In occasione dell’inizio del corso tenuto da Gianfranco Di Segni su Torà e Scienza, nell’ambito del Programma Revivìm organizzato dalla Comunità ebraica di Milano (prossimo incontro giovedì 10 marzo 2011), vi presentiamo un suo intervento tratto da Alef-Dac, n. 21, 1984.
David Gianfranco Di Segni
Il problema dei rapporti fra Torà e Scienza si è riproposto in questo secolo in maniera ancor più pressante che in passato. Il ruolo dominante che la scienza e la tecnologia svolgono nella nostra vita quotidiana ha inevitabilmente accentuato il confronto fra due visioni del mondo che da secoli vengono considerate, spesso a torto, antitetiche. Motivi di conflitto fra la Torà (o, più generalmente, fra la fede in Dio creatore del mondo e immanente nella storia) e la scienza nascono spesso da un’incomprensione della reale essenza sia della concezione religiosa che di quella scientifica.
L’ignoranza dei fondamenti dell’una o dell’altra, e non di rado anche di entrambe le parti in apparente contrasto, ha portato a una situazione per cui buona parte di coloro che, in un modo o nell’altro, si occupano di scienza considerano superato e non più rilevante per il nostro tempo qualunque fenomeno attinente alla religione; viceversa, coloro che sono ancora attaccati a una tradizione religiosa guardano spesso con sospetto alle teorie propugnate dalle scienze naturali e ancor più ai loro sostenitori.
L’opposizione alla religione da parte degli uomini di scienza è motivata in genere da considerazioni ideologiche, o presunte tali; da parte religiosa, al contrario, non c’è per lo più un’opposizione originata da motivazioni di principio. La scienza è descrizione della natura, e poiché sia la natura che la Torà sono opera dell’unico Dio, non ci può essere un’incompatibilità di base fra di esse. La diffidenza verso la scienza da parte di alcune cerchie religiose, non solo in campo ebraico e non solo nella nostra epoca, ha origine generalmente solo dal timore che l’accettazione di certe teorie scientifiche (per esempio, l’evoluzionismo), in evidente contrasto con un’interpretazione letterale della Bibbia, produca come conseguenza un indebolimento nella fede e nell’attaccamento ai precetti religiosi. Tuttavia, il risultato del rifiuto della scienza da parte religiosa è spesso l’opposto di quello desiderato, poiché il chiaro successo che la scienza ha nel mondo moderno (ancor più accentuato da una divulgazione non sempre corretta e onesta, e che spesso presenta la religione e la scienza come assolutamente alternative l’una all’altra) non ha difficoltà a far prevalere l’approccio scientifico su quello religioso agli occhi dei più.
Tre diverse soluzioni del problema
Il rapporto fra Torà e scienza può essere analizzato a vari livelli. Uno di questi consiste nel tentativo di risolvere il contrasto fra quanto narrato nella Torà e quanto accertato dalla scienza. In particolare, come è noto, secondo i primi capitoli della Torà il mondo fu creato in 6 giorni, e le specie animali e vegetali furono create ognuna individualmente e separatamente. La tradizione rabbinica, inoltre, stabilisce che la creazione avvenne 5771 anni fa. Le teorie scientifiche attuali sostengono invece che l’universo esiste da circa 14 miliardi di anni, e che gli esseri viventi hanno avuto origine da un’unica forma vivente primordiale che si è evoluta diversificandosi in tutte le varie specie esistenti. La vita stessa si sarebbe originata mediante processi naturali, senza dover postulare un qualche intervento soprannaturale. Diversi approcci sono stati tentati per risolvere le contraddizioni; semplificando, essi si possono dividere in 3 gruppi:
a) il contrasto viene superato mediante la negazione di un qualsiasi intento scientifico (descrittivo della natura) da parte della Torà;
b) il testo biblico non è interpretato letteralmente, e può quindi essere conciliato con le teorie scientifiche;
c) le teorie scientifiche in conflitto con la Torà vengono criticate in quanto deboli e non dimostrate.
