Il nuovo libro di Rav Jonathan Sacks
Rav Jonathan Sacks[1] nasce a Londra l’8 marzo del 1948. Riceve una solida formazione filosofica e rabbinica, che lo portano nel 1991 a diventare Rabbino capo del Commonwealth e nel 2009 a sedere nella Camera dei Lord. Probabilmente oggi è il più famoso rappresentante della realtà ebraica al mondo. Gran parte della sua attività è dedicata al dialogo interreligioso. Mantiene costanti rapporti con molte figure religiose di primissimo piano. Condivide con alcuni suoi illustri predecessori, ad esempio Hertz e Jacobovits, il fatto di essere un importante e originale pensatore. Gli incontri che più lo hanno ispirato in gioventù furono quelli, quando era ancora un promettente studente, con il Rebbe di Lubavitch e con Rav Soloveitchik.
Il tema che gli è più caro, affrontato solo di rado dai pensatori ortodossi, è quello dell’impatto della globalizzazione e del multiculturalismo sul mondo religioso. Il pensiero di Rav Sacks, pur rimanendo all’interno dell’insegnamento tradizionale, non è stato sempre accolto con favore all’interno del mondo ortodosso.
Le sue riflessioni prendono le mosse dalle analisi di Samuel P. Huntington in Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale[2], che hanno suscitato molte reazioni fra gli intellettuali di tutto il mondo. L’idea di fondo di Huntington è che la politica planetaria si stia ristrutturando e che le comunità culturali stiano sostituendo i blocchi della Guerra fredda. La domanda alla quale Rav Sacks, rabbino del Commowealth per oltre due decenni, cerca di rispondere in La dignità della differenza[3] è quale possa essere il ruolo delle religioni in questo frangente caratterizzato da cambiamenti epocali, non solo in ambito politico e religioso. L’ispirazione per scrivere quel libro, come afferma esplicitamente nelle prime pagine, venne dai momenti di preghiera e dalle riflessioni comuni che fecero seguito all’11 settembre, quando il Rav si trovò assieme a molti leader delle altre comunità religiose. Scrive Rav Sacks:
“La religione può essere una fonte di discordia. Ma può essere anche una forma di risoluzione dei conflitti. Il primo caso ci è assai familiare, il secondo molto meno. Ma è qui che dobbiamo riporre le nostre speranza se vogliamo creare una solidarietà umana tanto forte da sopportare le tensioni che ci aspettano. Le grandi religioni devono diventare un’attiva forza di pace, oltre che di giustizia e di compassione (elementi da cui dipende, in ultima analisi, la pace stessa). Sarà necessario un grande coraggio, e forse anche qualcosa di più: una candida ammissione del fatto che, più di quanto sia mai accaduto in passato, dobbiamo cercare – ciascuna religione a modo proprio – un modo di convivere con (e riconoscere l’integrità di) coloro che non condividono la nostra stessa fede. Siamo in grado di dare spazio alla differenza? Sappiamo sentire la voce di D. in un’altra lingua, in una sensibilità e in una cultura che non sono le nostre?”[4].
Sacks sostiene che se la religione non è parte della soluzione, sarà certamente parte del problema. Contrariamente alle nostre previsioni, le religioni, per via di vari fattori, fra cui quello demografico, avranno un ruolo sempre più preponderante nel XXI secolo. Le democrazie liberali soffrono infatti di una grave mancanza di fondo, che è quella di avere la capacità di creare liberi mercati e offrire ai cittadini ampie libertà personali, ma non riuscire al contempo a fornire loro una determinata moralità, e soprattutto rispondere alle domande che prima o poi tutti ci poniamo: Chi sono? Perché sono qui? Come dovrei vivere allora? Rav Sacks, a più riprese e in varie opere, cita a livello esemplificativo due fenomeni che caratterizzano la nostra società, l’abbandono dell’etica giudeo-cristiana, che ha dominato l’Europa sin dalla riforma di Costantino, e, di conseguenza, la messa in discussione della santità della vita e del matrimonio tradizionale. Il sistema capitalistico accentua l’ingiustizia e l’ineguaglianza, e questa caratteristica crea inevitabili tensioni sociali. La politica e l’economia hanno molto da offrire quando si parla di libertà, molto meno quando si parla della condizione umana. Per questo in questo XXI secolo le religioni hanno acquisito nuovamente vigore.
