Protestantesimo 79, 2024, 109-116
I commenti di Rashì, da quasi un millennio, rappresentano il primo obbligato riferimento per chi intende spiegare il testo biblico, non solo in campo ebraico. È nota l’influenza dei commenti di Rashì sull’opera di Nicola di Lyra, che li citò ampiamente, tanto da meritarsi il sarcastico soprannome di Simia Salomonis[1]. Nicola di Lyra sarà poi letto e citato da Martin Lutero. Studi recenti sostengono che il commento di Rashì abbia persino influenzato la cosiddetta King James[2]. Lo storico Avraham Ben David, afferma che «Da quando i suoi commenti si sono diffusi nel mondo, non c’è stato rabbino o uomo eminente che abbia studiato il Talmud senza di lui. Nessun rabbino, nessun maestro ne ha visto mai di uguali»[3]. Levy nota che «virtualmente qualsiasi commento tradizionale alla Torah che sia stato scritto dal medioevo risponde, in parte, ai commenti di Rashì»[4].
Negli ultimi anni, dopo una fase in cui gli studi scientifici sul testo biblico sono stati quasi monopolizzati dalla pubblicazione di testi ugaritici, egiziani e accadici, che hanno condotto gli studiosi principalmente a cercare il «corretto» significato delle Scritture, a seguito di una fase in cui l’interesse era focalizzato sull’esegesi biblica medievale, per via della scoperta della Ghenizah del Cairo, dei rotoli del mar Morto e di altri testi intertestamentari, gnostici e patristici, l’interesse degli studiosi nei confronti dei testi classici della tradizione ebraica si è via via accresciuto.
Un campo di ricerca privilegiato, che può farci pensare di essere alle soglie di una nuova epoca, è lo studio del commento di Rashì alla Torah. Negli ultimi anni hanno visto la luce varie opere, non meramente celebrative, di grande valore, che preannunciano un ulteriore salto di qualità nei prossimi anni[5]. L’interesse nei confronti del contesto storico, del Rinascimento francese del XII sec. e delle polemiche giudeo-cristiane si è accresciuto notevolmente[6]. Sino a pochi decenni fa Yitzhak Baer, che considerava queste polemiche come centrali nell’opera di Rashì, era considerato un’eccezione nel panorama generale[7].
La ricerca più proficua, la prima a investigare in maniera sistematica il commento di Rashì da un punto di vista metodologico, è la rielaborazione della tesi di dottorato di Sara Kamin del 1986 (in ebraico), le cui conclusioni vengono ancora oggi accettate dagli studiosi[8]. Prima di quel lavoro, rivoluzionario nel proprio genere, qualcuno considerava ancora il commento di Rashì una semplice raccolta di midrashim[9].
La professoressa Kamin, nel suo lavoro[10], si è concentrata sulle categorie di peshat e derash nel commento di Rashì. Questi termini non sono usati direttamente da Rashì, che preferisce parlare di peshutò shel miqrà e verbi o sostantivi derivanti dalla radice d-r-sh. Rashì, nei pochi passaggi all’interno del suo commento in cui illustra il proprio metodo, non definisce mai queste categorie. Per questo è necessario, a livello definitorio, esaminare la questione al di fuori del commento di Rashì.
Secondo la definizione della Kamin il peshat è una spiegazione che tiene conto del vocabolario usato nel testo, della sintassi, del contesto, della forma letteraria e della struttura nelle loro reciproche relazioni. L’idea di derash, secondo la definizione di Heinemann[11], deriva anzitutto dall’idea che il linguaggio della Torah sia differente dal linguaggio umano, e richieda pertanto delle forme speciali di interpretazione. In questo sistema tutti i particolari del testo vengono interpretati, e ciascun particolare intende fornire un insegnamento; ciascun elemento può essere interpretato come una parte del proprio contesto, ma anche come un elemento indipendente, che può entrare in relazione con gli altri, producendo infinite combinazioni.
In generale vale la pena di ricordare che per Rashì la ricerca del peshat non va interpretata come una reazione nei confronti dell’esegesi rabbinica, di cui condivideva orientamenti, principi e nozioni teologiche. Peshat e derash per Rashì non emergono quindi come «tendenze opposte» o «forze conflittuali»[12], ma si integrano armonicamente a vicenda.
L’influenza di Rashì a livello metodologico è enorme; spesso vengono riportate le parole di Avraham ibn Ezrà, che in un poema a lui tradizionalmente attribuito lo chiamò Parshandata[13], il commentatore per eccellenza, sul suo impatto: nel metodo di Rashì ogni derash diviene essenziale e cruciale, tanto che il Tanakh viene interpretato per mezzo del derash, dando l’impressione che si tratti del peshat, del senso letterale.
