Fra i giochi da tavola che prediligo vi è la dama cinese o “Reversi”. A differenza della dama classica e degli scacchi dove i due giocatori si confrontano con pedine diverse e ciascuno cerca di “eliminare” l’avversario, nel “Reversi” i due giocano con le stesse pedine. Queste hanno due colori differenti sulle due facciate. I contendenti giocano ciascuno con un colore e il gioco consiste nel far prevalere il proprio. Il tavolo da gioco è costituito da una sorta di scacchiera quadrata con tanti buchi per il posizionamento delle pedine.
La regola fondamentale è la seguente: chi riesce a occupare con il proprio colore gli estremi di una fila di buchi in orizzontale, verticale o diagonale, ha la facoltà di rivoltare le pedine con il colore avversario già poste nel mezzo e in tal modo guadagnare posizioni. Il trucco per acquisire il controllo completo della scacchiera è occuparne gli angoli.
Sotto il profilo halakhico Pessach comporta un paradosso: la stessa materia prima con cui si esegue la Mitzwah della Matzah è fonte di trasgressione gravissima qualora diventi Chametz. Visitando uno stabilimento alimentare per accertarne la kashrut le-Pessach la prima cosa che chiediamo al responsabile è che la produzione non venga a contatto con cereali: sarebbe davvero fonte di confusione e di imbarazzo, a questo punto, se spiegassimo al titolare della fabbrica che il precetto principale della ricorrenza consiste proprio nel consumare “quei” cereali! La ragione del paradosso sta a mio avviso nell’interpretazione che R. ‘Azaryah Picho (Binah le-‘Ittim, Venezia, sec. XVIII) dà di tutta la vicenda egiziana. All’inizio della Parashat Bo, allorché il Faraone riceve Moshe e Aharon prima della piaga delle cavallette, lancia loro un avvertimento strano, quasi incomprensibile: “considerate che il Male è davanti ai vostri volti” (Shemot 10,10). Spiega R. Picho che il Faraone era convinto che esistano due divinità separate, del Male e del Bene rispettivamente e che il D. degli Ebrei fosse un dio del Male. Il Faraone avrebbe motivato il suo rifiuto di lasciar andare i Figli d’Israel con un proposito di protezione nei nostri confronti. “Il vostro D. che oggi ce l’ha tanto con noi egiziani –avrebbe voluto dire a Moshe e Aharon- un domani potrebbe prendersela con voi e pertanto vi voglio difendere” (Derashah per il 7° g. di Pessach). L’errore del Faraone è non aver capito che c’è un unico D. che guida il mondo. Egli punisce i malvagi e ricompensa i giusti in funzione di un unico disegno provvidenziale in cui tutti trovano posto. Non esiste un principio del Male separato dal Bene, come non esiste un individuo che sia malvagio o giusto per sua costituzione. Ognuno è responsabile delle proprie scelte e sarà giudicato solo per questo.
La ragione per cui Pessach è tanto importante nella coscienza d’Israel è tutta qui. A Pessach si stabiliscono i fondamenti della nostra fede. La Matzah è chiamata dai cabalisti meykhla’ di-mhemnuta’, “pane della fede” in aramaico. La Matzah è il prodotto di un paradosso: viene ottenuta mediante lo stesso cereale dal quale scaturisce anche il Chametz. Nella Halakhah ci sono altri esempi di una simile alternanza. Benché la vedova non possa risposarsi con il fratello del marito defunto (Wayqrà 20,21) il divieto diviene addirittura un obbligo, il levirato, nel caso in cui non ci siano figli (Devarim 25,5 sgg.)! Ciò ci vuole insegnare a non cercare a tutti i costi una logica razionale nei comandamenti e nella guida del mondo. I Maestri dicono: ha-peh she-assàr, hu ha-peh she-hittìr, “la stessa Bocca che proibisce a certe condizioni, permette ad altre” (Ketubbot 16a). E il discrimine è solo ed esclusivamente nella Sua mente, alla quale dobbiamo fiduciosamente affidarci. Ma la Matzah di Pessach va oltre. Il divieto del Chametz simboleggia il Male, “il lievito che gonfia dentro l’impasto” (Berakhot 17a) dei nostri cuori e ci riempie di superbia, all’origine di tutti i cattivi comportamenti. La Matzah simboleggia invece il Chessed, il Bene. All’inizio del Seder essa viene divisa senza essere mangiata immediatamente perché, spiegano i nostri Maestri, la Matzah è chiamata nella Torah lechem ‘oni, “pane di povertà” (Devarim 16,3) e i poveri hanno a disposizione solo pani già divisi. E’ per spiegare tutto ciò che iniziamo il Seder giustificando la rottura della Matzah con le parole ha lachmà ‘anyà, traduzione aramaica (targum) di “pane di povertà”. E il brano fu scritto in aramaico, la lingua del tempo e del luogo, per essere certi che fosse recepito dal più ampio numero di persone possibile.
Il pane diviso, infatti, è soprattutto un pane condiviso. Mentre mangio la mia mezza Matzah sono consapevole che nello stesso momento un altro individuo ne sta mangiando l’altra metà. Pessach giunge al termine di un lungo periodo iniziato con i quattro sabati segnalati. Il primo di questi Shabbatot, che ha aperto il ciclo, si chiamava Shabbat Sheqalim. In esso abbiamo ricordato la Mitzwah del Machatzit ha-Sheqel, il “mezzo siclo” (Shemot 30, 11 sgg.), la moneta versata egualmente da ciascun membro del popolo ebraico che ne permetteva il censimento. Ma perché ognuno doveva versare solo mezzo siclo a testa anziché un siclo intero? Per ricordarci che nessun individuo è mai un intero. Non viviamo isolati. Oggi la Matzah spezzata approfondisce lo stesso messaggio: non solo dobbiamo cercare l’altra nostra metà, essere consapevoli della sua esistenza, ma dobbiamo esser pronti ad aiutarla e sostenerla. Viviamo di condivisione e solidarietà.
Ebbene, Male e Bene sono originati dallo stesso materiale. Ciò che li distingue non è una diversa natura, ma una diversa lavorazione. A certe condizioni si genera un prodotto buono e commendevole, ma ad altre condizioni la stessa materia dà origine a mostri. Male e Bene non sono due pedine separate e contrapposte. Sono piuttosto due facciate della stessa pedina. Sarebbe fin troppo comodo poter demonizzare il Male in quanto assolutamente Male e decretare l’apoteosi del Bene in quanto assolutamente Bene. Ma non è così. La vita morale e religiosa è una nostra scelta. La nostra battaglia quotidiana non consiste nell’eliminare l’avversario ma nel rivoltarlo: proprio come nel “Reversi”. L’ultimo brano del Seder è la filastrocca Chad Gadyà. In essa raccontiamo come nel mondo ogni singola creatura si presti a essere rovesciata da una pedina più forte in un crescendo senza sosta. Ma quando tutto sembra perduto, persino quella che riteniamo essere la più forte e ineluttabile di tutte, l’Angelo della Morte che ogni cosa abbatte, è rovesciata da Una che è più forte ancora: il Santo Benedetto. L’ultima parola nel Seder è la Sua. E’ Lui che impegna gli angoli della scacchiera. E’ la Sua Provvidenza ad avere il controllo assoluto della Vita di noi tutti: dell’individuo come della collettività.