Una ragione in più per leggere Rut a Shavu’ot
- Rut e Shavu’ot.
Molteplici sono le ragioni tradizionalmente addotte alla base dell’uso secolare di leggere pubblicamente la Meghillat Rut a Shavu’ot. Ricordo qui le principali: 1) Dobbiamo ricordarci che come la conversione di Rut all’Ebraismo è avvenuta attraverso durezze e avversità, così la conoscenza della Torah, data a Shavu’ot, è possibile solo attraverso uno studio assiduo. 2) Il libro è ambientato nella stagione dei raccolti, come Shavu’ot. 3) La tradizione ci insegna che il re David, pronipote di Rut, morì a Shavu’ot. 4) Il libro di Rut termina con il matrimonio di Rut e Bo’az. A Shavu’ot la Torah ci è stata data come una sposa (Rashì a Shemot 31,18).
5) Il Talmud (Yevamot 47b) afferma che quando un gher (futuro proselita) si presenta per convertirsi, il Bet Din lo rende edotto delle principali Mitzwot della Torah, fra cui le prescrizioni di bontà verso i poveri: leqet, shikhchah e peah di cui si parla nel libro di Rut. 6) Come la Torah è tutta bontà (chessed) così la Meghillat Rut è tutta chessed: Rut è chiamata eshet chayil (“donna di valore” – 3,11) e della eshet chayil il Re Shelomoh ebbe a dire che “Torah di Chessed è sulla sua lingua” (Mishlè 31,26).
- Il messaggio politico del libro di Rut.
In Bavà Batrà 14b il Talmud dice: “Shemuel ha scritto il suo libro, quello di Shofetim (Giudici) e quello di Rut”. Lo scopo per cui sono stati scritti questi testi è aprire la via al regno di David e giustificare la monarchia in Israele. A differenza di Shofetim e Shemuel, tuttavia, in cui viene presentata la macro-storia del periodo preparatorio, Rut si sofferma sulla micro-storia: su un episodio apparentemente anonimo, i cui estremi temporali non conosciamo, che tuttavia illustra con efficacia quelli che erano i problemi di un’intera generazione: “guai a quella generazione che giudica i propri giudici e a quei giudici che vengono giudicati (Rut Rabbà 1)”. Conosciamo le trasgressioni di cui si parla soprattutto nell’ultima parte del libro di Shofetim (idolatria, guerra civile fra le tribù), mentre della stessa epoca Rut ci riferisce inizialmente solo una punizione: la fame. E’ una carestia localizzata (la vicina Moav non ne soffriva), ma molto prolungata (dieci anni): si tratta verosimilmente di una punizione per aver trascurato le Mitzwòt dei doni ai poveri (cfr. Avot 5,10). Il Midrash mette in luce come Elimelekh fosse l’esempio di una persona economicamente salda che tuttavia preferì abbandonare il suo popolo nel momento del bisogno e trasferirsi all’estero. La figura di Bo’az mostra d’altronde che alcuni avevano tratto insegnamento.
Anche la società ebraica del tempo è ben descritta. I Giudici erano autorità locali a loro volta con poteri limitati nel tempo. La struttura sociale dominante era la famiglia, confinata nel proprio territorio: si cfr. l’episodio di ‘Akhan in Yehoshua’ 7 o quello di Ghid’on di ‘Ofrah in Shofetim 6, 34-35: andando in guerra contro i Midianiti, Ghid’on si fa aiutare prima dai suoi famigliari e poi dalla sua tribù. Il racconto di Rut si riferisce a Bet Lechem della tribù di Yehudah. I quadri dominanti erano rappresentati dagli zeqenim (anziani), che si ritrovavano alle porte delle città. Il periodo dei Giudici rappresentò un’epoca di divisioni: “a quell’epoca non c’era un re in Israel: ciascuno faceva ciò che pareva giusto ai suoi occhi” (Shofetim 21,25). Era necessario un cambiamento significativo della società. Il re ideale che viene tratteggiato deve sapere unire il timore di sé e la capacità di abbattere i malvagi (cfr. Maimonide, Hil. Melakhim 3,10) con il riguardo dovuto ai miseri e ai sofferenti, nella tradizione di Israele. A mettere l’accento sull’unità nazionale del popolo di Israele è proprio Rut: rivolta alla suocera dichiara “il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo D. sarà il mio D.” (1,16). Superando la visione tribale più antica Rut meriterà di diventare la bisnonna del re David, simbolo dell’Unità di Israele.
