Le tefillòth
Quante volte estasiati davanti all’infinito cielo stellato, a un mare in tempesta, a un meraviglioso ghiacciaio o a un qualsiasi altro spettacolo della natura, rivolgiamo il nostro pensiero a Dio creatore, per ringraziarLo di tutto ciò che ci ha dato! Quante volte ci rivolgiamo a Lui nella sofferenza, imploriamo perdono per i nostri peccati, Gli chiediamo aiuto nelle difficoltà, Lo preghiamo perché ci conservi in salute, ci guidi sulla retta via, tenendoci lontani dal male! Le tefillòth sono dunque le preghiere che noi innalziamo al Signore, siano esse di lode, di supplica o di ringraziamento. Appena svegli, infatti, recitiamo il modè anì lefanèkha, un ringraziamento al Signore per “averci ridato l’anima” e lo Shemà. Alla sera, andando a letto, l’ hashkivènu e ancora lo Shemà.
Ognuno di noi può pregare dove e quando vuole, ma i nostri maestri hanno stabilito che tre devono essere le tefillòth da recitarsi in una giornata: quella della sera, ‘Arvìth; del mattino, Shachrìth; del pomeriggio, Minchà. Queste tefillòth furono istituite da Abramo, Isacco, Giacobbe.
La tefillà formulata, che contiene preghiere, brani biblici, espressioni dei nostri sentimenti al Signore, ecc., assume forma pubblica col miniàn, cioè alla presenza di almeno dieci uomini. Questa tefillà, che si recita attraverso un formulario fisso, è molto più importante di quella spontanea e dobbiamo recitarla con grande concentrazione. La tefillà è stata introdotta da Ezrà dopo l’esilio babilonese (538 a.E.V.)
La parte essenziale della tefillà è lo Shemonè Esrè o ‘Amidà, istituita in ricordo dei sacrifici offerti al Beth Hamikdàsh di Gerusalemme. Questa si chiama ‘Amidà (da ‘omèd = stare in piedi), perché si recita appunto stando in piedi e rivolti verso Gerusalemme e, se a Gerusalemme, verso il Tempio; è composta da 18 (shemonè esrè) benedizioni. Dopo l’esilio babilonese, ne è stata aggiunta una diciannovesima (la 12»).
Le prime tre e le ultime tre berakhòth sono di lode al Signore; le altre di ringraziamento e richiesta. Di sabato e nelle feste, le 13 berakhòth centrali vengono sostituite da un’unica berakhà, celebrante il giorno festivo. L’‘Amidà inizia con queste parole: “O Signore, dischiudi le mie labbra, così la mia bocca canterà la Tua lode”. L’‘Amidà varia anche a seconda delle stagioni. Si ringrazia il Signore per la pioggia, in inverno e per la rugiada, in estate.
Tra la seconda e la terza berakhà si recita la Kedushà cioè la proclamazione della santità del Signore, e uniamo così le nostre lodi a quelle degli angeli che si dicono l’un l’altro: “Kadòsh, Kadòsh, Kadòsh Adon-i Zevaòth”.
‘Amidà
Ci protegga il Signore, protettore dei nostri padri
Il Signore dà la vita ed aiuta tutti
Il Signore è santo
Concede all’uomo intelligenza e conoscenza
Ci faccia ritornare all’osservanza della Sua Legge
Perdoni i nostri peccati
Ci aiuti
Ci guarisca da ogni infermità
Benedica e renda prospero il nostro lavoro
Annunci presto la nostra liberazione
Ristabilisca i Suoi giudici e regni su di noi
Tolga ai cattivi ogni speranza
Sia di aiuto ai giusti
Ritorni presto a Gerusalemme
Faccia giungere il Messia apportatore di salvezza
Ascolti la nostra voce ed accolga la nostra preghiera
Ristabilisca il culto nella Sua casa
Sia grazie a Lui per tutti i miracoli che opera per noi
Conceda al Suo popolo ora e sempre la Sua pace
Ad ‘Arvìth e Shachrìth si recita anche lo Shemà (ma non a Minchà) perché in esso è detto: “E parlerai (dei precetti) … coricandoti ed alzandoti (uvshokhbekhà uvkumékha)”. Lo Shemà è preceduto da due berakhòth e seguito da una, a Shachrìth e da due, ad ‘Arvìth.
Di Shabbàth e nelle feste, si legge la parashà, uno (o due) dei 54 brani in cui è stata divisa la Torà e, in attinenza con questa, l’haftarà, brano tolto dai Neviìm. Si legge anche il Musàf (aggiunta). A Kippùr si aggiunge una quinta tefillà la Ne’ilà (chiusura).
Di grande suggestione è la Birkhàth Cohanìm (benedizione sacerdotale) con cui il Cohèn benedice, nei giorni di festa, il popolo di Israele, secondo una formula prescritta nella stessa Torà (Numeri VI). È dolce e commovente vedere i nonni che si stringono ai figli e ai nipotini, sotto il tallèd, in un unico abbraccio ed un’unica preghiera!
Durante il corso della tefillà si recita il Kaddìsh. In questa preghiera, oltre ad attribuire grandezza e santità al Signore, viene espressa la fede nella Sua bontà e la speranza che faccia risorgere presto il Suo regno. Il Kaddìsh è ora recitato anche come preghiera per i defunti.
