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Narra il Midrash che fino all’epoca di Ya’aqov nostro Padre nessuno era mai morto di malattia. Si godeva di ottima salute e, quando giungeva il momento, il decesso arrivava all’improvviso. Alla fine della propria vita la persona starnutiva una volta e con lo starnuto esalava la sua anima (da qui, sia detto per inciso, la consuetudine di augurare: “salute!” a ogni starnuto!). Ya’aqov si rivolse a D.: “Se un individuo muore all’improvviso, non ha il tempo di benedire i suoi figli e di dar loro le necessarie istruzioni.
Per favore, mettimi sull’avviso con qualche anticipo in modo da aver il tempo di preparare i miei famigliari”. H. acconsentì alla richiesta di Ya’aqov. Quando il Patriarca si ammalò seppe che era giunto il momento di dare la Berakhah ai suoi figli e dettare loro le sue ultime volontà (Pirqè de-Rabbì Eli’ezer, 52). E’ quanto leggiamo nella Parashat Waychì che, narrando la morte e la sepoltura di Ya’aqov, chiude il libro di Bereshit.
Forse Ya’aqov Avinu fu il primo choleh she-yesh bo sakkanah, “ammalato in pericolo” nella storia umana. Sull’importanza della vita umana secondo la Torah non c’è necessità di dilungarsi. Davanti al piqquach nefesh (“pericolo di vita”) passano in secondo piano quasi tutte le Mitzwòt della Torah. “Da dove si impara che il pericolo di vita supera il Sabato? … R. Yonatan figlio di Yossef dice: dal versetto “poiché esso (il Sabato) è sacro per voi” (Es. 31,14): il Sabato è consegnato a voi e non voi al Sabato; R. Shim’on b. Menassia dice: “E i figli d’Israele osserveranno il Sabato per fare il Sabato” (ibid. 16): la Torah ti dice di profanare per lui un Sabato affinché sia in grado di osservare ancora molti Sabati. Disse R. Yehudah a nome di Shemuel: se mi fossi trovato lì avrei detto che la mia spiegazione è migliore della loro: “queste sono le Mitzwot che l’uomo farà vivendo in esse” (Lev. 18,5) e non morendo in esse…” (Yomà 85b). “E’ lecito spegnere il lume per consentire ad un malato (in pericolo di vita) di dormire? … Quanto ha scritto il re David “I morti non possono più lodare D.” (Sal. 116, 17) significa che dobbiamo dedicarci alla Torah e ai precetti prima di morire, perché una volta morti non abbiamo più questa possibilità e non ne deriva ulteriore lode per il S.B. … Il lume è chiamato lume, ma così pure l’anima dell’uomo è chiamata lume (cfr. Prov. 20,27: “l’anima dell’uomo è il lume del S.”). E’ meglio che si spenga il lume dell’uomo rispetto al lume del S.B. (Shabbat 30a-b).
Lo Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 328 scrive che “è Mitzwah profanare il Sabato per colui che ha una malattia a rischio della vita: chi è sollecito è degno di lode, mentre chi si attarda a domandare il permesso al Rabbino è paragonabile ad un omicida (e anche il Rabbino è degno di rimprovero, perché evidentemente non aveva insegnato alla sua Comunità che il pericolo di vita supera il Sabato)…. Quando si profana il Sabato per un malato in pericolo e siano presenti esperti di Torah, è Mitzwah che siano proprio questi ad intervenire. Delegando altri, porterebbero gli incolti a pensare che si sta violando la Legge. Inoltre un esperto di Torah più difficilmente si lascerà trascinare a trasgredire in seguito anche quando non ce n’è più bisogno: lasciare l’incombenza agli incolti presenta invece questo rischio.
