L’ebreo può fare lo scienziato? Se lo studio della Torà è l’ideale intellettuale ebraico, come si può giustificare l’impegno nella scienza? Una nota storia talmudica (TB Shabbàt 33b) racconta di Rabbì Shimòn Ben Jochài e del figlio che furono costretti per anni a vivere nascosti in una caverna per sfuggire alla persecuzione dei romani di cui Shimòn era accanito avversario. Finalmente la situazione politica si tranquillizzò e ai due fu concesso di uscire dalla caverna. Cominciarono allora a camminare per le campagne e videro la gente che si dedicava ai lavori agricoli. Shimòn giudicò molto severamente tutti coloro che vedeva lavorare come gente che trascurava le occupazioni spirituali per dedicarsi alle attività materiali di produzione. In ogni luogo dove si posava lo sguardo del Maestro, il raccolto bruciava. Allora una voce dal cielo, li rimproverò aspramente: “Siete usciti a distruggere il mio mondo? Tornatevene nella caverna'”
Fu così che i due ritornarono alla vita isolata finché non impararono la lezione.
Il messaggio del racconto è chiaro; esprime la posizione prevalente nella tradizione rabbinica secondo la quale l’attività spirituale, lo studio della Torà, non può e non deve essere dissociato dall’esercizio delle normali attività lavorative. Esistono delle tendenze ascetiche anche nella tradizione ebraica, ma il racconto dimostra come siano messe al margine della realtà religiosa; resta comunque il fatto che se le due cose – attività spirituale e materiale – devono coesistere è sempre la prima ad avere la preminenza.
Tutta l’attività dell’ebreo deve ruotare intorno allo studio ed alla pratica della Torà e ciò che ne è al di fuori è tollerato, o bene accettato, o anche stimolato, ma sempre nella misura in cui si pone al servizio della esigenza spirituale; un servizio che può essere inteso in vario modo: come creazione di un ordine sociale, di una sicurezza tecnologica, di una tranquillità economica, e anche di una corretta valutazione psicologica della realtà, ma che resta sempre secondario.
In questa chiave, come caso particolare, si pone il problema della legittimità per l’ebreo di dedicarsi alla scienza.
Dalle premesse di questo discorso abbiamo qualche orientamento generale.
Il mistico italiano della prima metà del ‘700, Moshè Chajìm Luzzatto, nella prefazione della sua notissima “Mesilàt Jesharìm” (Strada per i Giusti), segnalava la superiorità dell’impegno in attività intellettuali concernenti la Fede e il servizio divino rispetto a tutte le altre scienze e discipline intellettuali.
Non era una condanna ma la definizione di una scala di priorità. Era probabilmente sulla stessa linea, nella seconda metà dello stesso secolo, la più grande personalità dell’ebraismo rabbinico, il Gaon di Vilna: tra i primi ad applicare criteri scientifici nello studio dei testi tradizionali, si segnalò anche per la sua competenza su questioni scientifiche, scrivendo persino dei libri di ingegneria; come Maimonide che nel XII secolo aveva scritto libri di Torà, di filosofia, di medicina. Ma con qualche differenza significativa.
Sul Gaon si racconta questo aneddoto: non si riuscita a capire come il grande rabbino trovasse il tempo per essere sempre aggiornato su tutti i progressi scientifici quando tutta la sua giornata era dedicata allo studio della Torà; pare che il tempo lo trovasse nell’unico momento in cui non era lecito dedicarsi a sacre occupazioni, cioè mentre stava al bagno; per non distrarsi studiava libri scientifici.
A parte l’aneddoto, con il Gaon riemerge storicamente nell’ebraismo tradizionale l’interesse per la scienza, per molto tempo soffocato; ma è ancora evidente quanto sia subordinato, in importanza alla Torà. Eppure molti secoli prima la situazione era ben differente come dimostra un’antica interpretazione rabbinica (TB Shabbàt 75a); spiegando l’espressione di Deut. cap.4 v.6 che parla della “vostra saggezza e il vostro discernimento agli occhi dei popoli”, e che letteralmente si riferisce proprio alla Torà, il Midrash la applicava paradossalmente alla conoscenza dell’astronomia, che sarebbe stata il vanto degli Ebrei tra i Gentili.
A quanto pare la pratica scientifica in alcuni momenti dela storia è stata una condizione normale per gli Ebrei fino a diventare talora una specie di vanto nazionale, a fianco dell’altra loro caratteristica specifica culturale, la Torà.
È una situazione che si è ripetuta nell’ultimo secolo, nel quale agli ebrei è stata universalmente riconosciuta una straordinaria capacità di applicazione alle attività scientifiche; la differenza tra certe situazioni del passato e quella attuale sembra stare tra l’altro nella autocoscienza ebraica e nella autovalutazione del fenomeno; positivo dal punto di vista religioso, come sembra nell’antico Midrash, discusso nella nostra epoca.
È molto probabile che nella recente diffidenza, se non proprio nell’ostilità, che si è avuta per la scienza in alcuni settori dell’ortodossia abbia giocato in modo determinante un fattore contingente.
