Da un articolo di Rav Ari Kahn
Il Talmud, nelle prime pagine del trattato ‘Avodah zarah, narra che in futuro i pagani si lamenteranno con D. per via del suo trattamento di favore nei confronti del popolo ebraico. D. risponderà che il motivo della loro distinzione risiede nel fatto che hanno accettato di seguire la Torah. Gli altri popoli pertanto chiederanno di seguire la Torah, e il Signore risponderà che solo chi ha preparato prima di Shabbat potrà mangiare di Shabbat, ma chi non si è preparato cosa mangerà? Tuttavia potranno provare una mitzwah semplice, dal momento che non comporta particolari spese, quella della sukkah. Ciascuno costruirà quindi la propria sukkah sul proprio tetto, ma il Signore farà splendere il sole come se fosse pienissima estate. Ciascuno allora prenderà a calci la propria sukkah e il Signore riderà.
Questo passo presenta molti aspetti da approfondire, ma ciò che ci colpisce è il fatto che i pagani non saranno in grado di osservare la mirzwah della sukkah. Sukkot infatti è considerata la festa più universale all’interno del nostro calendario. I settanta tori offerti a Sukkot, come è noto, hanno un obiettivo espiatorio per le settanta nazioni della terra, affinché possa cadere durante l’anno la pioggia. Questo elemento universalistico è assente nelle altre festività: Pesach e Shavu’ot celebrano episodi della storia che hanno riguardato solo il popolo ebraico. Sembra paradossale esprimere l’incapacità dei pagani di relazionarsi a D. proprio quando si parla di Sukkot. Ci saremmo aspettati che, visto che gli stessi ebrei si preoccupavano del benessere materiale dei non ebrei, questi avrebbero accettato di buon grado di rivolgersi a D. in preghiera.
Tuttavia, dal capitolo 14 del libro di Zaccaria emerge una realtà molto differente: è scritto infatti che i popoli che si erano scagliati contro Gerusalemme andranno di anno in anno ad adorare D. durante la festa di Sukkot.
Il Talmud normalmente spiega gli insegnamenti del Tanakh, ma non ha la facoltà di entrare in discussione con i neviim, contraddicendo quanto affermano. Come è possibile quindi sostenere che i pagani non riusciranno a mettere in pratica la mitzwah della sukkah, quando il profeta suggerisce il contrario?
Per comprendere che si tratta di una contraddizione solo apparente, bisogna interrogarsi sulla natura di Sukkot. Come sappiamo bene durante Sukkot ci sono due mitzwot fondamentali, il lulav e la sukkah. Una mitzwah ha un carattere agricolo, l’altra storico. L’aspetto agricolo è chiaramente universale, quello storico è particolare. Nel momento del raccolto, ringraziamo D. per il prodotto e Gli chiediamo di essere generoso anche per l’anno che sta per iniziare. Secondo la ghemarà in Rosh ha-shanah Sukkot è il giorno del giudizio relativamente all’acqua.
Le sukkot rimandano invece ad un’altra dimensione. R. Eli’ezer e R. Aqivà nel Talmud discutono sulla natura della sukkah. R. Eli’ezer ritiene che ricordi le nubi di gloria che proteggevano il popolo ebraico nel deserto, R. Aqivà è del parere che ricordi delle capanne vere e proprie, attraverso le quali il popolo ebraico si riparavano. La domanda pertanto è se la protezione era metafisica o fisica. Ma un fatto rimane, avventurandosi nel deserto il popolo ebraico mostrò la propria fede. Questo è quanto intendiamo ricordare. Questa fede è la chiave di Sukkot. L’abbandono della comodità della propria casa è l’essenza dell’esperienza della sukkah. La sukkah mostra quanto sia temporanea la nostra esistenza, aiutandoci a concentrarci sul rapporto che sussiste fra fisico e spirituale. Ma anzitutto la sukkah è un segno di fiducia, quella che abbiamo avuto nel passato, e speriamo di avere oggi.
Questo permette di risolvere l’apparente contraddizione. Ci sono due aspetti in Sukkot, c’è la fisicità, gashmiut in ebraico, rappresentata ottimamente dal gheshem, la pioggia. Fonte della pioggia son le nuvole, nuvole di gloria, che R. Eli’ezer ricordava. Il fisico rimanda allo spirituale, che è etereo ed al di là della nostra comprensione.
La nostra preghiera durante Sukkot, rispetto agli Yamim noraim, si sposta. Allora pregavamo per la nostra stessa esistenza, ora per la qualità della nostra vita. Preghiamo per elementi molto fisici, formando una dialettica che porta ad una sintesi. Preghiamo per il fisico, ma abbandoniamo il fisico per affidarci a D., lasciando le nostre case e rifugiarci nella sukkah. Fisico e spirituale, pur essendo in netto contrasto, convivono.
Quando parliamo dei pagani e dell’aspetto puramente fisico della festa, non c’è alcuna difficoltà. Non dobbiamo stupirci se ci si reca a Yerushalaim per pregare per la pioggia. E’ una logica molto pragmatica, di richiesta e di adempimento. Ma l’altro aspetto, quello spirituale, quello che il Talmud chiama una semplice mitzwah, per un pagano risulta difficile da comprendere. Non c’è pragmatismo, ma fiducia e amore. C’è il ricordo del momento in cui il popolo ebraico, giovane e innamorato, si avventurò nel deserto, come Geremia illustra nel secondo capitolo del suo libro. Il trascendimento della dimensione fisica, che non comporti la rinuncia a qualcosa di veramente importante, è una visione estranea all’orizzonte religioso pagano, così come è aliena l’idea che un atto religioso non debba essere necessariamente un gravoso sacrificio. Un comandamento non può essere non gravoso per definizione. Se lo stare nella sukkah comporta disagio invece, il Talmud esenta tecnicamente dalla mitzwah. La risposta è quella di prendere a calci la sukkah. Come è possibile intrattenere una relazione con una divinità che esprime delle richieste tanto incomprensibili? Questo aspetto di Sukkot è tipicamente e solamente ebraico. Vivere con D., ricordare i giorni della giovinezza quando seguivamo D. come una sposina, senza porre delle obiezioni, ma accettando e mostrando fiducia.