A. Prima soluzione: La Torà non è un libro di scienza
Un’autorevole personalità del primo gruppo è Rav Elia S. Artom z.l., il quale ha affrontato il problema dei rapporti fra Torà e Scienza in «La nuova vita d’Israele» (Roma 1966, pp. 30-41). Egli distingue nella Torà due grandi parti: narrativa e legislativa. Per la parte narrativa, Rav Artom afferma che il «contenuto di essa, esaminato molto superficialmente, potrebbe essere designato come relativo alle scienze naturali ed alla storia, cioè come avente lo scopo di spiegare l’origine del mondo, o di narrare quello che è avvenuto. Niente di un erroneo, e la diffusione di questo errore ha avuto delle gravissime conseguenze: se si fosse sempre compreso, come è in realtà, la Torà nelle sue parti narrative non è libro di scienze fisiche e naturali né libro di storia… non si sarebbe preclusa la via a tante persone di genio di indagare nella natura e nella storia, facendo nascere in loro l’idea falsissima che le conclusioni delle loro ricerche potessero essere in contrasto con quella che era ritenuta, da altri e da loro stessi, come verità rivelata e quindi verità assoluta;… non sarebbe avvenuto che chi non riusciva ad arrivare alla conciliazione desiderata, rinunciasse alla fede in Dio come cosa contraria alla scienza ed all’intelletto, o condannasse la scienza come contraria alla parola di Dio. E, se queste varie forme di aberrazione non sono… nate in campo ebraico, quando esisteva un pensiero ebraico indipendente ed originale, non possiamo negare, a nostra vergogna, che anche in questo ci siamo lasciati trascinare da altri, e che… hanno anche in noi germogliato e prosperato le male piante dal compromesso, dell’ateismo in nome della scienza, dell’oscurantismo e dell’ignoranza programmatica in nome della religione (…).
La Torà, dunque, nelle sue parti narrative, non è libro di scienze naturali … invece la Torà si propone di educare al sentimento dell’esistenza di un unico potere non raggiungibile né con l’esperienza sensibile, né col puro ragionamento, potere dal quale tutto ha origine; la Torà non nega esplicitamente e, implicitamente, afferma che questo potere ha stabilito delle norme costanti che ci permettono di constatare la concatenazione dei fatti fisici.
La Torà da una parte, e le scienze naturale e storica dall’altra, pure avendo in comune parte dei loro oggetti, non possono né contraddirsi né confermarsi a vicenda: ciascuna di esse vede gli oggetti da un punto di vista suo proprio, e ognuno può adottare entrambi questi punti di vista: la persona più fedele della Torà può nello stesso tempo essere il migliore – e quindi più libero – ricercatore di scienze naturali e storiche, e il più rigoroso scienziato può aderire senza riserve agli insegnamenti della Torà».
Secondo Rav Artom, dunque, l’intento della parte narrativa della Torà è d’insegnarci che il mondo esiste per volere del Signore e che tutto ciò che nel mondo avviene è da attribuirsi alla volontà del Creatore che così ha predisposto. Poiché la Torà parla nel «linguaggio degli uomini», essa utilizza opinioni comunemente accettate all’epoca n cui fu data. In tempi e in circostanze diverse, la Torà avrebbe presupposto opinioni differenti.
Non molto diversa è l’opinione del Prof. Jeshajahu Leibowitz. Di questo pensatore contemporaneo, fra i più noti intellettuali d’Israele, così scrive Ariel Rathaus, nell’edizione italiana del libro di Leibowitz «Ebraismo, popolo ebraico e stato d’Israele» (Carucci-DAC 1980): «Razionalista lucidissimo e filosofo della scienza, Leibowitz avanza al tempo stesso le istanze più rigorosamente teocentriche che pensatore ebreo contemporaneo ardisca avanzare». Ebreo di profonda cultura talmudica e rabbinico-tradizionale, Leibowitz è anche scienziato (si è occupato, in particolare, di biochimica e neurofisiologia). Sul problema Torà e Scienza, egli assume una posizione assai chiara e decisa: lo scopo della Torà non è «di fornirci informazione scientifica, ma di condurci al timore, all’amore e al servizio del Signore», ed è «del tutto ridicola l’idea che la Torà ci sia stata data per insegnarci un capitolo di scienze naturali o di storia, e che la presenza di Dio sia scesa sul monte Sinai per adempiere alla funzione di un insegnante di fisica, di biologia, di astronomia ecc. con la sola differenza che il Signore Iddio è un professore migliore dei docenti universitari. Questa idea è non solo ridicola, ma è anche; in un certo senso, offensiva e blasfema» (pp. 337-346 dell’edizione ebr. dell’op. cit.).
