Capitolo primo: Il periodo rivoluzionario
1.1 La Convocazione degli Stati Generali
Il 24 gennaio del 1789, l’evidente crisi economica del paese indusse il Re Luigi XVI a convocare per il mese di maggio l’Assemblea dei rappresentanti della nobiltà, del clero e del terzo stato.
Il preambolo della convocazione, contenuta in una Lettre du Roi, spiega le ragioni profonde di questa consultazione:
“Nous avons besoin du concours de nos fidèles sujets pour Nous aider à surmonter toutes les difficoltés où Nous nous trouvons, relativement à l’état de nos finances, et pour établir, suivant Nos voeux, un ordre constant et invariable dans toutes les parties du gouvernement qui intèressent le bonheur de Nos sujets et la prosperité de Notre Royame”[1].
Dal febbraio iniziarono le assemblee elettive. Esse furono incaricate di scegliere i deputati e di raccogliere le richieste della “base” nei cahiers de doléances. Gli argomenti più ricorrenti erano il cumulo dei benefici, l’abolizione delle tasse per matrimoni e sepolture e di quelle pagate al Papa (annate), la soppressione delle congregazioni religiose e la vendita dei beni del clero per limitare il deficit pubblico.
Gli Stati Generali si aprirono a Versailles il 5 maggio del 1789 ed i primi atti dei deputati costituitisi in Assemblea Nazionale furono, il 4 agosto, l’abolizione dei privilegi della Chiesa (esenzione dalle imposte e riscossione di diritti feudali come la decima) e il 26 dello stesso mese, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, redatti da Mirabeau e da Sieyès che, proclamando la tolleranza religiosa riconoscevano ufficialmente la libertà e l’esistenza in Francia di altre confessioni religiose, sottraendo così al Cattolicesimo il carattere di religione di Stato.
Come è noto si proclamava inoltre la libertà e l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini e si difendeva il diritto alla proprietà, mettendo fine in tal modo all’assolutismo e al regime di privilegio[2].
Tra i 17 articoli che si ispiravano ai Bills of Rights americani del 1776 e alle dottrine di Montesqieu e Rousseau, gli articoli 1, 6 e 10, assumono particolare rilevanza nel nostro studio.
Secondo l’articolo 1: “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”.
L’articolo 6 affermava: “Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge e sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti”.
Infine per l’articolo 10: “Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge”.
Questi ultimi due articoli che garantivano l’uguaglianza civica e la libertà di coscienza, derivante dalla soppressione di ogni differenza inerente la religione, ebbero come diretta conseguenza, il decreto del 24 dicembre 1789 che dichiarava i non cattolici ammissibili a tutti gli impieghi militari e civili. Ma il provvedimento riguardava solo i protestanti: furono votate in loro favore delle “misure riparatrici”: la restituzione dei beni, e la concessione della nazionalità francese ai discendenti degli ugonotti fuggiti all’estero in seguito alla revoca dell’Editto di Nantes.
Vedremo più avanti che, almeno inizialmente, l’Assemblea si mostrò più titubante nei riguardi degli Ebrei.
Dopo l’abolizione dei privilegi feudali e la Dichiarazione, si ebbe una serie di provvedimenti antiecclesiastici: l’incameramento e la vendita del patrimonio della Chiesa (a partire dal 2 novembre), la soppressione degli ordini religiosi (13 febbraio 1790) e la Costituzione Civile del Clero (12 luglio 1790).
La laicizzazione dei beni della Chiesa era stata richiesta da un piccolo numero di cahiers de doléances, ma una ridistribuzione di questo vasto patrimonio era stata spesso progettata in favore del basso clero e delle opere di assistenza. La situazione finanziaria del Paese nell’ottobre del 1789 indusse Talleyrand, deputato e vescovo di Autun, a porre il problema davanti all’Assemblea. La sua tesi condivisa anche da Barnave, altro deputato di origine protestante, sosteneva che era stata la Nazione e quindi l’Autorità Civile ad affidare questi beni alla Chiesa per assicurare i servizi pubblici del culto e dell’assistenza. Perciò se lo Stato avesse deciso di assumere queste funzioni, avrebbe dovuto necessariamente incamerarne il patrimonio. Nonostante una debole opposizione da parte di alcuni difensori dei beni della Chiesa, che sostenevano l’impossibilità dello Stato di privare il Clero del diritto di proprietà su di essi, il 2 novembre 1789 fu votato il decreto che metteva il patrimonio “à la disposition de la Nation” e che ne sanciva la vendita come “biens nationaux de première origine”.
