzi di sostentamento contribuivano per il tavolo, quelli che perseguivano l’unità del popolo ebraico per l’incenso, che unisce numerosi ingredienti differenti fra loro, che rappresentano le diverse anime all’interno del popolo. Ma ci sono anche degli altri, che non considerano il proprio contributo come indispensabile, e non aspirano a mettere a disposizione ciò che hanno ricevuto al servizio di H.
La loro offerta viene incasellata alla voce extra, senza ulteriori specificazioni. Se avessero pensato in modo diverso, avrebbero avuto un ruolo differente. Prima di Rabbì Chayim il Midrash ha descritto gli sforzi delle donne che portarono i loro specchi di rame, che Moshèh secondo il Midrash, se non fosse stato per l’intervento divino avrebbe rifiutato, in quanto simbolo di vanità, dai quali sarebbe stata ricavata la conca di rame. Le donne intuirono che l’acqua in essa contenuta sarebbe stata usata per verificare la fedeltà nelle case ebraiche, contribuendo alla loro armonia. Queste donne avevano compreso quali erano i loro punti di forza e quale contributo potevano dare, suggerendoci quale modello dobbiamo perseguire per dare alla nostra vita un maggiore significato. Pensare che il proprio contributo possa essere superfluo è un errore fatale, che va evitato con tutti i nostri sforzi. E’ vero che nessuno è indispensabile, ma ciascuno di noi deve ottenere la consapevolezza di essere a modo proprio importante. Basta trovare la propria dimensione.