Torino, 15.2.2022
Il problema della possibilità di esperire, pensare o dire il divino attraversa tutta la storia del giudaismo, e diviene cruciale nella mistica. L’orizzonte intellettuale nel quale si sviluppa la riflessione in merito è anzitutto quello biblico. Nel testo biblico sono individuabili varie prospettive sul tema (vedi Mottolese 2006, 25-26). L’esito è stato lo sviluppo nella storia del pensiero ebraico in quella che Gershom Scholem vedeva come una tensione fra il “bisogno religioso” di pensare una relazione concreta e vitale con la divinità e l’”urgenza teologica” di mantenerne l’assoluta trascendenza. In molti discorsi della tradizione ebraica non si avverte il timore di affidarsi all’analogia fra le forme dell’umano e le forme del divino, mettendo in relazione gli eventi del mondo terreno e del mondo celeste (Mottolese 2006. 39).
Nella tradizione ebraica fisica e metafisica vengono chiamate ma’aseh Bereshit e ma’aseh merkavah. Ma’aseh Bereshit si riferisce alla prima parola del libro della Genesi (in principio), nel quale viene descritta la creazione del mondo, mentre l’espressione ma’aseh merkavah si rifà al primo capitolo del libro di Ezechiele, brano nel quale secondo la tradizione rabbinica espressa nel secondo capitolo del trattato talmudico Chaghigah (En Doreshin) sono espressi grandi segreti. Cosmogonia e teologia, i più grandi e profondi misteri dell’esistenza sarebbero celati sotto una letteralità ora semplicistica e immaginifica, ora antropomorfica e inquietante (Laras, in Gatti 2003, 10). La mishnà insegna: “Non si devono interpretare (i capitoli) riguardanti i rapporti sessuali proibiti davanti a tre persone (o più), né il racconto della Creazione davanti a due persone (o più), né il racconto (che si riferisce) al carro celeste davanti a una sola persona, a meno che non si tratti di un saggio capace di comprendere da solo. Colui che cerca di penetrare i seguenti quattro (misteri: ciò che è al di sopra, ciò che al di sotto, ciò che è prima, ciò che è dopo), sarebbe meglio per lui se non fosse stato creato”. Nel commentare questo brano, troviamo delle differenze significative nei due Talmudim, sia dal punto di vista dell’organizzazione del materiale, sia dal punto di vista della considerazione del tema della creazione, che nel Talmud Yerushalmi non viene considerato una questione cosmologica, bensì teologica (Leicht 2013, 252). Spesso quando ci si rapporta a questioni relative alla fisica, si è portati a considerarle questioni profane: uno dei più grandi studiosi del pensiero maimonideo del XX secolo, Yoseph Kafih (1917-2000), non era dello stesso avviso: sebbene la scienza si interessi sia della fisica che della metafisica, ogni questione che abbia a che fare con la verità non deve essere considerata una questione secolare (Kellner 2020, 3).
Nell’antichità la cosmologia non è stata una delle principali occupazioni ebraiche, tanto che non ci è pervenuta neppure un’opera del periodo pre-gaonico dedicata esclusivamente alla descrizione del mondo. I riferimenti a questo ambito nel giudaismo antico si riferiscono sostanzialmente a due filoni, oggetto di interesse degli studiosi, quello apocalittico alla fine del periodo del Secondo Tempio, e quello del primo misticismo e della letteratura degli Hekhalot. In entrambi i filoni tuttavia l’interesse cosmologico è scarso (Leicht 2013, 245).
Nella filosofia ebraica medievale sono stati sviluppati temi metafisici sia in ambito neoplatonico che aristotelico. Nel primo gruppo possiamo ricordare l’opera di Isaac Israeli, Shelomò ibn Gabirol, Moshè ibn Ezrà e Yosef ibn Zaddiq. Nel secondo spicca la principale opera filosofica di Mosè Maimonide, il Moreh Nevukhim, la Guida dei perplessi. Non troviamo tuttavia, tranne rarissime eccezioni, delle trattazioni metafisiche sistematiche in questo periodo (Zonta 2005, 243). Anche nelle enciclopedie filosofiche del XIII-XIV secolo è presente una sezione dedicata alla metafisica, considerata parte integrante del sistema filosofico aristotelico, con l’eccezione dell’opera più “popolare” Sha’ar ha-shamayim, di Ghershom ben Shelomò di Arles (Zonta 2005, 244).
Pur non potendo entrare nei dettagli, cercherò di riportare alcune coordinate sulla metafisica nella riflessione dei mistici, concentrandomi solo sui primi stadi di questa storia, lunga e affascinante. Nella mistica ebraica vengono ripresi degli aspetti propri della tradizione rabbinica e di quella filosofica, che vengono utilizzati in modo originale per dar luogo a un sistema compiuto. Nella visione mistica l’universo divino è caratterizzato da un dinamismo che viene influenzato dalla sfera umana, molto distante dall’idea aristotelica del motore immobile. In questo senso la vita religiosa assume un significato notevole, date le interazioni fra divino ed umano, sia per via dell’ascensione umana nei regni celesti, sia per le emanazioni divine nei mondi inferiori (vedi Afterman 2020, 150-151).
