La Torah insiste molto sulla “terza età” dei Patriarchi. Nella Parashah di Shabbat scorso si raccontavano vicende di quando Avraham era vecchio (Bereshit 24,1) e questo Shabbat nella Parashat Toledot la cosa si ripete puntualmente con Itzchaq (27,1). Il Talmud (Bavà Metzi’à 87a; cfr. anche Bereshit Rabbà 59) commenta addirittura che “fino ad Avraham Avinu la vecchiaia non esisteva”. L’affermazione attende peraltro di essere spiegata, dal momento che proprio le prime generazioni dell’umanità raggiungevano un traguardo ragguardevole quanto a longevità. Un commentatore osserva che il detto talmudico non si riferisce alla vecchiaia in quanto tale, ma al valore che le si attribuiva.
Finché non sorsero i Patriarchi si concepiva solo una vitalità materiale ed ecco che l’essenziale era inevitabilmente la gioventù: una volta perduta questa, nulla contava più. Ma dal momento in cui Avraham Avinu mostrò che il vero scopo dell’esistenza è la realizzazione di ciascuno sul piano spirituale, si cominciò a riconoscere la superiorità della vecchiaia sulla stessa giovinezza. La sapienza dell’uomo, che fa da fulcro a questa visione, è infatti destinata ad aumentare proprio con l’età della persona (cfr. Shabbat 152a).
La Torah ci comanda: “Alzati di fronte alla canizie (seyvah) e onora il volto dell’anziano (zaqen)” (Wayqrà 19,32). Nel Talmud (Qiddushin 32) troviamo tre diverse opinioni sulla definizione del termine zaqen. Per i Chakhamim sono necessarie due caratteristiche per meritare l’onore di cui parla il versetto: l’età (ziqnah in senso proprio) e la sapienza (chokhmah). Per essi l’età che non sia accompagnata dalla sapienza e la sapienza che non sia associata all’età non sono ancora sufficienti. Lo imparano da Moshe Rabbenu che radunò intorno a sé un consiglio di zeqenim: anziani e saggi al tempo stesso. R. Yossè ha-Ghelilì ritiene invece che l’essenziale sia in ogni caso la sapienza, mentre l’età non conta: egli interpreta il termine zaqen come una sigla dell’espressione zeh she-qanah chokhmah (“colui che ha acquisito sapienza”). Infine R. Issì ben Yehudah è dell’idea che conta l’età sebbene l’individuo non abbia studiato: basta che sia una persona per bene.
La Halakhah è stata fissata secondo quest’ultima opinione (Maimonide, Hilkhot Talmud Torah 6,9; Shulchan ‘Arukh Yoreh De’ah 244,7). E’ dunque obbligatorio alzarsi davanti a chiunque abbia compiuto 70 anni, in base alla determinazione della seyvah secondo i Pirqè Avot (fine cap. 5), sebbene qualcuno abbassi l’obbligo già davanti ai sessantenni, secondo la definizione di ziqnah. Persino un Talmid Chakham è tenuto almeno a fare il gesto di alzarsi davanti all’anziano (Ben Ish Chay, anno II, P. Ki Tetzè, 18).
Almeno due Responsa contemporanei (Rav ‘Ovadyah Yossef, Resp. Yechawweh Da’at 3, 70-72 e Rav Chayim David ha-Levy, Resp. ‘Asseh lekhà Rav, 7, 46-47) affrontano la questione dell’alzarsi dinanzi a una persona anziana per cederle il posto a bordo del tram. Sotto il profilo halakhico Rav ‘Ovadyah scrive che questo è un obbligo nella misura in cui l’anziano non ha altro posto in cui sedere ed è giunto a meno di due metri di distanza da noi. Il versetto infatti mette insieme l’atto di alzarsi (qimah) con l’onore (hiddur) dovuto all’anziano per insegnarci che l’obbligo di alzarsi davanti a lui vale solo dove è chiaro che ci si alza per onorarlo: se ci si trova vicini a lui. Aggiunge peraltro che se il “giovane” seduto è una persona sana è opportuno che si comporti “aldilà della lettera della legge” e ceda il posto all’anziano anche se quest’ultimo si trova a una distanza superiore. Se per di più l’anziano effettivamente fatica a tenersi in piedi a lungo c’è una Mitzwah in più oltre a quella della qimah ed è la ghemilut chassadim: il dovere di aiutare il prossimo.
