Intervista al Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni
Giancarlo Giojelli
ROMA, lunedì, 17 gennaio 2011 (ZENIT.org).- In occasione della Giornata del dialogo ebraico-cristiano, ZENIT pubblica l’intervista concessa dal Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, al programma Cristianità, di Rai International.
Onora il padre e la madre: ma di chi siamo figli?
Di Segni: Secondo la nostra tradizione abbiamo due genitori biologici e la Tradizione ci dice che in realtà i compartecipi sono tre, c’è la parte divina e la parte biologica. Poi ci possono essere anche le parti educative che non sono riservate ai genitori. A volte anzi i genitori possono essere estranei o negativi in un processo educativo. Quindi la “paternità e maternità” è un concetto che si allarga.
Molti commentatori dicono che dal comandamento ‘onora il padre e la madre’ derivano tutti gli altri. Cosa vuol dire onorare il padre e la madre?
Di Segni: Secondo la tradizione c’è un rapporto di rispetto che si configura in formalità importanti, per cui si deve riconoscere al genitore un’ autorità da rispettare comunque in ogni cosa. E poi c’è anche un rapporto che può diventare rapporto di sostentamento, sostegno materiale e più ampio nel corso degli anni, quando i rapporti si invertono: da piccoli si è assolutamente dipendenti dai genitori e quando gli anni passano sono i genitori che in qualche modo dipendono dai figli. Ora in questo momento il rispetto per i genitori si trasforma in un impegno ancora più importante.
Nelle lingue semitiche la parola Misericordioso, che definisce l’Onnipotente, ha la stessa radice, rachem in ebraico, rahim in arabo, della parola utero, e indica l’atteggiamento della madre che accoglie il figlio nel grembo. Nella Bibbia Dio è paragonato ad una madre che non si dimentica dei suoi figli, e così lo aveva ricordato anche Giovanni Paolo I. Dunque la maternità definisce la misericordia divina?
Di Segni: Diciamo che in una rappresentazione schematica esiste- nell’ immagine che abbiamo del Divino- una parte di giustizia, di severità e una parte di amore. In questa opposizione, o forse sintesi, di aspetti differenti praticamente si potrebbe dire che la parte maschile rappresenta l’ amore. C’è anche questo sostegno linguistico che lo conferma. Ma è la stessa Bibbia che usa l’espressione che Dio ha misericordia di noi come il Padre “Rachem aw alwalim”, come il Padre ha misericordia dei figli. Quindi non ci sono esclusività nella Misericordia, come non ci sono esclusività nella Giustizia.
Allora cosa vuol dire essere fratelli? Cristiani ed Ebrei hanno un Padre e una Madre in comune?
Di Segni: L’intera umanità ha un padre e una madre in comune se ha un senso la storia della Bibbia che l’intera umanità deriva da Adamo e poi da Noè, tutti quanti ci dobbiamo riconoscere in un predecessore comune e quindi nessuno può dire- questo lo dicono i nostri testi- di essere superiore all’ altro perché abbiamo una comune origine. In questo senso tutta l’umanità è fratellanza. Esistono poi tre vari gruppi umani legami più stretti ed indubbiamente il legame che esiste tra ebrei e cristiani è un legame di particolare vicinanza che può essere rappresentato sotto l’immagine della fratellanza, con tutti gli alti e bassi che possono esistere nella fratellanza.
La parola dialogo può avere un significato forte e uno debole. Ci può essere una dialogo, diciamo, diplomatico, che non incide sulla vita e un dialogo che coinvolge e cambia la persona. Il rapporto tra uomo e Dio nella Bibbia è spesso Dialogo drammatico. Cosa è dunque il dialogo tra cristiani ed ebrei?
Di Segni: Direi che è una necessità alla quale non possiamo sfuggire, anche se come esperienza è una esperienza difficile perché deve superare tutta una serie di scogli posti dalla storia, dalla teologia e dalla quotidianità. Il fatto che sia difficile però non di deve esimere dall’ affrontarlo avendo anche un minimo di speranza e un minimo di serenità che qualche cosa di buono si possa tirare fuori.