Il commento venne copiato centinaia di volte[14]. Era studiato pressoché in tutte le comunità, arrivando persino nello Yemen. La sua diffusione ha portato alla coesistenza di varie versioni del commento, dovute alle glosse che gli studiosi scrivevano vicino ai commenti, che con il tempo vennero integrate nel commento stesso, e alla dipendenza del commento dal testo del midrash; spesso Rashì deliberatamente metteva mano al testo midrashico o lo abbreviava, e i copisti sistemavano il testo in base alla versione del midrash a loro disposizione. Per questo è indispensabile verificare le proprie intuizioni sui particolari del commento su un’edizione critica[15]. La più famosa è quella del Berliner.
Il commento di Rashì alla Torah venne commentato a sua volta; possiamo contare almeno duecento super-commentari, e in generale è difficile stabilire un numero preciso di super-commentari, visto che si continua a pubblicarne[16].
Fa impressione pensare al fatto che circa i tre quarti del commento di Rashì alla Torah provengano da fonti rabbiniche[17]. Questa dipendenza dai testi tradizionali ha portato il commento a essere considerato il corrispettivo ebraico dei commentari, compilati per lo più dai Padri della chiesa, conosciuti come Glossa ordinaria. Per questo il commento di Rashì viene chiamato in ambito cristiano glossa hebraica o glossa Salomonis[18].
La sua autorità è tale che vari studiosi hanno dedicato delle ricerche specifiche alle confusioni circa l’attribuzione, citando a memoria, di certe espressioni al testo biblico o al commento di Rashì, tale era la sua fama[19].
Il commento di Rashì si distingue nettamente dagli altri quando assume una valenza halakhica, nel momento in cui si ammette che possa sostituire la lettura del Targum Onqelos per ottemperare all’obbligo di leggere settimanalmente due volte il testo biblico e una volta il Targum (Shenayim Miqrà we-echad Targum).
Qualcuno è arrivato persino a dire che il commento di Rashì sia divinamente ispirato.
In ogni caso, è possibile dire che Rashì sia stato la figura che maggiormente ha influenzato il popolo ebraico dal periodo biblico[20]. Non dobbiamo pertanto stupirci del fatto che il commento di Rashì sia stato fra i primi testi ebraici stampati (Riva di Trento, 1475).
I commenti di Rashì perseguono vari importanti scopi[21]: a) interpretare la Bibbia e il Talmud, per promuovere lo studio della Torah, e consentirlo nell’Europa, lontana dalle accademie babilonesi, che sono il baricentro degli studi ebraici in quell’epoca; b) appianare le dispute interne alle comunità ebraiche, turbate da una crescente immigrazione, nell’area franco-tedesca; c) difendere l’ebraismo dall’indottrinamento cristiano, che influenzava negativamente la popolazione ebraica.
Per rendersi conto dell’effettiva portata di tale intento è necessario tenere in considerazione le censure che i testi a stampa hanno subito, in modo particolare nel XVI secolo[22]. Ai tempi di Rashì le dispute teologiche erano frequenti, e gli ebrei vi prendevano parte, perché obbligati o per difendere la popolazione ebraica, principalmente i più giovani, dall’apostasia. Quest’ultima potrebbe essere anche la ragione per cui Rashì orienta il suo commento verso la ricerca del senso letterale del testo. Nel mondo cristiano infatti in quel periodo si andava compiendo la medesima operazione. Gli studiosi discutono su chi abbia influenzato chi in questa svolta metodologica[23].
Rashì, contrariamente a numerosi altri commentatori medievali del testo biblico, non premette introduzioni metodologiche ai suoi scritti. L’unica eccezione significativa è costituita dal commento al Cantico dei Cantici, che è preceduto da una breve introduzione, nella quale, nella prima parte, Rashì illustra brevemente il suo metodo:
«Una parola ha detto D., due ne ho udite» (Sal. 62,12). Un versetto può essere spiegato in diversi modi, ma in fin dei conti non sfugge al suo senso ovvio. I Profeti hanno utilizzato indubbiamente delle immagini, ma bisogna spiegarle secondo tutti i loro sensi e nel loro ordine, così come i versetti si susseguono nell’ordine. Ho esaminato i merosi midrashim relativi a questo libro. Ve ne sono alcuni che spiegano questo libro in un solo midrash. Ve ne sono altri disseminati in parecchi libri di aggadah a proposito di versetti sparsi. Non si armonizzano con il testo e con l’ordine dei versetti. Ho deciso dunque di comprendere il senso dei versetti e di stabilirne il commento secondo il loro ordine e i midrashim ai quali i nostri maestri hanno fissato, Midrash per Midrash, il loro vero posto[24].
