Nella Parashà di questa settimana, Va’era, leggiamo la descrizione relativa a sette delle dieci piaghe che colpirono la popolazione egiziana e ai suoi capi. Queste piaghe, in realtà, non sono state inflitte solo come punizione per il trattamento crudele degli egiziani nei confronti degli ebrei ridotti in schiavitù e la loro persecuzione gettando i bambini maschi nel fiume Nilo, ma anche per educare il popolo egiziano a cambiare i modi e le prospettive che li hanno portati a questo comportamento crudele ed abietto.
Nell’Hagada di Pesach che leggiamo in ogni anno a Pesach la sera del Seder, incontriamo la seguente frase interessante: Rabbi Yehuda dava loro (alle piaghe) dei segni (acronimi): DeZaCH, ADaSH, BaCHaV. Rabbi Yehuda, della quarta generazione del periodo Tannaim e uno dei più grandi studenti di Rabbi Akiva, divide le dieci piaghe che colpirono l’Egitto in tre gruppi, in base alla prima lettera del nome ebraico di ognuna. Rabbi Yehuda aveva così paura che dimenticassimo le piaghe scritte nella Torà da fornirci questi acronimi come dispositivo mnemonico? Sembra ragionevole supporre che questo non fosse il suo scopo.
L’Abarbanel analizza i versetti relativi alla descrizione delle piaghe e commenta che queste possono essere effettivamente divise in tre gruppi. Ogni gruppo individuato può essere accomunato da un identico scopo scritto esplicitamente nella Torà quando vengono descritte le piaghe. Lo scopo del primo gruppo, composto dalle prime tre piaghe, era dimostrare alla nazione egiziana – e al Faraone in particolare – il fatto fondamentale che esiste un unico Creatore del mondo, un unico D-o, al contrario di quanto era la credenza diffusa nel mondo antico. Lo scopo di queste piaghe fu detto esplicitamente al Faraone prima che le piaghe si abbattessero sull’Egitto: “Da questo conoscerai che Io sono il Signore” (Shemot 7:17). Il successivo gruppo di tre piaghe furono inflitte per dimostrare quanto D-o sia interessato al mondo, lo supervisiona e lo amministra. Prima dello scatenarsi delle piaghe il Faraone venne avvertito in modo che avrebbe dovuto interiorizzare, “…affinché tu sappia che Io sono il Signore in mezzo alla terra” (ibid. 8:18). La locuzione “In mezzo alla terra”, sembra essere una dicitura superflua ma non lo èin quanto ci viene ad insegnare che D-o non è disconnesso dal mondo, su un puedistallo dal quale osserva indifferente quello che accade. Egli è supremo, ma la Sua altezza si esprime nel suo interesse per ogni creatura. D-o ha a cuore il mondo che ha creato.
Nonostante i primi due gruppi di piaghe e le motivazioni che le hanno scatenate, il faraone avrebbe potuto pensare che anche se esiste un D-o unico che si preoccupa per questo mondo, il Suo potere è limitato. Per evitare questo pensiero del faraone, figura che nel mondo antico egiziano era considerata egli stesso un dio e che quindi probabilmente si sentiva al pari di D-o, D-o mandò il terzo gruppo di piaghe, composto dalle ultime quattro piaghe, all’inizio delle quali fu detto al faraone, “affinché tu sappia che non c’è nessuno come Me su tutta la terra… per mostrarti la Mia forza” (ibid. 9:14- 16). Questa serie di piaghe non è raccontata nella Torà come un mero aneddoto storico, anche se avrebbe valore solo in quanto tale. La descrizione ed il racconto di queste piaghe è necessario per trasmettere un messaggio. Il faraone, re d’Egitto, e la maggior parte del popolo egiziano avevano bisogno di dieci piaghe per comprendere queste tre messaggi importanti; Noi possiamo interiorizzarli senza piaghe.
Questi tre insegnamenti sono significativi. Hanno il potere di cambiare la vita di un uomo o di una nazione. D-o esiste, è la bontà ultima, perfetta ed eterna. Poiché Egli è bontà senza limiti, è premuroso. La cura è l’espressione della bontà, proprio come l’apatia nei confronti dell’ingiustizia è l’altro lato della medaglia.
Non è un caso che la prima mitzva data agli ebrei in Egitto è quella relativa alla celebrazione del capo mese. Questa sembra in effetti una mitzva strana da dare ad un popolo di schiavi in Egitto. Nella Torà è scritto: “”Questo rinnovamento della luna sarà per te l’inizio dei mesi…”. (Shemot 12:1). Agli ebrei viene comandato di cercare nell’oscurità del cielo notturno la luna nuova, la cui luce emerge ogni mese dalle tenebre. Lo Zohar, nello spiegare l’importanza della luna e la nostra celebrazione tramite berachot e lodi del suo rinnovamento ogni mese, scrive: “La nazione ebraica è paragonata alla luna. Proprio come la luna cala e sembra scomparire nell’oscurità per poi rinascere ogni mese, così il popolo ebraico sembrerà spesso essere stato sopraffatto dalle forze dell’oscurità, solo per riemergere come nazione rinata in una marcia verso la redenzione”.
Questa Parashà è quindi piena di messaggi importanti e positivi. Ci insegna a riconoscere D-o intorno a noi, a riconoscerlo come Re del mondo ma anche a cercare di vedere la speranza nell’oscurità. Attraverso la mitzva di celebrare il capo mese D-o ci insegna a non disperare, perfino quando la situazione che viviamo sembra essere senza speranza e attorno a noi sembra regnare l’oscurità. Dato questo punto di vista, questa risulta essere la mitzva più adatta per un popolo immerso nell’oscurità di una schiavitù massacrante e apparentemente senza alcuna speranza di sopravvivenza. Questo rappresenta quindi un messaggio per tutti noi, un incoraggiamento a non demoralizzarsi, non perdere la speranza in un futuro migliore, liberi di esprimere le nostre potenzialità uniche per creare una società migliore