- “Come un sol uomo, con un cuore solo”.
E’ significativo che la Parashat Bemidbar viene sempre letta prima di Shavu’ot. In essa si parla del censimento del popolo ebraico nel deserto, diviso in famiglie e tribù. Rashì (a 1,18) dice che ciascuno era stato chiamato a portare documenti della propria discendenza allo scopo di vedersi assegnata la propria collocazione nell’accampamento. Il versetto: “Partirono da Refidim e giunsero al deserto del Sinai” (Shemot 19,2) conclude invece dicendo che “Israele si accampò là dirimpetto al monte” adoperando il verbo al singolare. Rashì stesso commenta che gli Ebrei vi si accamparono “come un sol uomo, con un cuore solo”. Il dono della Torah fu reso possibile solo dall’unità del popolo d’Israele. Quanto a Refidim, si menziona nuovamente la tappa da cui provenivano perché le tre lettere radicali di questo nome alludono al verbo p.r.d. che significa “dividere”. Rashì aggiunge in proposito che durante il tragitto i Figli d’Israele avevano fatto teshuvah.
- Le Mattenot ‘Aniyim.
La Meghillat Rut è soprattutto incentrata sulle Mitzwòt relative ai doni ai poveri. Se nella Torah troviamo l’aspetto prescrittivo, in Rut abbiamo invece quello descrittivo: possiamo parlare di Torah applicata. Già nella Torah questo tema è strettamente legato alla festa di Shavu’ot. Trattando delle feste in Wayqrà 23, la Torah interrompe la sequela appena dopo che si è soffermata su Shavu’ot per ribadire: “allorché mieterete i vostri campi non porterete a termine la mietitura all’angolo, né raccoglierai la spigolatura del tuo raccolto, ma le lascerete al povero e allo straniero, Io sono H. vostro D.” (v. 25). Di questi precetti la Torah aveva già parlato (19,9). Ora li ribadisce in relazione alla festa della mietitura del grano affinché non ci dimentichiamo, nell’offrire al Santuario i ‘due pani’ del grano nuovo, di provvedere con la mietitura anche ai bisognosi (Ibn ‘Ezrà ad loc.). Dal momento che, come si è visto, la punizione per chi trascura questi obblighi è molto severa, non è escluso che si sia voluto istituire un modo per rammentarli in pubblico e che a tale scopo si sia intrapreso l’uso di leggere il libro di Rut a Shavu’ot.
E’ difficile tuttavia pensare che le Mattenot ‘Aniyim in quanto tali rispondano semplicemente a un programma politico di assetto sociale. Questi obblighi non hanno come unica finalità quella di aiutare il prossimo in difficoltà. 1) Colpisce anzitutto il fatto che le Mitzwòt in questione sono diversificate fra loro: quasi ogni stadio della produzione agricola si caratterizza con un precetto per conto proprio. Prima del raccolto vi è la Mitzwah della peah: lasciare l’angolo del campo non ancora mietuto a disposizione dei poveri; durante la mietitura vi è l’obbligo del leqet: lasciare le spighe cadute affinché i poveri le raccolgano; dopo la mietitura vi è il precetto della shikhchah: lasciare a disposizione dei bisognosi i covoni eventualmente dimenticati nel campo (Devarim 24,19). Se lo scopo fosse meramente affrontare problemi socio-politici non si spiegherebbe perché la Torah non abbia concentrato questi obblighi in una sola prescrizione. 2) Non tutti i precetti agricoli sono solo a tutela dei poveri, almeno esplicitamente. Si pensi ancora alle decime destinate ai Leviti, alla classe sacerdotale e agli abitanti di Yerushalaim (Devarim 14,22; 18,4); al divieto di mangiare il frutto dei primi tre anni dalla piantagione dell’albero (‘orlah); all’obbligo di presentare annualmente le primizie (bikkurim) al Santuario (Devarim 26,1 sgg.), alla prescrizione dell’anno sabbatico e del giubileo (Wayqrà 25,1 sgg.). 3) Tutti i versetti relativi fanno riferimento più o meno esplicito alla terra e alla sua proprietà. 4) Sono tutti obblighi passivi, o più esattamente, situazioni nelle quali viene chiesta al padrone della terra una recessione. 5) D’altronde anche i poveri sono chiamati a prender parte ai benefici loro destinati, questa volta come parte attiva: nel caso della peah, p. es., non potrà essere il padrone del campo a raccogliere per loro la parte loro spettante, ma dovrà lasciare che siano i bisognosi a farlo per sé (Cfr. Sefer ha-Chinnukh, prec. 203). A questi ultimi era dunque richiesto di chinarsi a raccogliere e a spigolare da soli con grande sforzo, affrontando l’eventuale concorrenza. A tale fine la Mishnah proibisce p.es. l’uso di falci e scuri affinché non si facessero male a vicenda (Peah 4,4).