Credo sia importante sottolineare come negli ultimi decenni, negli studi sulla mistica ebraica, sia stata pienamente rivalutata la matrice islamica, che era stata sottovalutata dal pioniere in questi studi, Gershom Scholem, il quale nelle Grandi correnti della mistica ebraica aveva studiato principalmente manoscritti provenienti dall’Italia e dalla Germania, tenendo conto del giudaismo del mondo islamico solo quando c’erano dei contatti diretti, come nel caso degli esuli dalla Spagna (Kiener 2011, 147).
La conoscenza esoterica della qabalah assume il nome di teosofia. In essa è possibile, come vedremo, distinguere due filoni principali, basati su due tipi differenti di simbolismi usati dai cabalisti, quello degli attributi divini o sfere di luce e quello basato sui Nomi divini e le lettere che li compongono (Afterman 2020, 149-150).
Una delle prime fonti della mistica ebraica è rappresentata dal Sefer Yetzirà (Libro della formazione), che presenta i simboli che i mistici successivi, in epoca medievale e moderna, svilupperanno ampiamente, le dieci sefirot. Nell’orizzonte biblico e orientale il numero dieci simboleggia la completezza (Busi 2016, 14). Il significato del termine sefirà è tutt’altro che ovvio. La radice s-f-r rappresenta la base di vari termini come sefer, sippur, mispar, sappir. Più remota l’ipotesi che derivi dal greco sfaira (Chajes 2020, 233). Il nome delle dieci sefirot deriva da un versetto delle Cronache (1Cr 29, 11), nel quale il re David elenca gli attributi divini. Nel Sefer Yetzirà le sefirot esprimeranno lo spazio (i punti cardinali, il sopra e il sotto), il tempo (due vettori) e i valori (bene e male) (Chajes 2020, 235). Le sefirot successivamente verranno identificate con le diverse facoltà psicologiche e qualità divine. I mistici descriveranno abbondantemente la dinamica delle relazioni fra le sefirot. All’interno della dottrina sefirotica si assisterà a uno sviluppo, che porteranno a delle differenziazioni fra i vari autori e scuole. Alcuni aspetti saranno condivisi dalla maggioranza dei cabalisti: a) la sefirot saranno ad esempio concepite come gradi, livelli attraverso i quali la forza divina agisce nel creato; b) sebbene siano invisibili, la loro influenza è percepibile sia nel macrocosmo che nel microcosmo umano; c) la suddivisione delle sefirot discende dalla struttura dell’intelletto umano, che può giungere alla conoscenza solo gradualmente: in realtà le sefirot sono unite nel Signore, mentre sono separate nella nostra limitata comprensione (Busi 2016, 14). La descrizione grafica più famosa delle sefirot è quella dell’albero sefirotico del Pardes Rimmonim di Moshè Cordovero (XVI sec.), ma ve ne sono molte altre, che vedono ad esempio le sefirot come sfere disposte sulla circonferenza di un cerchio, o come lettere ebraiche racchiuse l’una dentro l’altra (Busi 2016, 17). I mistici hanno considerato la rappresentazione grafica delle sefirot un aspetto molto importante, spesso sottovalutato dagli studiosi, che hanno attribuito maggiore peso alla parola scritta: un’introduzione alla qabalà, probabilmente risalente al XVI sec. italiano, Haqdamot umaftechot sheraui lekhol hanikhnas lechokhmat haqabalah lada’at otan, “Introduzioni e chiavi che è bene che chiunque sia introdotto nella scienza della qabalah conosca”, nel suo capitolo finale sottolinea come chi sia iniziato alla scienza della qabalà conosca tutte le rappresentazioni grafiche e come i mondi discendano l’uno dopo l’altro (Chajes 2020, 231). Solitamente le sefirot sono divise a loro volta in due raggruppamenti, tre superiori e sette inferiori.
Le trasformazioni dell’influsso attraverso il quale le sefirot governano il mondo descrivono per i mistici quattro diversi mondi, atzilut (emanazione); beriah (creazione); yetzirah (formazione); ‘asiah (realizzazione). Nei vari mondi, che rappresentano i vari gradi della cosmogonia rabbinica, c’è un continuo scadimento di energia, mentre l’uomo può ripercorrere a ritroso questi stadi (Busi 2016, 19).
