Un aspetto interessante di Torat Chayim è quello di ospitare i resoconti di incontri aperti su temi specifici che l’associazione organizzava periodicamente. I resoconti evidentemente, per la loro natura, non hanno l’organicità degli articoli scritti da singoli autori, ma hanno il pregio di fornire differenti punti di vista sulle singole questioni e dare spunti per ulteriori riflessioni su temi ancora attuali. Nel numero 40, pubblicato nel 1967, David Cassuto affronta un tema forse macabro, ma dai risvolti molto importanti, quello delle necrotomie. Il tema in Israele in quegli anni era al centro del dibattito politico e religioso, e aveva assunto proporzioni esorbitanti, se confrontato ad altre questioni più gravi, che non venivano affrontate.
Durante la riunione emerse una certa vicinanza di vedute fra coloro che erano intervenuti, e questo lasciava ben sperare per la ricerca di una soluzione. La riunione fu coordinata da Rav Artom, e gli interventi principali furono affidati ad un medico e a un rabbino, rispettivamente Yehudah Pardo e Chanokh Bergmann. In ambito medico il riscontro autoptico è un ausilio di fondamentale importanza, che acquisì un ruolo centrale nel corso del sec. XIX. L’idea che il cadavere dovesse mantenere la propria integrità è molto antica.
In ambito medico la necrotomia trova applicazione in sei gruppi di casi: a) per risolvere casi di diritto penale, se per esempio una persona morta durante un alterco è deceduta per le percosse o perché colta da un attacco di cuore; b) per stabilire la causa di morte quando questa non è chiara, per evitare l’insorgere di casi analoghi; c) per motivi di studio, in modo particolare per istruire gli studenti nell’anatomia patologica: gli studenti si allenano su cadaveri per poter operare con maggiore sicurezza sui vivi quando sarà necessario. Questo è il punto più controverso nella discussione; d) la ricerca: in questo ambito il numero di studi basati sulle necrotomie è in nettissimo calo, preferendo condurre le ricerche sui vivi; e) per il trapianto di organi, per salvare o prolungare la vita di un’altra persona, anche se spesso il trapianto verrà effettuato successivamente; f) per valutare l’effetto di farmaci, la cui influenza non è ancora del tutto nota ai medici, assunti prima della morte. Queste necrotomie si rivelano molto necessarie perché servono ad eliminare la possibilità di somministrare farmaci dannosi. Il dottor Pardo mette tuttavia in guardia dall’utilizzare espressioni come villipendio di cadavere quando si parla di una necrotomia: la pratica in linea di massima va considerata una ultima forma di aiuto che i morti danno ai vivi. Il poco riguardo che gli studenti possono mostrare nei confronti di un cadavere, dovuto principalmente ad una reazione istintiva, può essere accresciuto fornendo un insegnamento basilare sull’atteggiamento della halakhah nei confronti del malato e del defunto. In Israele vi è poi un rischio, di creare una situazione di due pesi e due misure, in cui i cadaveri dei non religiosi forniscono materiale sufficiente anche per i religiosi. Altro aspetto importante è che la decisione deve essere affidata solo al medico e non alle famiglie. Il medico infatti è consapevole del fatto che la necrotomia potrà salvare direttamente o indirettamente un’altra vita in futuro.
Il Rabbino Bergmann notò che la posizione della halakhah non era molto distante da quella del dottore. Non è possibile immaginare una medicina moderna senza la pratica dell’autopsia, ma bisogna fissarne le proporzioni e le condizioni. E’ necessaria moderazione, rispetto per il defunto e per la volontà della famiglia. Circa la necrotomia a scopo di studio, il Rabbinato in quegli anni aveva concluso un accordo, in base al quale si potevano accettare i cadaveri di coloro che avevano deciso in vita di destinare il proprio corpo a questo scopo, a patto che venissero poi riconsegnati tutti gli organi per la sepoltura. Anche la pratica dell’autopsia per questioni penali è fuor di dubbio, ma non se necessaria per questioni pecuniarie o assicurative. E’ permesso praticarla anche in caso di malattie ereditarie, se può permettere di salvare familiari o altri malati. La domanda principale è tuttavia quella relativa al dubbio di salvataggio di una vita. In un caso simile, anche se le condizioni da allora sono mutate considerevolmente, il Nodà BiYiehudah vietò di praticarla. Parlando della situazione di allora il rabbino constatava che vi fossero vari problemi, che si sezionassero quasi tutti i cadaveri, non seppellendo alcuni organi, e non informando le famiglie dell’intervento.
Il Rabbino Grossmann ritiene che per dei casi del genere l’ultima parola spetti in ogni caso al medico, che ha la facoltà di permettere a un malato di mangiare di Kippur, e tanto più ne avrà questa volta, trattandosi di un caso molto meno grave.
Rav Artom fra le altre cose nota che il caso riportato dal Nodà Biyehudah riguardava la diaspora, dove gli ebrei costituivano una minoranza e non avevano la responsabilità della sanità pubblica, affidata alla maggioranza; in Israele la situazione è completamente diversa.
Nella discussione un punto controverso riguardava l’opportunità di interpellare i familiari del defunto. Secondo alcuni, come l’avvocato Ben Zimrà, non è necessario, perché i cadaveri appartengono allo Stato e questo ne dispone come meglio crede. Il dottor Pardo è d’accordo, perché sarebbe come chiedere a un cittadino se ha interesse a pagare le tasse. Inoltre i familiari del defunto, che hanno appena perso un proprio caro, non hanno la lucidità necessario per prendere una decisione del genere.
Il punto su cui tutti concordano è che sia necessario è formare dei medici ebrei che abbiano coscienza del problema. Questo sicuramente diminuirebbe sensibilmente il numero delle necrotomie effettuate.
Nel numero 42 della rivista viene riportata la notizia che Rav Artom ha successivamente presentato ai ministri un memoriale sulle autopsie. Basandosi su considerazioni di carattere halakhico Rav Artom ha proposto che si riconoscesse l’autopsia approvata da uno o due medici come atto volto a salvare vite umane, comprendendo le autopsie a scopo di studio, ed escludendo quelle che non perseguano l’obiettivo di salvare vite umane. Il defunto stesso e i familiari non avrebbero possibilità di intervenire di fronte alla richiesta del medico. Il memoriale fu accolto con favore da vari organi di stampa.