Il grosso nemico, circa l’applicabilità di quanto Rav Sacks auspica, è identificato in uno dei giganti del pensiero occidentale, Platone, al quale viene opposto il modello ebraico, che pone l’universalismo all’inizio, e non alla fine, della storia dell’umanità, nei primi capitoli della Genesi. Il particolarismo costituisce solamente una fase successiva, posteriore all’episodio della Torre di Babele. In questo frangente, con la comparsa di Abramo, si presenta la verità religiosa, che non è un universale. Mentre in Cielo c’è un’unica verità, in terra può essercene più di una. L’Unico dà luogo al diverso. La realtà divina trascende la particolarità espressiva delle varie religioni e culture umane. La religione che pretende di essere un universale porta inevitabilmente all’esclusione. L’ebraismo non è mai stato vinto da questa seduzione, perché ritiene che vi sia una duplice alleanza, una universale con tutta l’umanità, e una più specifica con il popolo ebraico. L’esperienza della schiavitù diviene uno degli elementi fondamentali nella formazione dell’identità ebraica. L’alterità viene filosoficamente tradotta nel concetto di differenza, che diviene essa stessa un valore religioso. Questa prima riflessione non approfondisce però la questione puramente teologica e concetti altamente problematici come quello di elezione, e questo è lo scopo che si prefigge Non nel nome di D., un testo molto interessante, nel quale, una volta esplicitati i presupposti teorici della disamina, si dà una lettura molto particolare di uno dei testi fondamentali delle tradizioni religiose monoteistiche (sebbene per gli islamici non si tratti di un testo canonico, e questo è forse uno dei punti deboli principali nel libro di Sacks), il libro della Genesi. Più in generale Rav Sacks cerca di individuare le radici profonde della violenza religiosa, avvalendosi in modo particolare del pensiero di Renè Girard, che individua la radice del conflitto nello scontro fra fratelli. Negli ultimi anni il tema della violenza religiosa, essendo salito alla ribalta nello scenario internazionale, ha ricevuto enorme attenzione. Rav Sacks si mostra sotto certi aspetti debitore delle riflessioni di Mark Juergenmeyer, che con Terror in the mind of God: the global rise in religious violence ha inaugurato un fortunato filone nella letteratura accademica. Ciò che è apprezzabile nel lavoro di Rav Sacks è la prospettiva particolare, evidentemente ispirata dalla tradizione ebraica, delle sue parole. Nelle sue riflessioni Rav Sacks mostra, come negli altri suoi testi, una grande erudizione, che abbraccia discipline molto differenti, dalla storia alla filosofia, dalla teologia alla psicologia, delle neuroscienze all’antropologia culturale. Ma l’aspetto maggiormente caratterizzante di questo testo, a parte l’impalcatura concettuale che viene illustrata nei primi cinque capitoli del libro, è quello squisitamente esegetico, sviluppato nella parte centrale dell’opera. Ogni tradizione religiosa ha i suoi testi duri, e con quelli ci si deve confrontare, per superare il problema della violenza religiosa. Gli spunti di Rav Sacks, decisamente piacevoli da leggere, sono di grande interesse anche per il lettore già avvezzo alla letteratura rabbinica, e non poche volte mostrano da un’altra angolazione l’esposizione tradizionale.
Il principale antagonista rispetto alla creazione di un clima di convivenza religiosa è ciò che rav Sacks definisce dualismo patologico, in risposta al classico problema della teodicea. Se il mio D. è completamente buono, da dove arriva il male? E’ possibile che arrivi da D.? Evidentemente allora deve arrivare dai suoi nemici. E in questo modo nasce il dualismo. Un’idea innovativa che Rav Sacks introduce, almeno a livello linguistico, è quella di male altruistico. E’ importante affermare il concetto che bene e male non sono termini relativi. Tutti devono accettare il fatto che uccidere degli innocenti è assolutamente male. Quando si ammette che si possano uccidere degli innocenti perché “sono membri di un popolo che ha umiliato la mia gente” si ha il male altruistico, che caratterizza i fondamentalismi odierni, favoriti da uno scatto tecnologico importante, quello della crescita di internet e dei social network. Se i fondamentalismi usano appropriatamente questi strumenti, mentre il mondo occidentale continua ad affidarsi ai giornali, lo scontro è impari. La religione radicale è la più grande minaccia alla libertà nel nostro mondo, quando la religione potrebbe svolgere un ruolo molto importante all’interno della società civile, per dotare le persone delle qualità che Sthephen Carter definisce “virtù pre-politiche”.