Nel Sefer Yetzirà emerge altresì uno spiccato interesse per la dimensione linguistica. Le lettere dell’alfabeto ebraico vengono immaginate fissate in una ruota in duecentoventuno porte. La ruota torna avanti e indietro. Questa ruota esprime efficacemente l’idea del gioco delle permutazioni alfabetiche, che racchiude il segreto dell’origine del mondo (Busi 2016, 47). Secondo la dottrina mistica infatti D. crea il mondo combinando le lettere ebraiche. Non le legge, ma semplicemente le guarda, come se guardasse attraverso la Torah verso l’esteriorità della creazione, nella quale ha deciso di manifestarsi (Busi-Loewenthal 2006, VII). Il modello proposto dal Sefer Yetzirah ha la particolarità di proporre una sorta di “asemanticità del divino”, che rappresenta uno degli esperimenti più radicali di scomposizione del linguaggio (Busi 2002, 227). I mistici useranno ampiamente le tecniche di permutazione delle lettere, in modo particolare quelle dei Nomi divini. La riflessione mistica si concentrerà sul testo della Torà. L’interesse linguistico emergerà con forza nella qabbalà estatica di Avraham Abulafia, che considerava l’alfabeto l’ambito privilegiato per la ricerca del divino.
All’inizio del medioevo si è sviluppato un genere letterario, quello della letteratura degli hekhalot, che descrivono visioni celestiali, attribuite a personaggi biblici o figure rabbiniche. Gershom Scholem definì questo tipo di letteratura gnosticismo ebraico. In questi testi è presente una descrizione dettagliata dei cieli, normalmente sette, spesso sorvegliati da creature angeliche. L’ultimo dei cieli contiene sette hekhalot (palazzi). Penetrare nei palazzi divini significa dunque impadronirsi di una geografia trascendente, che ritrae l’invisibile con la precisione di una mappa (Busi 2016, 43). Nel più interno dei palazzi su un trono si trova una suprema immagine divina, la Gloria di D. o una figura angelica. Elementi della letteratura degli hekhalot convergono anche nei viaggi celesti cristiani o islamici (Kiener 2011, 149-150). C’è tuttavia una differenza importante: gli esseri intermedi che si trovano fra l’uomo e D. non sono dotati di poteri demiurgici e non sono assimilabili propriamente a D. (Capelli 2021, 296).
Bisogna sottolineare come nella mistica ebraica l’essenza divina, che è inconoscibile e inafferrabile per l’uomo, non rappresenta un ambito di indagine, poiché il Signore è considerato En Sof (senza fine), secondo la dottrina che esprimerà, all’inizio del XIII sec., Yitzchaq il Cieco. Questa visione con ogni probabilità è stata influenzata dall’apofatismo di stampo maimonideo (Chajes 2020, 233). Ciò che nella mistica è oggetto di riflessione sono le emanazioni divine.
Riferimenti bibliografici
Afterman, Adam 2020. The Mystical Theology of Kabbalah: From God to Godhead, in The Cambridge Companion to Jewish Theology, a cura di S. Kepnes. Cambridge: Cambridge University Press. 149-181.
Busi, Giulio, 2002. Lettere della creazione. Usi e concezioni asemantiche dell’alfabeto nel giudaismo, in Alfabeto in sogno, a cura di C. Parmiggiani. Milano: Mazzotta. 227-256.
Busi, Giulio, 2016. La Qabbalah. Roma-Bari: Laterza.
Busi, Giulio -Loewenthal, Elena, 2006. Mistica ebraica. Torino: Einaudi.
Capelli, Piero, 2021. Sulle radici bibliche della mistica ebraica. Humanitas 76 (Supl/2021). 296-307.
Chajes, J. H., 2020. Spheres, Sefirot, and the Imaginal Astronomical Discourse of Classical Kabbalah, Harvard Theological Review 113:2. 230-262.
Gatti, Roberto, 2003. Ermeneutica e filosofia. Genova: Il melangolo.
Kellner, Menachem, 2020. Faith, Science and Orthodoxy, Conversations 35. 1-13.
Kiener, Ronald C. 2011. Jewish Mysticism in the Lands of the Ishmaelites, in The Convergence of Judaism and Islam: Religious, Scientific, and Cultural Dimensions, a cura di M. M. Laskier e Yaakov Lev. Gainesville: University Press of Florida.
Leicht, Reimund, 2013. Major Trends in Rabbinic Cosmology, in Hekhalot Literature in Context, a cura di R. Boustan, M. Himmelfarb, P. Schafer. Tubingen: Mohr Siebeck.
Mottolese, Maurizio, 2006. Le forme di Dio e la tradizione rabbinica. Per una fenomenologia del discorso mitico e mistico nel monoteismo ebraico. Etica e politica/Ethics & Politics VIII. 25-49. Zonta, Mauro, 2005. Metaphysics in Medieval Hebrew Tradition. A Short Historical Sketch. Quaestio 5. 243-258.