Il testo nel quale Rashì spiega sinteticamente il proprio metodo, a ragione riportato da moltissimi studiosi, è il commento di Rashì a Gen. 3,8:
Vi sono, a questo proposito, molti midrashim aggadici, che i nostri rabbini hanno già raccolto al loro posto nel Genesi rabbah e in altre raccolte midrashiche. Io tuttavia mi occupo solo del senso letterale della Scrittura e di quella aggadah che definisce il senso delle parole della scrittura così che ogni parola è spiegata nel suo modo corretto[25].
L’operazione che Rashì compie è rivoluzionaria per il mondo ashkenazita, che adottava altri metodi di studio. Nelle comunità sefardite lo studio del Tanakh seguendo il peshat era già ampiamente accettato, sulle orme di Shemuel Ben Chofnì, Sa’adiah Gaon e Ibn Janach[26].
Nel proprio commento Rashì mostra una certa avversione nei confronti della filosofia. Bisogna considerare che la filosofia nell’Europa cristiana rivestiva un ruolo molto meno centrale rispetto a quello che aveva nel mondo islamico. Non si deve invece pensare che Rashì fosse completamente digiuno di queste tematiche; aveva delle nozioni generali che lo avevano portato ad avere in antipatia gli studi filosofici[27]. Rashì «non è né filosofo, né mistico»[28]. Non proviene dalla Spagna musulmana, dove si svilupperà il pensiero ebraico medievale, né dal sud della Francia, da dove verrà trapiantata, in Castiglia e Aragona, la Kabalah. Qualcuno ha considerato Rashì un conservatore, molto differente da Rambam, esponente di una scuola razionalista e portatore di elementi fortemente innovativi[29]. Questa scarsa considerazione con ogni probabilità discende dall’estrema modestia che emerge dagli scritti di Rashì, sia per quanto concerne la considerazione di sé, sia rispetto al rapporto con i propri predecessori[30].
Avraham Grossman ritiene, adducendo numerose prove[31], che Rashì sia stata invece una figura molto innovativa. Ne riportiamo solo alcune: a) l’incoraggiamento degli studenti alla produzione letteraria, pressoché in ogni campo dello scibile ebraico;
b) la scuola di Rashì era aperta a tutte le tradizioni e i patrimoni esegetici;
c) i suoi allievi venivano incitati ad assumere un atteggiamento critico, anche in opposizione al maestro, nella ricerca della verità. Il commento di Rashì alla Torah ha avuto, e ha tuttora, una popola rità, probabilmente già quando Rashì era in vita, incredibilmente superiore a quella di qualsiasi altro commento alla Torah. Sono state addotte dagli studiosi varie spiegazioni, spesso concomitanti[32], di questo fenomeno:
a) Molti hanno attribuito il successo di Rashì alla sua personalità e al suo carattere, alle sue qualità e alla sua attività pubblica.
b) Secondo alcuni il commento di Rashì alla Torah venne accettato in tutti gli ambienti per via del suo commento al Talmud, che è l’opera maggiormente influente in assoluto per lo studio del Talmud. Questa sa rebbe anche la ragione della maggiore diffusione del Talmud Bavlì rispetto al Talmud Yerushalmì, che non ha un corrispettivo del commento di Rashì. Il commento al Talmud, non essendo accessibile alle masse, ebbe una diffusione tutto sommato limitata, testimoniata indirettamente dall’esiguo numero di manoscritti dei commenti ai vari trattati, e dal fatto che i commenti ad alcuni trattati siano andati perduti, portando all’attribuzione a Rashì nelle edizioni a stampa, di commenti non suoi[33].
c) Altri attribuiscono il successo del commento al commento stesso, per via della sua semplicità, comprensibilità e completezza, tale da eliminare qualsiasi dubbio nel lettore.
d) Il commento risulta fruibile anche per coloro che non hanno conoscenze specifiche in ambito scientifico, filosofico, o esoterico. Ciò nonostante, vari Chakhamim (ad esempio il Shelah) hanno trovato nel commento di Rashì, a dispetto della sua apparente semplicità, elementi esoterici. Di certo il commento è scritto con una sapienza, rara fra i commentatori, tale da essere fruibile al contempo dagli studiosi e dalle persone semplici. Alcuni[34] tuttavia sono del parere che Rashì abbia scritto per l’intellighenzia della sua generazione, che conosceva bene la Torah.