Coerentemente con questa opinione, Leibowitz critica duramente quanti, tentando di «salvare» la verità letterale del testo biblico, mettono in dubbio i risultati del metodo scientifico, o sostengono che la verità scientifica è di tipo probabilistico, e non assoluto. Ciò comporterebbe, secondo Leibowitz, non solo un’incomprensione dell’essenza della scienza, ma anche un grave errore dal punto di vista della fede religiosa.
B. Seconda soluzione: La Torà non deve essere interpretata alla lettera
Un secondo modo di superare la contraddizione fra quanto narrato nella Torà e quanto affermato dalla scienza è di mostrare che il contrasto è in realtà solo apparente. In altri termini, una corretta e profonda analisi del testo biblico, non necessariamente in senso letterale, unitamente a quanto insegnatoci dai nostri antichi maestri, permette un riesame del punto di vista tradizionale riguardo al problema della creazione del mondo, della struttura dell’universo e dell’evoluzione degli esseri viventi. Le conclusioni cui si arriva sono spesso in buon accordo con le teorie scientifiche attuali, per cui non c’è motivo di scegliere o l’una o l’altra delle due concezioni.
La differenza fra questo modo di affrontare il problema e quello rappresentativo del gruppo A è nel valore da dare al racconto biblico. Secondo il punto di vista B, la Torà racconta quello che realmente è avvenuto, e se ci sono contraddizioni con quanto dimostrato dalla scienza, è perché noi non abbiamo bene inteso il senso del testo biblico (oppure, ovviamente, perché la teoria scientifica non è stata ancora sufficientemente dimostrata). L’analisi corretta del resto mostrerà che non c’è contrasto. Secondo il punto di vista A, al contrario, il racconto biblico non ha invece alcuna rilevanza riguardo alla realtà della natura e dell’universo, e se analogie si possono trovare fra la Torà e i risultati dell’indagine scientifica, esse vanno considerate come pure e semplici coincidenze, frutto più dell’ingenuità di chi queste analogie ha trovato che di un reale intento divino di insegnarci, per mezzo della Torà, alcunché sulla natura del mondo fisico.
Il punto di vista B è sostenuto da diversi e numerosi maestri dell’epoca moderna. Tutti si basano su una rilettura attenta delle parole degli antichi saggi del Talmud, del Midrash e della Kabbalà. Citiamone alcune. In Bereshith Rabbà (una raccolta di interpretazioni midrashiche alla Genesi dell’epoca talmudica, trad. in ital. da A. Ravenna, Utet 1981), commentando il verso «fu sera e fu mattino, il primo giorno» (Gen. 1, 31), si riporta: «Disse Rabbi Jehudà bar Simon: non è scritto “sia sera”, bensì è scritto “fu sera”; da qui impariamo che esisteva già una successione di tempi (seder zemanim) prima di allora. Rabbi Abbahu aggiunse: ciò ci insegna che Dio creava mondi e li distruggeva, fino a che creò il mondo attuale, dicendo: questo mi piace, gli altri non mi piacevano” (Ber. R. 3, 7). Un altro midràsh afferma che un giorno di Dio equivale a 1000 anni umani (Ber. R. 19, 8; cfr. Salmi 90, 4). Nel Talmud si parla di 974 generazioni che precedettero la creazione di Adamo (TB Shabbath 88b). Un midràsh dice che l’uomo fu creato con la coda, e solo in seguito gli venne tolta perché non decorosa (Ber. R. 14, 10); inoltre, fino alla generazione di Noè le dita delle mani erano unite (Midrash Avkir a Gen. 5, 29). Su questi e altri midrashìm i maestri dell’epoca moderna si sono appoggiati per conciliare la tradizione ebraica con la scienza».
I. Lipshitz e A.I. Kook
Rabbi Israel Lipshitz di Danzig (autore del famoso commento alla Mishnà Tifereth Israel), affermò, fra l’altro, che il primo verso della Torà si riferisce all’atto creativo originale, mentre il secondo («e la terra era informe e vuota») si riferisce alle epoche di sconvolgimenti e distruzioni che precedettero l’attuale mondo, sulle quali la Torà non si dilunga, non essendo rilevanti per noi. Egli aggiunge anche che gli uomini preistorici di cui sono stati trovati i resti, sono quelli a cui si riferisce il Talmud parlando delle generazioni che precedettero Adamo. È interessante notare che l’opinione di Rabbi Lipschitz fu accettata come valida alternativa da una delle maggiori autorità halachiche del secolo scorso, il Maharsham (Rabbi Shalom Mordechai Schwadron). Una posizione simile fu adottata pure da Rabbi Samson R. Hirsch.