Per molti decenni dello scorso secolo e per i primi di quello attuale, gran parte degli ebrei che studiavano nelle Università si adattarono facilmente al diffuso e preponderante conformismo culturale, abbandonando di conseguenza la pratica dell’ebraismo tradizionale; nell’Europa centro-orientale il fenomeno ebbe caratteri di una fuga di massa, e di qui è nata una sorta di opposizione, più o meno dichiarata, tra l’ebreo ortodosso e l’ebreo scienziato, opposizione che solo in questi ultimi decenni va lentamente risolvendosi.
UNA DISCUSSIONE CHE DURA DA SECOLI
Oltre a queste considerazioni preliminari, quando si discute il problema è indispensabile introdurre delle distinzioni; scienza è un termine troppo generico e può indurre a troppi equivoci.
Una importante distinzione è tra la ricerca e l’applicazione dei suoi risultati e, nell’ambito della ricerca stessa, la definizione di una ricerca “pura”, rispetto ad ogni altra che abbia più o meno immediati risultati applicativi; oggi questa distinzione appare sempre più criticabile, perché l’evoluzione della scienza rende entro breve tempo applicabili anche le ricerche più “pure” e teoriche.
Comunque c’è chi pone il problema della legittimità per l’ebreo della pura speculazione teorica che sarebbe considerata concorrenziale, come una perdita di tempo prezioso, che invece è da dedicare allo studio della Torà.
Emblematica di questa posizione è la parabola di Josef Ja’betz (esule dalla Spagna nel 1492, rabbino a Mantova, morto nel 1507), in Or ha chajìm (cit. in Challenge p.108);
L’uomo che dedica la sua vita alla ricerca scientifica perché considera la scienza un prerequisito per la comprensione della Torà è paragonato a un tale che vuole diventare un maestro di ricamo alla corte reale e vedendo che per questa arte sono necessari gli aghi, si mette a studiare tutte le attività del fabbro, a vedere come si costruiscono gli aghi e tutte le relative attrezzature. Quest’uomo finirà chiaramente col perdere di vista il suo obiettivo iniziale.
La morale della parabola sarebbe (nell’interpretazione che ne dà Leo Levi) nella necessità di distinguere i mezzi immediati da ciò che li precede. Se la scienza è un mezzo per la comprensione della Torà è lecito e opportuno utilizzarne i risultati, senza perdere tempo per le ricerche che li producono. È un’affermazione provocatoria: sì alla tecnologia pratica ma senza perdere tempo per tutto ciò che la precede, in altri termini per la ricerca scientifica.
È l’espressione, probabilmente esasperata di una delle anime della tradizione ebraica che ha affrontato il problema e che ha sempre preposto in assoluto la supremazia dell’obbligo di concentrare la capacità intellettuali dell’ebreo in una sola direzione.
Un’altra distinzione da fare riguarda l’oggetto e la finalità della ricerca: ad esempio è chiara intuitivamente a tutti la necessità di studi medici per combattere le malattie che insidiano l’umanità, mentre è moralmente discutibile la ricerca su armi da guerra più sofisticate.
Ma anche ciò che pare ovvio, in passato non lo era; ad esempio nel Talmùd, delle parabole giustificano la legittimità dell’esercizio della medicina; evidentemente perché erano in molti a sostenere il contrario nel nome del rispetto per l’opera della creazione.
Ci troviamo insomma davanti ad una materia estremamente articolata, sulla quale non è possibile un giudizio unitario mentre sui singoli problemi si può dimostrare che difficilmente in campo ebraico vi sia stata l’unanimità.
Condizioni storiche differenti e influenze della cultura circostante hanno nel corso dei secoli influito su atteggiamenti ora di massima apertura, ora di diffidenza e di rifiuto. Sembra che negli ultimi decenni si ritorni verso posizioni di grande apertura; gli ebrei ortodossi che oggi teorizzano la necessità di un impegno ebraico diretto nella ricerca scientifica, sostengono diversi argomenti a sostegno della loro posizione. Da un punto di vista strettamente pratico la scienza è strumento indispensabile per la precisa interpretazione della Torà e la tecnologia offre preziosi contributi per la sua osservanza. Più in generale la scienza dà all’uomo gli strumenti per realizzare dei precisi e fondamentali dettami tradizionali, come quello di preservare la vita e la salute propria e altrui, e quello di “conquistare la terra” (Gen. cap.I v.28)
In questo compito Israele può e deve essere un riferimento per le nazioni, come già i profeti avevano indicato (Geremia cap.I v.5 – Isaia cap.II vv.2-4); questo impegno scientifico è poi considerato il requisito preliminare per poter resistere ed obiettare con cognizione di causa a tutte le accuse mosse alle idee dell’ebraismo e che partono proprio da considerazioni di tipo scientifico.
Sul piano individuale, fermo restando che è obbligo di ognuno avere una fonte di guadagno onesta e dignitosa, che non derivi possibilmente dall’esercizio di attività “religiose”, la scienza offre garanzie per numerosi tipi di lavoro, di ricerca e applicativo che rispondono alle qualità di lavoro che la tradizione giudica positive.
Infine, e questo sul piano più teorico, si riconosce – con le parole di S.R.Hirsch – “la più intima unione tra il Giudaismo, totale, non falsificato, e lo spirito di tutta la scienza e la conoscenza”; per cui la ricerca scientifica può diventare effettivamente il mezzo per realizzare quei comandi essenziali che sono l’amore e il timore di Dio e la santificazione del Suo nome.