e) Secondo alcuni il suo successo è attribuibile all’uso intensivo di materiale rabbinico. In modo particolare viene apprezzata la sapienza con cui peshat e derash vengono combinati.
f) Per altri l’uso di materiale aggadico incoraggiava gli ebrei europei a mantenere la propria moralità e affrontare dignitosamente i momenti difficili. Secondo Efraim Urbach Rashì nei suoi commenti mostra un potente sentimento d’amore per il popolo ebraico e la sua Torah.
g) Com’è noto, scrivendo il suo commento Rashì opera una raffinata selezione all’interno del vastissimo materiale aggadico a sua disposizione, facendo cadere la sua scelta prevalentemente su «aggadot meyashevot». Avvertendo delle difficoltà nel testo, Rashì seleziona del materiale agga dico che riempie i buchi avvertiti, preservando la continuità e il senso del testo. In questo modo il lettore ha la piacevole sensazione di seguire il filo narrativo, beneficiando di questa «Torah espansa»[35].
Come avveniva la scelta dei midrashim da inserire nel commento? Il materiale aggadico che Rashi seleziona riprende quei midrashim che aggiungono qualcosa al testo, senza contraddire il contesto, la sequenza dei versi e il peshat[36].
I commenti ai Neviim e ai Ketuvim, scritti successivamente, sono caratterizzati da una esegesi maggiormente contestuale, meno dipendente dal midrash. Questo dipende in parte dall’assenza di raccolte di midrashim su alcune parti del Tanakh, ma anche da convincimenti metodologici che Rashì ha maturato nel corso degli anni[37]. Rashbam nel suo commento alla Torah segnala come il nonno[38] avrebbe voluto mettere mano a certi suoi commenti in base alle nuove interpretazioni che aveva elaborato.
Vari altri commentatori, seppur con tratti simili a quelli di Rashì, non hanno avuto la stessa duratura fama; come il Rashbam scrive nell’introduzione al proprio commento: «a lui [a Rashì] spetta il diritto di primogenitura», con tutte le conseguenze del caso.
«La leggenda si è impossessata rapidamente di Rashi e l’ha trasformato in un personaggio quasi mitico che avrebbe permesso la sopravvivenza della Torah. Nel suo nome, Rashi, si è voluto scoprire le iniziali del suo autentico titolo: Raban shel Israel, “il maestro d’Israele”»[39].
ARIEL DI PORTO
[1]H. DE LUBAC, Esegesi medievale: i quattro sensi della scrittura, Edizioni Pa oline, Roma 1972, 2 voll., p. 1586.
[2]E.I.J. ROSENTHAL, Rashi and the English Bible, in: Studia Semitica I, pp. 56- 85.
[3]Riportato in S. SCHWARZFUCHS, Rashi. Il Maestro del Talmud, Jaca Book, Milano 2005, p. 97.
[4]B. BARRY LEVY, Rashi’s Commentary on the Torah: a Survey of Recent Publications, “Tradition” 23 (4), p. 107.
[5]Per una rassegna su tali lavori vedi B. BARRY LEVY, op. cit., pp. 102-116.
[6]A. GROSSMAN, S. JAPHET, «Prefazione», in: IDD. (a cura di), Rashi, The man and His Work, vol. 1: Rashi’s Biblical Commentaries, Shazar, Jerusalem 2009.
[7]A. GROSSMAN, The Commentary of Rashi on Isaiah and the Jewish-Christian Debate, in: D. ENGEL, L.H. SCHIFFMAN, E.R. WOLFSON (a cura di), Studies in Medieval Jewish Intellectual and Social History, Leiden-Boston 2012, p. 47, nota 1.
[8]La grande popolarità di Rashì porta anche a presentazioni deformanti del suo metodo, da parte di«amateur aficionados», come li definisce E. VIEZEL, The Secret of the Popularity of Rashi’s Commentary on the Torah, “The Review of Rabbinic Judaism” 17, p. 212, nota 23.
[9]Ivi, p. 217, nota 44.
[10]Sara Kamin ha pubblicato un ampliamento dell’abstract in inglese della sua tesi di dottorato: S. KAMIN, Rashi’s Exegetical Categorization with respect to the Disctintion between Peshat and Derash, Immanuel 11, pp. 16-32.
[11]J. HEINEMANN, Darkè ha-Aggadah, Gerusalemme 1970, pp. 96-136.
[12]Vedi C. BEDINI, A. BIGARELLI, Il viaggio di Giona, Targum, Midrash, commento di Rashì, Città Nuova, Roma 1999, pp. 39-40.