Un cambiamento di paradigma importante che caratterizza il libro è quello del conflitto fondamentale a livello psicologico, che non sarebbe quello fra padre e figlio secondo l’impostazione freudiana, ma quello fra fratelli. Il tema della rivalità fra fratelli è dominante all’interno del libro della Genesi. Ne abbiamo vari esempi: Caino-Abele; Isacco-Ismaele; Giacobbe-Esaù; Giuseppe e i suoi fratelli, e parzialmente Rachele e Lea. La ricezione di queste rivalità da parte dei monoteismi porta alla costruzione di un modello secondo il quale questi, fra di loro, sono incompatibili. Ad esempio il giudaismo e il cristianesimo si auto-percepiscono come Giacobbe, lasciando agli altri il ruolo di Esaù. Gli islamici si percepiscono come Ismaele, ed accusano gli ebrei di avere falsificato la storia. Rav Sacks rilegge gli episodi della Genesi mostrando come la parte che, nella visione tradizionale, è scartata (Ismaele, Esaù), non è rifiutata, perché ha altri doni, ed anzi la parte che emerge è quella che da sola non sarebbe in grado di farlo.
Per uscire dall’impasse, che, è bene notarlo, per essere superata necessita del confronto un certo tipo di ricezione millenaria dei testi, Rav Sacks propone nuovamente il concetto di doppia alleanza e approfondisce le dinamiche sussistenti fra giustizia e amore. La giustizia è universale, l’amore è particolare. La conseguenza di tale visione è che possono esserci degli individui giusti e buoni all’interno degli altri popoli. L’eroina dell’esodo, la figlia del Faraone che salva Mosè, è la figlia di un tiranno. Rav Sacks in questo modo si inserisce nel filone dell’inclusivismo confessionale, che considera ancora la propria via la migliore per raggiungere la salvezza, sebbene questa non sia l’unica possibile. Adotta una via mediana fra l’esclusivismo confessionale, che ammette un’unica via per accedere alla salvezza, e il pluralismo confessionale, che considera le varie strade come ugualmente valide per ottenere la salvezza. Secondo Rav Sacks vi è una differenza fondamentale fra universale e assoluto. La verità religiosa non è universale ma assoluta, così come gli obblighi che un padre ha verso i figli sono assoluti, ma non universali.
Secondo Rav Sacks questa visione moderata dei rapporti fra le confessioni può ridurre la violenza religiosa. La domanda che rimane tuttavia è come sia possibile permettere a questo modello di affermarsi. In un’intervista Rav Sacks afferma di credere anzitutto che sia necessario trovare uno spazio, quale il mondo accademico, perché la voce moderata possa esprimersi. Mostrarsi moderati, quando si è al centro di un conflitto, è una strategia sbagliata. Si devono cercare degli spazi fuori dal conflitto, per formare i guaritori del futuro. Rav Sacks sostiene che è importante affermare oggi che i problemi enormi di cui attualmente soffre l’Islam hanno attanagliato in passato anche l’ebraismo e il cristianesimo, i quali, alla fine, sono riusciti a superarli. Tutti hanno avuto i propri momenti dualistici. La situazione attuale non è nuova, né non superabile.
Il testo di Rav Sacks è sicuramente una lettura stimolante e arricchente intellettualmente, nella quale emergono la profondità di pensiero, la creatività e l’eloquenza dell’autore, che ha il merito e il coraggio di arricchire le proprie argomentazioni con citazioni della tradizione cristiana e islamica. Tuttavia rimangono alcune domande: se in questo modo si riuscirà a fare breccia nel cuore del lettore di un’altra fede e se, come sembrerebbe, la sola interpretazione ha veramente la forza di contrastare quelle tendenze che incitano la violenza religiosa. La posta in gioco, visto l’argomento trattato, è di portata molto più ampia, globale, e riguarda il futuro dell’umanità stessa. Il lavoro di Rav Sacks è importante perché intende gettare le basi per una teologia interconfessionale, ma è necessario che tanti altri teologi appartenenti ad altre confessioni religiose rispondano alla sua chiamata, perché questo ambizioso edificio concettuale possa vedere la luce.
[1]Sulla figura e il pensiero di Rav Sacks vedi A. Jotkowitz, Universalism and particularism in the Jewish tradition: the radical theology of Rabbi Jonathan Sacks, Tradition 44,3, pp. 53-67.
[2] Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà, Milano 1997.
[3] Sul testo di Rav Sacks vedi: D. Shasha, Cultural diversity without moral relativism: a rewiew essay of the dignity of the difference: how to avoid the clash of civilizations, by Rabbi Jonathan Sacks, The Edah Journal 3:2.
[4] J. Sacks, La dignità della differenza, Milano 2004, pp. 12-13.