Pésach
“Il primo mese, il 14° giorno del mese sarà la Pasqua in onore dell’Eterno. E il 15° giorno di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane senza lievito” (Bemidbàr XX, 8). Pésach inizia il 15 di Nissan e dura, in golà, otto giorni, i primi due e gli ultimi due sono moèd e quelli di mezzo, chol hamoèd. È la grande festa della libertà; commemora infatti l’emancipazione dalla lunga schiavitù in Egitto e l’esodo da questa terra, dopo 400 anni, dove, come si legge nella Torà, gli ebrei si erano stabiliti, chiamati da Giuseppe.
Più tardi, divenuti forti e numerosi, furono resi schiavi dal Faraone, obbligati a durissimi lavori e ad una vita piena di sofferenze e di stenti. Ma sorse una guida, Mosé, che, per ordine del Signore, condusse fuori dalla terra d’Egitto gli ebrei che da questo momento, diventarono un vero popolo libero. Ecco perché la festa di Pésach è così importante e lo stesso mese di Nissàn, in cui cade, settimo mese del calendario, viene invece considerato come primo, nella Torà. La parola Pésach deriva dal verbo pasàch (passò oltre) e ricorda quando l’angelo del Signore, mandato a colpire i primogeniti degli egiziani, “passò oltre” le case degli ebrei, le cui porte erano state segnate col sangue di un agnello. Infatti, per ordine del Signore (libro di Shemòth), gli ebrei avevano dovuto sacrificare un agnello ( korbàn Pésach) che poi avrebbero mangiato prima della partenza, con matzà ed erbe amare (le tre parole che dobbiamo pronunciare durante il Séder:
Pésach, matzà, maròr
Pésach è, con Shavu’òth e Sukkòth, una (la prima) delle feste dette shalosh regalìm cioè dei “tre pellegrinaggi”, perché anticamente, gli ebrei si recavano in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme, portando i prodotti dei loro campi.
Di yom tòv sono proibiti i lavori come di Shabbàth, ma si può accendere il fuoco, purché da un fuoco già esistente. Il 14 di Nissan, vigilia di Pésach, si fa il digiuno dei primogeniti, in ricordo della morte dei primogeniti egiziani.
Durante Pésach la Torà prescrive l’astensione da ogni cibo lievitato e composto di frumento, orzo avena, spelta, vecce. Non possiamo neppure tenere in casa tali cibi, per cui, prima della sera del 14 Nissàn, devono essere state fatte le pulizie in tutte le nostre case, quindi si fa la ricerca del chamètz, che si chiama appunto bedikàth chamètz. È bello vedere i bimbi che seguono il loro papà, per controllare, al lume di candela, che non vi sia chamètz in qualche angolo! La mattina seguente si bruceranno gli ultimi residui. È obbligatorio mangiare le matzòth nelle prime due sere e facoltativo nel resto della ricorrenza.
Le prime due cene sono precedute dal kiddùsh e la I sera si recita …shehecheiànu. All’uscita dei giorni di festa solenne, si recita l’havdalà. Le prime due sere si fa il Sèder (ordine) durante il quale si legge l’Haggadà in cui è raccontata la liberazione dei nostri padri dalla schiavitù d’Egitto.
Tefillà e Torà
L’Amidà è composta di sette berakhòt; nel Musàf del I giorno si celebra il Signore che fa scendere la rugiada. Si legge l’Hallèl completo solo nei primi due giorni, negli altri soltanto in parte. Nella parashà del VII giorno si legge da Shemòth del viaggio di Israele fino al Mar Rosso e il passaggio delle acque. Si legge anche lo Shir Hashirìm, “Cantico dei Cantici”, poema che inneggia alla “primavera” del popolo ebraico, cioè a Pésach, perché segna il momento della sua liberazione.
Dalla II sera di Pésach si conta l’ ’òmer, cioè l’offerta di una “misura” di orzo, che si portava al Tempio. Dal 16 Nissàn al 5 Sivàn, si fa perciò la sefiràth ha’òmer (conta dell’ ’òmer) e si giunge così dopo 49 sere, a Shavu’òth. In questo periodo si leggono i Pirkè Avòth (Sentenze dei Padri).