E’ evidente che lo scopo di queste prescrizioni è anzitutto pedagogico: educare i membri del popolo ebraico, quali che fossero le loro possibilità economiche, a due valori, uno etico, l’altro religioso: ritrarsi dinanzi ai beni materiali e riconoscere che il vero Padrone del mondo non è l’Uomo, bensì D., che ha concesso la Terra alla collettività e il singolo Campo al privato, “D. dei mietitori e D. degli spigolatori” (Sforno a Wayqrà 23,22). Nonostante lo sforzo che investi nel coltivare la Terra, c’è una parte della tua proprietà che non ti appartiene…
- “Che cosa c’entra Rut con il Monte Sinai?”
Due Sabati prima di Shavu’ot si è letta la Parashat Behar Sinai, con le leggi sull’anno sabbatico. “Che cosa c’entra l’anno sabbatico con il Monte Sinai?”, domanda il Midrash citato da Rashì a commento di Wayqrà 25,1: “E parlò H. a Moshe sul Monte Sinai dicendo: per sei anni seminerai il tuo campo…”. Perché proprio a proposito di questo precetto rispetto ad altri la Torah tiene a ribadire che è stato dato sul Monte Sinai? Molte risposte sono state fornite a questo interrogativo. Vorrei darne una a mia volta, dopo aver citato un recente Responso del Rav Chayim David ha-Levy di Tel Aviv (‘Asseh lekhà Rav, 3, 56). Rispondendo a chi gli domandava se si potessero trovare nella Torah raccomandazioni per un regime politico o economico piuttosto che un altro, il Rav risponde risolutamente di no. “Persino il brano relativo alla nomina del Re –scrive- è così oscuro da aver generato una controversia se si tratti di una Mitzwah o di un atto semplicemente consentito (reshut). E sebbene la Halakhah sia stata stabilita secondo l’opinione che è una Mitzwah, molti commentatori successivi si sono espressi in modo molto critico sul regime monarchico”.
La Torah non interviene nell’assetto che di volta in volta gli uomini danno alla società. Il Rav dà di ciò due motivazioni. 1) Il regime politico si presta a continui cambiamenti da un periodo storico all’altro, in contrasto con la Torah che è eterna. 2) La Torah non ha voluto imporre al popolo un regime specifico per quegli aspetti della vita pubblica che esulano dalle Mitzwot. Leggendo i versetti relativi alle prescrizioni “sociali” potremmo essere indotti erroneamente a pensare che la Torah sia un sistema politico. O meglio, che tutti i programmi politici che dichiarano di farsi carico della solidarietà umana trovino ipso facto immediato avallo nella Torah. Non è così. Chi giudica un elaborato della mente umana al livello della Torah finirà prima o poi per concedersi l’inverso: giudicherà la Torah alla luce della propria mente. La Torah non è un partito. La Torah non è ideologia. La Torah è Torah e basta.
Un sistema di assetto globale della società come quello che prescrive l’anno sabbatico e il giubileo potrebbe essere scambiato per un programma politico ottimale. Per questa ragione viene ribadito che anch’esso, come tutti gli altri precetti della Torah, ha avuto origine sul Monte Sinai. E’ opera di H. e nulla di umano può essere paragonato alla Torah di H. Per la stessa ragione la lettura della Meghillat Rut è stata prescritta a Shavu’ot, la festa del Dono della Torah. Per ribadirci che anche il suo messaggio di umana solidarietà ha in realtà origine divina e non può essere adoperato per avallare ideologie terrene. Non solo il dono della Torah è stato reso possibile dall’Unità del popolo ebraico. E’ anche vero l’inverso: soltanto la Torah ha la capacità di tenere unito Israele per l’eternità.
I paragrafi 2 e 4 sono ispirati al volume di I. Rosenson, Chagghè Israel we-Eretz Israel, Massoret u-Mqorot be-Torat ha-Mo’adim, O.S.M., Jerusalem, 1997, spec. p. 333-348.