In questo secolo è stata particolarmente significativa la voce di Rabbi Abraham I. Kook (1865-1935), primo Rabbino Capo di Israele e uno fra i pensatori religiosi più profondi e importanti dei nostri tempi. Rav Kook, riferendosi alle scoperte scientifiche che contrastano con il senso letterale della Torà, scrive: «la mia opinione è che… non siamo affatto obbligati a smentirle e a opporci ad esse, poiché lo scopo principale della Torà non è di raccontarci semplici fatti. Quello che conta veramente è il significato interiore…» (Lettere, I, 105). «Non vi è nessuna difficoltà nel conciliare i versi della Torà o degli altri testi tradizionali con una concezione evoluzionistica… Ognuno sa che qui è il regno della parabola, l’allegoria e l’allusione… il vero significato di quel verso o di quel detto va ricercato nell’ambito dei “segreti della Torà”, assai oltre il senso letterale… un’indagine attenta rivelerà il significato interiore del poema sublime che si nasconde fra quelle antiche frasi» (Oròth Ha Qodesh, p. 559). Rav Kook quindi respinge l’esegesi letterale dei primi capitoli della Genesi, e sottolinea invece la necessità di una profonda interpretazione mistica; il concetto di evoluzione, piuttosto che rappresentare una minaccia per la religione, viene considerato da Rav Kook in totale armonia con i più intimi aspetti del misticismo ebraico, che ha sempre visto nel mondo un continuo progresso verso la perfezione ultima.
Maimonide
L’interpretazione non letterale del testo biblico si appoggia su solide basi tradizionali ed ha illustri precedenti. Maimonide (1135-1204), nell’Introduzione alla Guida dei perplessi, sottolinea la necessità di interpretare in senso allegorico molti passi della Bibbia e dei testi tradizionali: «… Dio, avendo deciso nella Sua divina sapienza della necessità di comunicarci questi prodotti argomenti (il racconto della creazione del mondo), decise anche – a causa dell’immensità e della difficoltà del soggetto insieme alla carenza della nostra comprensione – di parlarcene sotto forma di allegoria, detti nascosti e parole velate». Riguardo al problema dell’eternità del mondo, che era al centro delle discussioni dei filosofi dell’epoca, così afferma Maimonide: «Sappi che la ragione per cui respingiamo l’idea dell’eternità del mondo non è da cercarsi nei passi della Torà che proclamano il mondo creato. I passi che indicano che il mondo è stato creato non sono più numerosi che quelli che indicano la corporeità di Dio. Il metodo dell’interpretazione allegorica non è meno possibile e permesso riguardo alla creazione del mondo che in altri testi e avremmo potuto spiegarla allegoricamente come abbiamo usato questo procedimento per escludere la corporeità di Dio» (II, 25; trad. in ital. in S. Avisar, Tremila anni di letteratura ebraica, I, Carucci 1980, o. 510). Le idee di Maimonide furono accettate da tutta una serie di pensatori ebrei tradizionali, dal Ghershonide (1288-1344) a Rabbi Yitzhaq Arama (XV sec.), fino a esponenti di primo piano del pensiero ebraico contemporaneo, come Rav Kook (vedi sopra) e Rav Dessler autore del Michtav me-Eliahu. D’altra parte, non tutti condivisero l’opinione di Maimonide: si veda, per esempio, un responso di Rashbà (Rabbi Shelomò ben Abraham Adret, 1235-1310) sul rapporto fra scienza e fede (responso n. 9, Bologna 1539; tradotto in parte in ital. da S. Avisar, op. cit., pp. 512-514), nel quale, pur non negandosi del tutto la legittimità dell’interpretazione allegorica, non di meno viene ribadita la superiorità della tradizione sulla scienza e la filosofia.