Il 14 di Iyàr è Pésach Shenì, che è stato istituito per coloro che non avevano avuto la possibilità di festeggiare Pésach, al tempo del Bèth Hamikdàsh, e potevano quindi farlo in questa data.
Pirkè Avòth
I Pirkè Avòth formano il più conosciuto dei 63 trattati della Mishnà, codice di leggi ebraiche. Questo trattato riguarda quasi interamente la condotta morale e comprende le massime di saggezza di circa 60 rabbini vissuti in un periodo di 500 anni.
Essi hanno detto:
“Vi sono tre corone: la corona della sapienza, la corona del sacerdozio, la corona del regno; ma la corona di un buon nome eccelle su di tutte”.
“Su tre cose si basa il mondo: sulla Torà, sulla preghiera, sulla giustizia”.
“Stabilisci un tempo fisso per lo studio della Torà; parla poco e fai molto; ricevi tutti in modo amichevole”.
“Rifletti su tre cose e non cadrai nel peccato: ricorda che cosa c’è sopra di te: un Occhio che vede, un Orecchio che ascolta, e tutte le tue azioni sono scritte in un Libro”.
“Non giudicare il tuo prossimo prima di metterti al suo posto; non dire mai ‘Quando avrò tempo studierò’; forse potresti non avere più tempo”.
Il Séder (ordine)
In nessun periodo dell’anno la nostra casa è tanto gioiosa come nella sera del Séder e ognuno di noi ricorda, con nostalgia, anche i Sedarìm a cui ha partecipato quando era piccolo, circondato dai familiari. Il Séder contiene tutto: cerimonia, canzoni, storia, momenti seri e momenti di gioia, di lode al Signore. Ognuno di noi, nel prendere parte al Séder, rivive di persona l’antica storia della liberazione degli ebrei, dalla schiavitù d’Egitto. Questa cerimonia unisce famiglie ed amici ed in essa, anche durante le persecuzioni, ogni ebreo si sentì libero.
Prima della cerimonia si prepara il piatto del Séder. In esso si pongono:
1. Tre matzòth sovrapposte
2. Una zampa d’agnello arrostita (secondo il rito italiano).
3. Un uovo sodo.
4. Erbe amare.
5. Lattuga.
6. Charòseth.
1. Le matzòth sono tre, e per tre ragioni. Esse rappresentano infatti l’unità del popolo di Israele: Kohèn, Levì, Israèl. Inoltre quella di mezzo viene divisa in due parti, (una delle quali rappresenta l’ Afikòmen, simbolo del sacrificio Pasquale) per cui si recita l’hammotzì sulle due matzòth intere (come due sono le chalòth del sabato, in ricordo della duplice razione di manna raccolta nel deserto). Ricordano anche le tre misure (seìm) di farina che Abramo ha consigliato a Sara per preparare le matzòth.
2. La zampa: ricorda il sacrificio pasquale.
3. L’uovo sodo: è il simbolo dell’eternità della vita, per la sua forma, e di lutto, per la distruzione del Tempio. (Nota: Il giorno di Tish’à Beàv e il I giorno di Pésach cadono sempre nello stesso giorno della settimana. Si dice: “Come l’uovo, nel cuocere, diventa sempre più duro, così Israele diventa più saldo nella sua lealtà verso il Signore, dopo ogni persecuzione”).
4. e 5. Erbe amare e lattuga: ci ricordano l’amarezza della schiavitù in Egitto.
6. Charòseth: ci ricorda la malta con cui i nostri padri preparavano i mattoni per le costruzioni del faraone. Si mangia insieme all’erba amara per addolcirla un po’ e per ricordarci che, dopo tante sofferenze, viene la gioia.