Lei ha vissuto le visite di Giovanni Paolo II in Sinagoga e ha accolto lo scorso anno Benedetto XVI, cosa trattiene di quegli incontri?
Di Segni: Sono state visite differenti. Differenti per l’epoca e per la personalità. La prima è stata un evento epocale che ha segnato una svolta nella storia, simbolicamente. La seconda un evento di conferma di una linea. C’è in questi eventi… ma l’ultimo non è stato un evento in cui tutto è andato pacificamente, c’è stato tutto un contorno di polemiche e io ho insistito molto perché comunque si realizzasse perché credo che quello che lascia è la sensazione che al di là di ciò che ci divide esistono degli elementi comuni e degli obblighi comuni, soprattutto degli obblighi comuni, di camminare insieme ai quali non possiamo sfuggire.
Benedetto XVI arrivando in Sinagoga ha sostato davanti alla lapide che ricorda gli ebrei romani deportati. La giornata della memoria è solo un doveroso ricordo o un monito attuale?
Di Segni: Entrambe le cose necessariamente. La Giornata della memoria significa che bisogna fermarsi a riflettere, capire quello che è successo, ricordarselo e poi- come dovrebbero essere tutte le giornale della memoria- non rimanere nel passato ma proiettare le cose nel futuro e siccome questo è un problema che incide nella salute della società è assolutamente necessario fermarsi a riflettere.
Pensa che la libertà religiosa sia in pericolo, la vita dei credenti minacciata a causa della Fede?
Di Segni: Assolutamente sì.
Da dove viene il pericolo?
Di Segni: Viene da ogni forma possibile di intolleranza che può essere intolleranza politica, intolleranza di regimi dittatoriali o anche intolleranza religiosa.
La religione, a suo giudizio, è un motivo o un pretesto per la guerra e la violenza?
Di Segni: Ah! Può essere tutte e due. Qualche volta può essere una facile scusa ma qualche volta è proprio la struttura religiosa stessa che è intollerante. Perché parlare di religione come se fosse una cosa bella per definizione… la religione bisogna discuterla, soffrirla, vederla e anche in qualche modo migliorarla.
Come vivono il rapporto tra le grandi religioni monoteistiche gli italiani che si trovano a contatto con altre culture, che vivono in altre parti del mondo?
Di Segni: Andare in giro per il mondo è una grande lezione per capire le differenze. Oggi l’Italia si è sprovincializzata, il paesaggio umano che vediamo passeggiando per le strade di qualsiasi città italiana è molto cambiato rispetto a quello di venti anni fa. Conoscere le differenze è fondamentale per capire che l’umanità non si ferma a chi ha la faccia uguale alla mia ma che dobbiamo capire che ci sono queste differenze -soprattutto- e poi imparare a conviverci.
La diversità è un pericolo o una ricchezza?
Di Segni: La differenza deve essere una ricchezza.
Ci stanno vedendo anche in Israele. Ha un messaggio per gli ebrei italiani che hanno fatto Alià. Che sono tornati nella terra di Israele?
Di Segni: Sono fratelli vicini e ne condividiamo le speranze ed esperienze, ai quali ci rivolgiamo sempre con affetto.
Il profeta Zaccaria, ed anche Isaia, se non sbaglio, parlano di un giorno un cui Ebrei e gentili mangeranno insieme sotto la capanna, nella festa di Sukkot, che ricorda il pellegrinaggio nel deserto. Questa mensa comune è solo un utopia o una profezia che in qualche modo già opera nel presente?
Di Segni: L’ebraismo vive di utopia e quindi il fatto che sia un’ utopia non significa che non avrà luogo ma che invece dovrà avere luogo e nelle nostre preghiere ribadiamo il concetto che nessuna cosa che è stata detta per bocca dei profeti è venuta meno e quindi prima o poi dovrà realizzarsi. In qualche modo qualche cosina si realizza ma c’è ancora una bella distanza.
Il deserto è ancora lungo…
Di Segni: Si. Potrebbe essere però una situazione ideale quella del deserto.