Sukkòth
Sukkòth è la festa delle capanne (sukkà = capanna) e incomincia il 15 di Tishrì. “Il quindicesimo giorno del VII mese, quando raccoglierete i prodotti della terra, festeggerete la festa del Signore per sette giorni” (Levitico XXIII).
Dei sette giorni i primi due sono di festa solenne (mo’èd – in Èretz Israèl solo il I) e gli altri di mezza festa (chol-hamo’èd).
Sukkòth ci ricorda le capanne in cui abitarono i nostri padri, per quaranta anni, nel deserto, dopo essere usciti dall’Egitto. La capanna è il simbolo della precarietà della vita ma, soprattutto, della protezione del Signore sui figli di Israele. Infatti, pur così fragile e col suo tetto di fronde, attraverso le quali si vedono le stelle, ha sempre protetto gli ebrei da ogni pericolo. Sukkòth è la festa per eccellenza.
Tre volte troviamo scritto nella Torà “…e ti rallegrerai” “…e allora sarai lieto” “…e vi rallegrerete davanti al Signore”. È chiamata, per questo, anche zemàn simchaténu (festa della nostra gioia), perché è la festa della benedizione del lavoro, della fatica umana e della fede nel Signore. Si festeggia infatti con la gioia di chi è giunto felicemente alla fine della stagione agricola. Infatti, dopo un anno di lavoro e di lotta contro gli elementi della natura, il contadino ha ora i granai, i magazzini, le cantine pieni del suo raccolto. Conclusione, quindi: è felice.
Sukkòth si chiama infatti anche Chag Heasìf (festa del raccolto). Con Pésach e Shavu’òth, Sukkòth è una (l’ultima), delle feste chiamate Shalosh Regalìm (tre pellegrinaggi), perché anticamente si andava al Santuario di Gerusalemme.
La prescrizione più importante, in questa festa, è di “sedersi” nella sukkà almeno per i pasti, se non si può dormirci.
La Torà prescrive, per quesa festa, anche il lulàv. È un ramo di palma (lulàv) a cui sono legati due rami di salice (‘aravà) e tre di mirto (hadàs); a questi si aggiunge un cedro (etròg). La palma dà un frutto dolce, ma senza profumo; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo ma non sapore; il cedro ha sapore e profumo.
Le quattro specie di vegetali del lulàv simboleggiano: n Quattro tipi di persone che hanno o non, sapienza e bontà. Alcune sono sapienti e generose, altre sapienti ma non generose, altre generose ma non sapienti, altre ancora né sapienti né generose. Si dice anche che l’etròg simboleggia il cuore dell’uomo; il lulàv la colonna vertebrale, il mirto l’occhio; il salice la bocca. Si dice anche che le quattro specie ricordano quattro periodi storici: il lulàv, il periodo dei Re; il mirto, fragrante, l’era del Talmùd e della saggezza; il salice piangente rappresenta i secoli dell’esilio; l’etròg, saporito e profumato, simboleggia la speranza per il futuro. Comunque, come nel lulàv si riuniscono le quattro specie, così gli uomini devono essere tutti uniti fra loro, volersi bene ed aiutarsi reciprocamente.
Si recitano così due berakhòt: …leshèv basukkà (di stare nella capanna); …’al netilàt lulàv (di scuotere il lulav).
L’ultimo giorno di Sukkòth si chiama Hoshaanà Rabbà (grande invocazione di aiuto), che rappresenta la chiusura definitiva di tutto il periodo di pentimento, iniziato con Rosh Hashanà. Si usa fare sette giri intorno alla tevà e battere e sfogliare i rami di salice, per simboleggiare come il perdono, accordatoci dal Signore, annulli tutte le nostre colpe.
Si dice che Sukkòth sia l’unica festa piena di allegria, per ricchi e poveri, festa della fede e della fiducia in Dio.
Infatti a Pésach non si gioisce completamente pensando alla morte degli Egizi nel Mar Rosso; a Shavu’òth si ricorda la vituperevole costruzione del vitello d’oro.
Tefillà e Torà
Durante la tefillà, escluso il sabato, si prende il lulàv e si recita l’hallèl e una parte della Torà. Si legge poi il libro Kohèleth (Ecclesiaste, che fa parte dei ketuvìm) che parla della vanità di tutte le cose e della precarietà della vita (la sukkà è il simbolo della precarietà).
La sera di Sukkòth si accendono le candele, si recita il kiddùsh e si canta il “benvenuto” ai sette ospiti della festa: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe Mosè, Aronne e David re. Si intinge una fetta di pane nel miele.
Sheminì Atzéreth e Simchàth Torà
Terminato Sukkòth arriva un altro giorno di festa solenne che fuori di Israele, sono due: Sheminì Atzéreth e Simchàth Torà. Si usa ancora andare nella sukkà senza, però, dire la berakhà …leshèv basukkà, ma recitando …shehecheiànu. Durante il Musàf si recita la preghiera per la pioggia.
A Simchàth Torà (gioia della Torà) si legge l’ultima parashà dell’anno (la 54», dal Deuteronomio, Devarìm) e la I parte di Bereshìth (Genesi), che sarà letta, al completo, il sabato seguente.
La persona che legge la fine della Torà si chiama chatàn Torà (sposo della Torà) e quella che legge il principio, chatàn Bereshìth (sposo del principio della Torà).
La lettura della Torà non può finire mai. Alla sera, i Rotoli della Torà sono portati in giro (hakafòt) per il Tempio, tra balli e canti. Uno dei canti descrive una scena nel Cielo, con gli Angeli, sorpresi di vedere un uomo fra loro: Mosè che riceveva la Torà.