La cerimonia inizia col kiddùsh che esprime al Signore il ringraziamento per averci eletto fra i popoli e per le festività e la gioia che ci procurano. Ognuno ha il suo bicchiere e se ne riempie anche uno “per il profeta Elia” legato alla redenzione del popolo ebraico. Si passa a lavarsi le mani ( urchàtz) e quindi alla cerimonia del karpàs (sedano) intinto nell’aceto, amaro come le lacrime versate durante la schiavitù. Il Midràsh dice che la parola karpàs, letta al contrario, (= 60 duro lavoro) simboleggia i 600 mila adulti, usciti dall’Egitto. Il sedano, così umile, nato dalla terra, diventa un elemento importante, al Séder. Questo è una lezione per ognuno di noi: il Signore, con la Sua misericordia, può innalzare chiunque, dalla profondità alla redenzione. Con yachàtz, il papà spezza la matzà di mezzo e ne nasconde una parte (l’Afikòmen), che sarà ricercata alla fine del pasto. “Ognuno deve sentirsi come se lui stesso fosse uscito dall’Egitto”. Con magghìd, si riempie il II° bicchiere di vino e si inizia la narrazione. “Questo è il pane dell’afflizione…chi ha fame entri e mangi”: la nostra casa è aperta a tutti, miseri pellegrini e forestieri e a chi non ha potuto procurarsi il necessario per il Séder. Si chiude con l’augurio “L’anno venturo in Israele, liberi”.
Ma nishtanà: il figlio chiede e il padre gli insegna:
Perché intingiamo la verdura due volte? Una in ricordo della tonaca di Giuseppe intinta nel sangue prima di essere portata a Giacobbe, la seconda in ricordo di avere intinto nel sangue per segnare le porte delle case ebraiche.
Perché questa sera si mangia solo matzà? Perché così è prescritto dalla Torà, che prescrive pure di mangiare l’agnello. Sono infatti queste le tre parole: Pésach, matzà, maròr, che dobbiamo tutti pronunciare durante il Séder.
Perché mangiamo solo erba amara? In ricordo delle sofferenze passate in schiavitù.
Perché mangiamo appoggiati al gomito? In segno della riacquistata libertà, dopo tanti anni di schiavitù. E questo è rivolto soprattutto ai miseri che, dopo tante sofferenze, devono stare appoggiati con serenità e sicurezza, perché Dio veglia su di loro e la loro situazione potrà presto cambiare, come è cambiata quella dei nostri padri.
“Schiavi noi fummo” il padre racconta ai figli la storia del popolo di Israele. “Se il Signore non ci avesse fatto uscire dall’Egitto, noi non saremmo qui, oggi”. Quattro sono i tipi dei figli: in realtà essi rappresentano la diversità di tipi, di tutti noi.
“Benedetto colui che mantenne la promessa ad Israele” I 4 bicchieri che si bevono durante il Séder, dice il Talmùd, sono il simbolo delle 4 promesse di riscatto date dal Signore a Mosè: vehotzetì, vi sottrarrò dalle tribolazioni dell’Egitto; vehitzaltì, vi salverò dal loro servaggio; vegaaltì, vi libererò con braccio disteso; velakachtì, vi prenderò quale popolo, a Me. Una quinta promessa è aggiunta: vehevetì, vi condurrò alla terra che ho promesso ad Abramo, Isacco, Giacobbe. Il patto fatto da Dio coi nostri Patriarchi, è eterno quindi diciamo vehì sheamdà: “È questo il patto che è stato segnato per i nostri padri e per noi; molti si sono levati in tutti i secoli per distruggerci, ma il Santo Benedetto egli sia ci libera dalla loro mano”. Il Midràsh dice: “Israele è come l’erba del campo. Come l’erba più è tagliata, più cresce, così Israele più è oppresso più si moltiplica”. “La causa dell’esilio in Egitto dipese anche dall’inganno di Labano verso Giacobbe. Se questi avesse sposato per prima Rachele, Giuseppe, come primogenito, non sarebbe stato tanto odiato dai fratelli”.