E’ dato al medico o chi per esso non solo rispondere alle chiamate telefoniche ma anche guidare la sua automobile persino se il luogo dell’intervento gli è raggiungibile a piedi con qualche sforzo, perché ci si aspetta che concentri tutte le sue energie sull’emergenza da affrontare. Molti Decisori si sono domandati a questo punto se una volta prestato il soccorso richiesto si possa concedere all’operatore di rientrare a casa alla guida del suo veicolo come per l’andata. Si teme infatti che se glielo si impedisse, il disagio di dover trascorrere fuori casa il resto della giornata festiva potrebbe renderlo riluttante ad accettare un’eventuale altra chiamata in futuro, con conseguenze che potrebbero rivelarsi tragiche. Rav Moshe Feinstein (Resp. Iggherot Moshe, IV, n. 80), rispondendo a un quesito dell’organizzazione ebraica americana di pronto soccorso Hatzalah, scrive che è senz’altro preferibile che alla guida dell’ambulanza vuota sulla via del ritorno ci sia un non-ebreo. Se ciò non fosse possibile, l’ebreo stesso può guidare il mezzo pur infrangendo un divieto della Torah.
Le sue fonti sono due passi della Mishnah. La proclamazione del nuovo mese (qiddush ha-chòdesh) era di fondamentale importanza per la vita nazionale, in quanto da essa dipendevano il calendario e le festività. La Halakhah prevede che i testimoni della luna nuova, a deroga di una proibizione della Torah, potessero viaggiare anche di Shabbat per presentarsi al Sinedrio di Yerushalaim. Li si accoglieva con grandi banchetti perché fossero invogliati a tornare e se fossero giunti da fuori città durante Shabbat Rabban Gamliel istituì che avessero le stesse facilitazioni degli abitanti di Yerushalaim e potessero spostarsi entro la distanza di 2000 ammot (circa un chilometro) dalla città in ogni direzione: cosa che avrebbe consentito a molti di loro di ritornare a casa e che in precedenza veniva loro negata. La Mishnah aggiunge che lo stesso permesso fu dato ad altre categorie di persone impegnate in attività salvavita: “la levatrice giunta da fuori città di Shabbat per assistere una partoriente e colui che è intervenuto per salvare la città da un incendio, dalle truppe nemiche, da un fiume in piena e in occasione di un terremoto” (Rosh ha-Shanah 2,5). Dal momento che tutti costoro erano esenti dal divieto di viaggiare di Shabbat, sono stati dichiarati esenti anche dalle limitazioni e dalle sanzioni imposte ai trasgressori. In un altro passo si afferma infatti che “chi sia uscito dalla città autorizzato ha diritto al raggio di 2000 cubiti in ogni direzione anche se nel frattempo l’emergenza per cui era stato chiamato è rientrata… perché tutti coloro che sono usciti dalla loro città in una missione di salvataggio hanno diritto di tornare a casa (nei limiti suddetti)” (‘Eruvin 4,3). La ragione della Taqqanah di Rabban Gamliel è spiegata nel Talmud: “Se gli impedissimo (di viaggiare una volta raggiunto lo scopo) li metteresti in difficoltà per il futuro (e li scoraggeremmo a venire del tutto)” (Rosh ha-Shanah 23b). La regola è così codificata da Maimonide (Hilkhot Shabbat 2,23; 27,17).
Altri Decisori del nostro tempo esprimono un parere più restrittivo. Leggendo diversamente le fonti R. Eli’ezer Waldenberg, autore dei Responsa Tzitz Eli’ezer e uno dei più accreditati Decisori nel campo dei rapporti fra medicina e Halakhah, scrive che “è difficile permettere a un medico che ha appena curato un paziente in pericolo di profanare Shabbat per tornare a casa se si tratta di un divieto della Torah (come guidare l’automobile). Ma non c’è dubbio che può farsi trasportare fino a casa da un autista non ebreo” (VIII, n. 15,7,2; XI, n. 39-40). Egli sostiene infatti che il principio di “permettere il completamento di un’azione proibita per scongiurare il rischio di astenersene del tutto in caso di necessità” (hittiru sofò mi-shum techillatò: Betzah 11b) è valido limitatamente ai divieti rabbinici, come quello appunto di servirsi di un non-ebreo. All’atto pratico è opportuno attenersi a questa opinione più rigorosa, a meno che il mancato rientro del medico o dell’ambulanza non vada a detrimento del presidio sanitario in vista di nuove emergenze. In tal caso è evidente che “il pericolo di vita supera il Sabato” anche nei divieti della Torah secondo tutti. (Cfr. F. Rosner-W. Wolfson, Returning on the Sabbath from A Life-Saving Mission, in “Journal of Halacha and Contemporary Society”, 9 (5745), p. 53 sgg.)