[13]Ibn ‘Ezra fa un gioco di parole sul nome (parshan-interprete; data-legge in aramaico) di uno dei figli di Haman in Est. 9,7. Per la bibliografia su questo epiteto, vedi J. KEARNEY, Rashi – Linguist Despite Himself, T&T Clark, New York London 2010, p. 4, nota 6.
[14]Presso la National Israel Library sono presenti almeno 200 esemplari manoscritti del commento di Rashì alla Torah; E. VIEZEL, op. cit. Gli esemplari dei manoscritti del commento alla Torah sono molto più numerosi di quelli di tutto il Tanakh (in un rapporto di 10:1, M.I. GRUBER, Rashi’s Commentary on Psalms, Brill, Leiden-Boston 2004, p. 52) Dalle ricerche del Sonne, svolte agli inizi degli anni Quaranta, emerge che esistono diverse versioni, ashkenazite e sefardite, del commento di Rashì alla Torah. La grossa mancanza del lavoro del Sonne, secondo Van der Heide, sta nell’aver preso in considerazione solo edizioni a stampa del commento, senza occuparsi dei manoscritti.
[15]A. ROCK, Rashi, etzion.org.il/en/lecture-4-rashi-part-i. All’interno del sito è presente un’ottima presentazione dei principali commentatori del testo biblico. Alla figura e al commento di Rashì sono dedicate quattro lezioni, raccolte in sei file.
[16]E. VIEZEL, op. cit. p. 208, nota 4.
[17]Ivi, p. 216.
[18]M.I. GRUBER, op. cit. p. 54.
[19]S.W. BARON, A social and Religious History of The Jews, vol. 6 (2a ed.), Columbia University Press, New York 1958, p. 278.
[20]A. GROSSMAN, Mahafkhanut ushlichut – qawwim lidmutò shel Rashi, in: ID., S. YAFET (a cura di), Rashì – Demutò witziratò, vol.1, Gerusalemme 2009, p. 11.
[21]Vedi A. GROSSMAN, Rashi’s Position on Prophecy among the Nations and the Jewish Christian Polemic, “New Perspectives on Jewish-Christian Relations” 33, p. 399.
[22]Sul tema vedi A. RAZ-KRAKOTZKIN, The Censor, the Editor, and the Text: The Catholic Church and the Shaping of the Jewish Canon in the Sixteenth Century, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2007.
[23]A. ROCK, art. cit.
[24]Traduzione tratta da S. SCHWARZFUCHS, op. cit., pp. 57-58.
[25]Traduzione tratta da C. BEDINI, A. BIGARELLI, op. cit., p. 38.
[26]A. ROCK, art. cit.
[27]Vedi A. GROSSMAN, Rashi’s Rejecton of Philosophy – Devine and Human Wis doms Juxtaposed, “Simon Dubnow Institute Yearbook” 8, p. 95.
[28]P. Alborghetti, introduzione a S. SWARZFUCHS, op. cit., p. 11.
[29]Y. ROSENTHAL, Rashì weha-Rambam beha’arakhat ha-dorot, in: Mechqarim umqorot 1, Gerusalemme 1967, p. 117.
[30]A. GROSSMAN, Mahafkhanut cit., p. 12.
[31]Ivi, pp. 11-31.
[32]Per un’approfondita rassegna delle posizioni degli studiosi su questo punto vedi E. VIEZEL, op. cit., pp. 209-211.
[33]Vedi ivi, p. 209, nota 11.
[34]E.M. LIFSCHITZ, Rashi, Gerusalemme 1966, p. 174.
[35]E. VIEZEL, op. cit., nella seconda parte dell’articolo.
[36]A. ROCK, art. cit.
[37]Vedi R.A. HARRIS, Medieval Jewish Exegesis, in: A.J. HAUSER, D.F. WATSON (a cura di), A History of Biblical Interpretation, vol. 2, Eerdmans, Grand Rapids (MI)-Cambridge (UK) 2009, pp. 141-183.
[38]Il padre del Rashbam, Rabbì Meir, aveva sposato Yocheved, la figlia di Rashì. Per una rassegna bibliografica sulla vita del Rashbam, vedi E. VIEZEL, «The Anxiety of Influence»: Rashbam’s Approach tu Rashi’s Commentary on the Torah, “ASJ Review” 40 (2), p. 279, nota 1. Varie volte Rashbam, riferendosi al nonno, utilizza un linguaggio caustico, fenomeno tutt’altro che infrequente fra i commentatori biblici.
[39]S. SCHWARTFUCHS, op. cit., p. 83.