Il Signore ci fece uscire, Lui stesso, non per mezzo di angeli, con segni, (nella verga di Mosé erano impresse le iniziali delle 10 piaghe, dice il Midràsh), con prodigi (piaghe), con mano forte e braccio disteso. Nel leggere le piaghe si suole intingere il dito nel vino. Le iniziali delle 10 piaghe formano queste tre parole: dézakh – ‘adàsh – beahàv, che ci aiutano a ricordarne l’ordine.
Si canta ora il famoso Dayènu che è formato da 15 strofe, come 15 erano i gradini del Santuario di Gerusalemme. Qui termina il racconto del padre ai figli.
Si dicono ora le tre parole importanti del Séder: Pésach, Matzà, Maròr, ricordandone gli importanti significati
Lefikàkh : è l’introduzione all’Hallèl (lode, formato dai Salmi)
Si beve il II bicchiere di vino
Rochzà: ci si lavano le mani.
Mozì matzà: si dice la berakhà sulla I e sulla II matzà.
Maròr: si mangia l’erba amara.
Korèkh: si mangia matzà e charòseth.
Shulkhàn ‘orèkh, si cena.
Tzafùn: si mangia l’Afikòmen.
Barèkh: Si recita la Birkhàth Hamazòn e si beve il III bicchiere.
Hallèl Nirtzà: Si riempie il IV bicchiere di vino. Si apre la porta per invitare il profeta Elia ad entrare (durante i pogroms in Russia si apriva anche per vedere bene quello che succedeva fuori di casa). L’Hallèl hagadòl comprende il Salmo 136 che è formato da 26 versi che ricordano le 26 generazioni passate, prima di ricevere la Torà. Nirtzà: si recitano inni di lode a Dio, si beve il IV bicchiere.
Il canto Chàd Gadià è interpretato così: il capretto è Israele, acquistato da Dio (il padre) con due Zuzìm (le due Tavole della Legge):
L’Assiria (il gatto) conquistò Israele, la Babilonia (il cane) vinse l’Assiria, la Persia (il bastone) abbattè la Babilonia, la Grecia (il fuoco) conquistò la Persia; Roma (l’acqua) conquistò la Grecia, l’Islam (il bue) abbatté l’Impero romano; le crociate (il macellaio) successero all’Islam; le nazioni europee (angelo delle morte) successero alle crociate, ma alla fine Iddio redimerà il Suo popolo punendo tutte le nazioni malvagie.
Khi lo naè, è un carme acrostico: a Dio spetta la sovranità. Acrostico è pure il carme Adìr Hù che è un elenco degli attributi del Signore.
Si dice che quando arrivarono al Mar Rosso, gli ebrei ebbero un attimo di sgomento e di esitazione ma un bimbo, della famiglia di Giuda, si lanciò per primo nel mare, che s’aprì. Per questo il Signore incoronò re d’Israele Davìd, della famiglia di Giuda.
Molto suggestivo è il “Cantico del Mare”, canto epico in onore al Signore, che ha salvato Israele. Narra un midràsh che il Mar Rosso sapeva che, quaranta anni più tardi, il Giordano avrebbe ritirato le sue acque per lasciare passare Giosuè che conduceva gli ebrei alla Terra Promessa. Allora il mare pensò: “Se il Giordano fermerà il suo corso per lasciare passare Giosuè, discepolo di Mosè, sicuramente io mi devo ritirare, per Mosè stesso!” Un altro midràsh narra che il mare si divise in dodici rami, perché ogni tribù avesse la sua via.
“Per tre ragioni gli ebrei meritarono di uscire dall’Egitto: non cambiarono i loro nomi ebraici, non cambiarono la loro lingua; vissero con moralità durante tutti gli anni della schiavitù, nonostante le sofferenze e la difficoltà della vita.”
“Se i nostri Padri non fossero usciti dall’Egitto, oggi noi non saremmo qui e non esisterebbe il popolo di Israele.”
Gli ebrei hanno attraversato il Mar Rosso il settimo giorno di Pésach.