Rosh Hashanà
È il Capodanno ebraico ed è con Yom Kippùr, la ricorrenza più solenne per il nostro popolo. È una ricorrenza alquanto diversa da tutte le altre perché ha un minore significato storico e nazionale e riguarda invece, in modo particolare, il singolo individuo. Ciascuno di noi infatti, in questo giorno, medita sulla proprie azioni e chiede a Dio perdono dei suoi peccati promettendo di diventare migliore.
Rosh Hashanà cade il I ed il II giorno di Tishrì, primo mese del calendario, anche se, nella Torà, è considerato il VII (Primo è infatti Nissàn perchè gli ebrei, in esso, ritrovarono finalmente la libertà e divennero un vero popolo, dopo la lunga schiavitù in Egitto.)
Per la tradizione ebraica il giorno di Rosh Hashanà prende altri tre nomi:
1) Yom Hadìn, giorno del Giudizio: in questo giorno, infatti, il Signore giudica le azioni di ciascuno di noi; per questo dobbiamo fare un esame del nostro operato e chiedere al Signore di perdonarci se non sempre abbiamo agito bene.
2) Yom Hazikkaròn, giorno del Ricordo: si commemora infatti la creazione del mondo e la sovranità del Signore su di esso; si ricorda anche la creazione di Adamo, la nascita di Abramo, Isacco, Giacobbe e Samuele. In questo giorno Giuseppe fu liberato dalla prigione, in Egitto.
3) Yom Teru’à, giorno del suono dello shofàr: in questa ricorrenza, infatti, si suona lo shofàr, simbolo dell’eterno richiamo all’uomo perché si rivolga al Signore; esso ci ricorda la Rivelazione della Legge a Mosé, sul Monte Sinai, e l’episodio dell’ ‘akedà (legatura) di Isacco, che ci dimostra la prontezza e la fede di Abramo nell’offrire a Dio perfino il suo diletto figlio – Ma, poiché non sono graditi al Signore i sacrifici umani, Egli mandò un ariete, dalle corna ricurve, che prese il posto del ragazzo.
Il suono dello shofàr (fatto come un corno di ariete) ha lo scopo di suscitare una rinascita spirituale in ciascuno di noi, e la selichà da parte del Signore. Così Maimonide commenta il suo suono: “Destatevi, o voi che dormite, e pensate a quello che avete fatto, ricordatevi del vostro Creatore e tornate a Lui in penitenza. Abbandonate le vie del male e tornate al Signore in modo che Egli possa avere pietà di voi”.
Usanze
All’uscita dal Tempio, ci scambiamo il fervido augurio di Leshanà tovà tikatèv (Possa tu essere iscritto per un anno buono). È abitudine recarsi sulle rive di un fiume o del mare o davanti ad un pozzo per recitare alcune preghiere ed un passo tolto dal Libro di Michà, che si rivolge al Signore dicendo: “E getterai i nostri peccati nella profondità del mare”. Da qui il nome di tashlìch (gettare) dato a questa cerimonia. Ognuno scuote i suoi vestiti quasi a disfarsi di ogni peccato e pronto a migliorare la propria condotta. Quando esisteva il Tempio di Gerusalemme i peccati venivano “gettati” su un caprone che veniva abbandonato nel deserto il giorno di Kippùr, come prescritto dalla Torà.
A casa, dopo aver recitato il Kiddùsh e l’hammotzì, prima di iniziare il pasto, si usa intingere nel miele una fetta di hallà o di mela e pregare il Signore di “rinnovar per noi un anno buono e dolce” (Yehì ratzòn… shetechaddèsh ‘alénu shanà tovà umtukà). Sulla tavola si pone anche la testa di un pesce e una melagrana con l’augurio che il popolo di Israele sia numeroso come i suoi semi.
Si usa anche piantare dei semini di grano che germoglieranno in questo periodo, in segno di prosperità.
Con Rosh Hashanà incomincia il periodo dei dieci giorni penitenziali, chiamati aséret yemè teshuvà (dieci giorni del pentimento), che si concludono con Kippùr. I giorni di Rosh Hashanà e Kippùr si chiamano Yamìm noraìm.
A questo periodo penitenziale, che inizia con Tishrì, ci si prepara già dal I giorno di Elùl (giorno in cui Mosè salì per la II volta a prendere le Tavole della Legge, scendendo poi il giorno di Kippùr) recitando le selichòt, preghiere di pentimento.
Tefillà e Torà
Due delle più belle preghiere che si recitano in questo giorno sono: “Avìnu Malkénu” e “Untané Tòkef”. Quest’ultima parla della grandezza del Signore e di quanto piccolo sia l’uomo. Il Signore è il pastore davanti al quale passa il grande gregge umano per essere giudicato, nei giorni di Rosh Hashanà e Kippùr. In questi giorni, infatti, sarà stabilito chi può vivere e chi deve morire, chi prospererà, chi cadrà in miseria, chi avrà pace e gioia, e chi avrà pene e sofferenze. Ma la Tefillà (preghiera), la Tzedakà (carità), la Teshuvà (vero pentimento), da parte di ciascuno di noi, potranno sviare i decreti avversi, perché il Signore è sempre pronto a perdonare le Sue creature.
L’amidà di questi giorni è composta di solo sette berakhòt e non si legge lo hallèl. Nella Tefillàt Musàf le berakhòt sono nove: le tre di mezzo contengono ciascuna una serie di versi biblici che trattano, nell’ordine, della regalità di Dio (malkhuiòt), della benevolenza con cui Egli si ricorda degli uomini, e in particolare dei figli di Israele (zikhronòt), e del suono dello shofàr (shofaròt).
Si legge un brano tolto dalla Torà (parashà) ed uno scelto dai Profeti, l’haftarà, in attinenza fra loro. Il primo giorno, la parashà è tolta dal capitolo XXI di Genesi; in essa leggiamo che il Signore si ricordò di Sara, moglie di Abramo, e la benedisse dandole il figlio promesso, Isacco. Nell’haftarà (Samuele I) ci viene narrato che il Signore ascoltò le preghiere di Anna ed ella generò Samuele. Secondo la tradizione, le preghiere di queste due donne furono esaudite proprio nel giorno di Rosh Hashanà.
La parashà del secondo giorno (Genesi 22) ci parla di Abramo che, toccato da Dio nel più caro e sublime dei suoi affetti, è pronto a sacrificarGli il proprio figlio Isacco.
L’haftarà scelta dal libro di Geremia, predice la liberazione degli ebrei dalle terre di schiavitù e il ritorno alla Terra Promessa.