C. Terza soluzione: Le teorie scientifiche hanno valore relativo
Un atteggiamento critico nei confronti della validità delle teorie scientifiche sull’origine dell’universo e sull’evoluzione è stato espresso soprattutto da parte di Rabbi Menachem Mendel Schneersohn, il Rebbe dei Lubavitch, una delle personalità più eminenti nel mondo della Torà della nostra generazione. In una nota lettera, spedita il 25 dicembre 1961 a uno studente che sentiva il proprio attaccamento alla Torà indebolito a causa della difficoltà a conciliare quanto scritto nel testo biblico a proposito della creazione con le teorie della scienza, il Rebbe sottopone a un’analisi critica la metodologia scientifica. Egli sottolinea il fatto che la scienza formula ipotesi e teorie, dedotte da fatti noti dall’esperienza, che sono tanto più valide quanto sono maggiormente vicine alle condizioni empiriche da cui sono state generate, ma perdono gran parte del loro valore quando vengono riferite (estrapolate) a campi assai lontani nel tempo e nello spazio, o assai diversi per le mutate condizioni ambientali. In particolare, le teorie sull’origine e l’età dell’universo sono fra le più deboli e meno sicure di tutta la scienza. Tuttavia, il Rebbe ammette che, anche se si riuscisse a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che alcuni fenomeni (p. es., la presenza dei fossili) non possono essersi verificati nel tempo ristretto di meno di 6000 anni che la tradizione ebraica assegna come età dell’universo, non si potrebbe comunque escludere che Dio abbia creato il mondo con i fossili già esistenti e con tutto ciò che sembra avere un’età assai antica. Questa posizione può apparire assurda a prima vista, ma in realtà essa possiede una sua logica, e il chiedersi perché Dio abbia voluto creare il mondo con esseri viventi già fossilizzati non è più legittimo del chiedersi perché Dio abbia creato la materia primordiale; noi non possiamo assolutamente conoscere la volontà e gli scopi del Creatore.
Nelle sue argomentazioni il Rebbe mostra una notevole familiarità con i metodi e le teorie della scienza, che gli deriva dall’aver studiato da giovane materie scientifiche in diverse università (a Berlino e alla Sorbona). Le critiche che possono essere presentate alla sua posizione non riguardano la coerenza logica di essa, quanto la sua utilità e necessità. È proprio essenziale ritenere che il mondo fu creato in 6 dei nostri giorni, e che ciò avvenne 5771 anni fa? Risposte ugualmente corrette dal punto di vista tradizionale, ma del tutto diverse, sono state date dai gruppi A e B. L’obiezione che il Rebbe solleva a queste è che, abbandonando l’interpretazione letterale del testo della Genesi, si avrebbero pericolose ripercussioni sull’osservanza dello Shabbath, il «settimo giorno della creazione». Si replica tuttavia che da sempre l’ebraismo ha mantenuto ben distinti i due campi della halachà e della aggadà (la normativa giuridica e il pensiero): mentre nel primo non sono ammesse deviazioni, la più completa libertà di opinione è sempre stata lasciata nel secondo.
Disse Rav Jehudà a nome di Rav: – Nel momento in cui Iddio Benedetto creò il mondo, questo diventava sempre più ampio, fino a che Iddio benedetto lo rimproverò e lo fece fermare, come è detto: «Le colonne del cielo si indebolirono e rimasero sbalordite per il suo rimprovero» (Giobbe 26:11). E ciò è simile a quando disse R. Shimòn ben Laqish: – Che significa l’espressione «Io sono il Dio onnipotente (in ebraico Sha-dai)» (Genesi 17:1)? Io sono Colui che ha detto al mio mondo basta! (in ebraico she-dai). (T. Bab. Chagigà 12 a) «Ho detto al mio mondo basta!, perché altrimenti avrebbe continuato ad allargarsi fino ad ora». (Bereshith Rabbà 5:8) Ai rabbini si poneva questa obiezione filosofica: come era stato possibile che un mondo finito fosse creato con una forza divina infinita? La risposta è che effettivamente nella creazione del mondo era stata infusa una potenzialità infinita; ma anche il limite imposto a questa potenzialità fu un’espressione attiva della forza divina. (A. Kariv, Missòd Chakhamim, p. 443) |
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Un testo fondamentale, che raccoglie numerosi studi di diversi autori sui vari aspetti dei problemi discussi in questo inserto, e al quale abbiamo ripetutamente attinto è A. Carmell, C. Domb (editors), Challenge, Torah Views on Science and its Problems, Associations of Orthodox Jewish Scientists, Feldheim publ., Jerusalem-New York 5738/1978.
Vedi pure: L’età dell’Universo Kabbalà e Big Bang
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