Secondo Rav Chayim David ha-Levy l’obbligo di alzarsi davanti all’anziano potrebbe sussistere persino se vi sono sul tram altri posti a sedere disponibili. Invece nel caso in cui il “giovane” seduto è particolarmente stanco o ammalato a sua volta e pertanto impossibilitato ad alzarsi, scrive Rav Chayim David ha-Levy “H. conosce il profondo dei nostri cuori e in tal caso è esentato, ma a mio avviso è opportuno che manifesti il proprio impedimento all’anziano che gli sta in piedi dinanzi: sappiamo bene infatti che molti anziani se la prendono quando non si presta loro la dovuta attenzione”.
Le stesse regole valgono anche nei confronti di donne anziane, o di donne in stato interessante. In questo caso anche donne più giovani o più prestanti hanno l’obbligo di alzarsi al loro cospetto (Sefer Chassidim 578; Sefer ha-Chinnukh, prec. 257; Minchat Chinukh ad loc.). Vi è a questo proposito un’interessante discussione a proposito della moglie (giovane) di un Talmid Chakham e della donna che abbia acquisito lei stessa meriti di studio. La moglie di un Talmid Chakham merita che ci si alzi al suo cospetto (Ben Ish Chay, loc. cit., 16; cfr. Chidà di Livorno, Birkè Yossef, Choshen Mishpat 17,5), ma solo finché suo marito è in vita, perché essa riflette l’onore dovuto a lui. Quanto alla donna che ha studiato la questione è controversa. C’è infatti chi ritiene che non sia obbligatorio alzarsi davanti a lei dal momento che il suo impegno non deriva da un obbligo come per l’uomo, ma da una sua scelta personale: secondo la stretta Halakhah, infatti, la donna è esente dall’obbligo di Talmud Torah.
Nel Talmud si racconta che R. Yochanan soleva alzarsi anche al cospetto di anziani non ebrei (“quante ne hanno viste in vita loro”, diceva) e Abbayè porgeva loro la mano per aiutarli: questa è la Halakhah. C’è un ulteriore, grave problema nel negare il proprio posto a sedere ad un anziano non ebreo sul tram ed è l’eventualità in cui possiamo essere identificati come ebrei, nel qual caso ci macchieremmo della Profanazione del Nome di D. Costui “non ha la possibilità, neppure pentendosi, di sospendere la punizione, né gli giova Yom Kippur per l’espiazione, né le sofferenze corporali: qui solo la morte potrà completare l’espiazione”. Incorriamo nel Chillul ha-Shem tutte le volte che diamo l’impressione di venir meno ai principi della Torah. Non c’è davvero altra via d’uscita che la morte? No, risponde Rabbenu Yonah da Gerona, la via d’uscita c’è: alla profanazione si contrapponga la santificazione (Qiddush ha-Shem)! (Sha’arè Teshuvah III, 158). E come si santifica il Nome di D.? Ci sono molti modi. Commentando il famoso versetto dello Shemà’: “e amerai il S. tuo D.”, il Talmud si domanda: come si può amare il S.D.? Facendo in modo che Egli sia amato dagli altri per merito tuo, è la risposta. Ogni giorno dobbiamo comportarci in un modo che rechi onore al D. d’Israele. Se cederemo all’anziano il posto a sedere sul tram che cosa risponderà? “Grazie mille! E’ così raro al giorno d’oggi vedere persone così bene educate! Che educazione hanno ricevuto gli Ebrei!”. E la nostra Torah sarà esaltata: avremo fatto Qiddush ha-Shem. E’ solo un esempio!