Con la parashàh di Terumàh inizia un ciclo di cinque parashot, che ci accompagneranno sino al termine del libro di Shemot, che hanno come argomento principale la costruzione del mishkan, sul quale, terminatane la costruzione, si sarebbe posata la Presenza divina. Ciò avrebbe costituito l’apice degli avvenimenti grandiosi che caratterizzano il libro di Shemot. Il Rambam nelle hilkhot bet ha-bechiràh indica questa mitzwàh non solamente come una horaat sha’àh, una disposizione temporanea, ma una mitzwàh ledorot, valida anche per le generazioni successive, ed anche per noi.
Rientrano pertanto nell’esecuzione di questa mitzwàh la costruzione del mishkan di Shilò, quella dei due Santuari a Yerushalaim e la costruzione del terzo Tempio, che attendiamo bimeheràh beyamenu, presto nei nostri giorni. La costruzione di una dimora per la Shekhinàh è uno degli elementi principali della nostra gheulàh. Molti commentatori si sono soffermati su un’anomalia insita nella frase “We-‘asu lì miqdash weshakhantì betokham- e faranno per Me un santuario e risiederò in mezzo a loro”. Difatti sarebbe stato più logico dire betokhò- in esso, riferito al Santuario. Lo scopo della costruzione del mishkan è che la Presenza divina si posi su ogni componente del popolo d’Israele. Secondo il Ramban ci troviamo di fronte alla prosecuzione della rivelazione divina sul Sinai. Il mishkan è un Sinai in miniatura. L’Or ha-chayim (Shemot 25,8) scrive che il mishkan, circondato dall’accampamento delle tribù, richiama quanto i figli d’Israele videro quando erano intorno al Sinai, e videro il Signore circondato dalle schiere angeliche.
Rashì (Shemot 31,18) ritiene che, sebbene l’ordine di costruire il mishkan appaia prima del peccato del vitello d’oro, cronologicamente lo segua. Il materiale utilizzato infatti costituisce un’espiazione per il peccato. Ramban invece sostiene che, sebbene Moshèh non abbia trasmesso l’ordine ai figli d’Israele sino a quando non scese con le seconde tavole della legge, il comandamento divino sia arrivato prima del peccato. Secondo il Midrash Tanchumà il mishkan è la dimostrazione che il popolo ebraico è stato perdonato per il peccato del vitello d’oro. Per questo è stato chiamato mishkan ha-‘edut (il mishkan della testimonianza), perché è una prova evidente che H., nonostante il peccato, continui a posare la Sua presenza fra noi. La domanda è pertanto è se considerare il mishkan un concetto originario, o una derivazione a posteriori, conseguenza del peccato del vitello d’oro. Alcuni, basandosi sull’interpretazione di Rashì, ritengono infatti che prima del peccato del vitello d’oro non vi fosse bisogno del mishkan.
Attraverso la manifestazione divina sul Sinai, ciascun membro del popolo ebraico aveva raggiunto un livello spirituale alto a tal punto da fungere da mishkan. Solamente in seguito al peccato, quando vi fu un repentino e deciso declino spirituale, si manifestò l’esigenza di avere una struttura che permettesse alla Presenza divina di risiedere in mezzo ai figli di Israele, ma non dentro di loro. Il Malbim sviluppa ulteriormente questa idea e considera la struttura del mishkan simile a quella del corpo umano: l’Aron e la Toràh in esso contenuta simboleggiano la testa ed il cervello, il Qodesh con la menoràh e il tavolo rappresentano i polmoni e il cuore, e così via. L’Ha’ameq davar riporta un’altra idea, molto affascinante, secondo cui la complessità del mishkan richiama la complessità dell’intero creato. Su quanto avverrà alla fine dei giorni, possiamo tuttavia ricavare delle indicazioni dalle parole dei profeti. Dice il profeta Yesha’iàh (11,9): “poiché sarà piena la terra di conoscenza del Signore, come le acque coprono il fondo del mare”. Da qui potrebbe intendersi che non vi sarà la necessità di un nuovo Santuario, ma non è così. Anche quando il popolo d’Israele si mostrerà nuovamente degno di accogliere la Presenza divina, al contempo vi sarà il Santuario a Yerushalaim.
Tuttavia il Malbim segnala delle espressioni nel libro di Yechezqel (37,27-28), versi che recitiamo il sabato a minchàh, secondo cui “la Mia dimora sarà su di loro” e “i popoli sapranno che Io sono il Signore, che santifica Israele, e il mio mishkan è sempre in mezzo a loro”. Questa idea dovrebbe motivarci fortemente nella nostra ‘avodat ha-Shem. Il Rebbe di Kotzk era solito affermare “Dov’è la Shekhinàh? Ovunque gli si permetta di entrare!”. R. Chayim di Volozin affronta questa tematica in Nefesh ha-chayim (1,4): l’uomo può, anzi deve, essere un mishkan. Il mishkan esteriore non è altro che un modello, utile per comprendere quale sia la strada per divenire un mishkan a nostra volta. Nel mishkan sono presenti una serie di oggetti, ciascuno dei quali rappresenta una parte del servizio di H. I commentatori hanno cercato di individuare, ciascuno a modo proprio, una simbologia che illustrasse questa idea. Nel Midrash Rabbàh è detto a nome di R. Shim’on Bar Yochai: “ci sono tre corone, la corona del regno, la corona del sacerdozio e la corona della Toràh. La corona del regno è il tavolo, sul quale è scritto “una cornice d’oro intorno”; la corona del sacerdozio, è l’altare, sul quale è scritto “una cornice d’oro intorno”, la corona della Toràh è l’aron, sul quale è scritto “una cornice d’oro intorno”. La ghemarà in Bavà batrà (25b) dice “chi vuole divenire saggio si rivolga verso sud, chi si vuole arricchire si rivolga verso nord, ed il tuo segno (per ricordare) è che il tavolo era a nord e la menoràh a sud”.
Esistono molti modi differenti di servire H., ma nessuno, anche se naturalmente più simile ad altri arredi del mishkan, può sottrarsi dal servirLo attraverso lo studio della Toràh, rappresentata dall’aron. Per questo mentre per tutti gli arredi è scritto we-‘asita (farai), mentre per l’aron we-‘asù (faranno). Vengano tutti e si occupino dell’aron, per meritare la Toràh. Calando questo discorso nella realtà le cose divengono più complesse. Se si perde il collegamento con l’Aron, con lo studio della Toràh, gli altri arredi rischiano di essere snaturati, e divenire oggetti qualsiasi, di nessuna utilità nel servizio di H. Quindi ricordiamo sempre che tutte le nostre azioni devono essere accompagnate e coordinate dall’aron, e in questo modo certamente i nostri sforzi nella ‘avodat ha-Shem saranno ripagati.