Lo Shemà
La più nota di tutte le preghiere, la prima mormorata dal bambino piccino, l’ultima pronunciata da ogni ebreo sul letto di morte, è lo Shemà. “Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze” (Deuter. VI). Lo Shemà è composto di tre brani della Torà: due del Deuteronomio e uno dei Numeri. Essi incominciano:
Shemà Israèl Adon-i Eloh-nu Adon-i echàd.
Ascolta Israele il Signore è nostro Dio, il Signore è uno.
Vehayà im shamòa
Se ubbidirete ai miei precetti…
Vayòmer Adon-i el Moshè lemòr
E disse il Signore a Mosè…
Nel I brano è affermato il concetto del monoteismo d’Israele (Adon-i echàd), e ci vengono prescritti vari obblighi, tra cui recitare lo Shemà coricandoci e alzandoci, insegnare i precetti del Signore ai nostri figli, l’uso dei tefillìn e della mezuzà .
Nel II brano, il Signore ci promette piogge, a tempo debito, per la nostra terra e per i nostri campi e un buon raccolto, se seguiremo i Suoi precetti con amore e devozione; viene ribadito l’uso dei tefillìn e della mezuzà.
Nel III brano, il Signore comanda ai figli di Israele l’uso degli tzitziòth, cioè “di fare delle frange agli angoli dei nostri vestiti” perché ci ricordino che dobbiamo sempre osservare i precetti del Signore. Lo Shemà termina: “Anì Adon-i Eloekh-m, emèth”.
Oggetti esterni
Come abbiamo visto nello Shemà, il Signore ci ha prescritto alcuni oggetti, come segni materiali, che ci terranno sempre presenti i Suoi precetti. Essi sono: i tefillìn, la mezuzà, gli tzitziòth.
I tefillìn
Nel I e II brano dello Shemà ci viene prescritto l’uso dei tefillìn . “Li legherai per segnale sulla tua mano, siano per frontali fra i tuoi occhi” I tefillìn sono usati solo dagli uomini, durante la tefillà di Shachrìth e solo nei giorni feriali. Essi consistono in due scatolette di cuoio, (con una cinghia di cuoio) in cui sono contenuti quattro passi della Torà con la prescrizione dei tefillìn stessi (2 passi da Shemòth e 2 da Devarìm). Una delle scatolette (tefillà shel yad) viene legata sopra al gomito sinistro, perché sia vicina al cuore, e il nodo della sua cinghia forma una (yod). Essa è formata da un unico scomparto, contenente un rotolino di pergamena con i 4 brani.
L’altra scatoletta, (tefillà shel rosh), viene posta in cima alla fronte, in mezzo agli occhi, perché sia vicino al cervello e ci possiamo così ricordare di osservare i precetti con amore e con la mente. Su questa scatoletta è incisa una (shin) a quattro braccia, perché nell’interno essa è divisa in quattro scomparti, con quattro rotolini di pergamena, con i 4 diversi brani della Torà. I lacci di questa scatoletta formano un nodo come una (dalet). Le tre lettere insieme formano la parola (Shaddày) Onnipotente.
La mezuzà
In ogni casa ebraica, sullo stipite destro della porta di entrata e di quelle che conducono alle varie stanze, vedrai la mezuzà, un astuccio in cui è racchiuso un rotolino di pergamena, sul quale sono stati trascritti a mano, con grande precisione ed inchiostro speciale, i primi due brani dello Shemà che prescrivono l’uso della mezuzà stessa. Essa è il simbolo della protezione del Signore ed indica, pure, che in quella casa vivono delle persone che osservano i Suoi precetti. La mezuzà deve essere collocata sullo stipite destro della porta (per chi entra) a 2/3 dello stipite stesso, cioè all’altezza degli occhi di un adulto. Nell’affiggerla si recita la seguente berakhà: …“che ci hai ordinato di affiggere la mezuzà”.
Lo tzitzìth
Terza prescrizione, che si trova nel III brano dello Shemà, tratto da Bemidbar (Numeri XV), è quella dell’uso degli tzitziòth.
Il Signore, tramite Mosè, ordina ai figli di Israele di mettere delle frange “speciali”, ai quattro angoli dei loro vestiti. Queste frange sono formate da fili intrecciati, fra i quali, una volta, ne veniva inserito uno azzurro (petil tekhèleth) che oggi però non si mette più, perché manca la sostanza colorante. Ogni fiocco è formato da quattro fili ripiegati, così da sembrare un “otto”.
Anche gli tzitziòth hanno lo scopo di ricordarci che dobbiamo osservare i precetti del Signore. Oggi gli tzitziòth li ritroviamo sul tallèd, lo scialle che gli uomini pongono sulle spalle, durante la tefillà mattutina, o in particolari cerimonie, e sul talled katàn o ‘arbà kanfòth, un piccolo tallèd portato sotto il vestito normale. Il valore numerico di tzitzith è 600. Se aggiungiamo il numero 13 dei nodi e dei fili, degli angoli degli tzitziòth, abbiamo 613, numero che corrisponde alle mitzvòth della Torà.