Il culto diventava un servizio come gli altri, e lo Stato, cui apparteneva il monopolio del bene pubblico, si impegnava ad occuparsi del sostentamento dei ministri, delle spese del culto e dell’assistenza dei poveri. Nello stesso tempo la Costituente abolì il versamento delle annate al Papa.
Anche la soppressione degli ordini religiosi era stata auspicata da un certo numero di cahiers: l’opinione pubblica infatti criticava gli abusi, l’oziosità e l’inutilità sociale dei monaci ed era ostile ai voti perpetui ed al celibato (perché contrari alla natura).
Così un progetto elaborato da Treilhard, avvocato del parlamento di Parigi, fu approvato dall’Assemblea nel febbraio del 1790. Furono soppressi gli ordini e le congregazioni nelle quali si emettevano voti perpetui e fu proibito di crearne degli altri. I monaci erano liberi di uscire dai monasteri e quelli che invece non volevano abbandonare la loro condizione di religiosi potevano ritirarsi nelle case che il governo avrebbe messo a loro disposizione. Si decise che i religiosi, anche quelli provenienti dai conventi, sarebbero stati ritenuti incapaci di succedere e avrebbero potuto ricevere a titolo gratuito solo una rendita vitalizia da parte dello Stato. Soltanto gli ordini religiosi dediti all’insegnamento e all’assistenza erano mantenuti in vita fino a che lo stato non si fosse occupato di questi settori.
1.2 La Costituzione civile del Clero
Ma l’atto più grave, e certamente il più importante, fu la Costituzione Civile del clero del 12 luglio 1790, atto unilaterale elaborato (senza il concorso del Papa) da una “commissione mista” (composta cioè da laici ed ecclesiastici) nominata dall’Assemblea.
Le relazioni della Francia con la Santa Sede erano, naturalmente, molto tese: il territorio di Avignone (che si trovava sotto la diretta sovranità del pontefice fin dal XIV secolo) mostrava chiaramente il suo desiderio di essere unito al resto della Nazione. Da parte sua il Papa, nel concistoro segreto del 1790 aveva ufficialmente condannato la Dichiarazione dei Diritti. Vi erano quindi degli ottimi motivi per far desiderare al nuovo governo francese di eliminare, per quanto possibile, l’influenza di Roma sulla Chiesa francese.
Inoltre a sottolineare il fatto che non si toccava la struttura interna della Chiesa (e che non si intendeva interferire nelle questioni puramente spirituali), nel nome del provvedimento venne inserito l’aggettivo “civile” che delimitava la portata del testo stesso il cui scopo era quello di dare alla struttura esterna della Chiesa francese un unico assetto, suggerito in gran parte da ragioni economiche.
L’Assemblea Nazionale, che dopo lunghi dibattiti approvò questo Atto nel mese di luglio, obbligò il Re a promulgarlo il 25 agosto 1790, sperando che il pontefice ne avrebbe accettato il fondamento razionale, così come si presentava; e, per indurlo ad accogliere più favorevolmente la nuova sistemazione, escluse provvisoriamente la città di Avignone, la quale fu annessa soltanto nel 1791, quando apparve evidente che un compromesso era ormai impossibile.
Il pontefice naturalmente considerò con diffidenza la Costituzione: essa infatti era una strana mescolanza di teorie derivate dal Gallicanesimo e dall’Illuminismo.
Le innovazioni principali si riferivano soprattutto al riordinamento territoriale dell’amministrazione ecclesiastica e alla scelta dei candidati agli uffici ecclesiastici. Il titolo I prescriveva una completa riorganizzazione delle diocesi e delle parrocchie dal punto di vista territoriale: le diocesi da quel momento dovevano coincidere esattamente con le nuove unità amministrative civili, chiamate “départements”, in cui era stato diviso il territorio francese; le diocesi e le parrocchie, che non si fossero potute comprendere nel nuovo schema, dovevano essere soppresse, e lo stesso trattamento doveva essere applicato agli antichi uffizi ecclesiastici (canonicati, ecc) considerati superflui dalla Costituzione.
Il titolo II, relativo alle nomine dei benefici ecclesiastici, era ancor più provocatorio, in quanto riesumava l’usanza (abbandonata ormai da secoli) della Chiesa primitiva della elezione diretta dei vescovi e del clero da parte del laicato, stabilendo precise modalità per la procedura delle elezioni.
Il candidato prescelto riceveva l’investitura dall’arcivescovo o, per le cariche di minore importanza dal vescovo; ma le autorità ecclesiastiche non avevano alcuna diretta influenza sull’elezione; e l’intervento del pontefice in questa procedura veniva praticamente ridotto a zero. Infatti non gli si richiedeva alcuna conferma dell’elezione, ed egli era semplicemente informato dal nuovo vescovo, in virtù del formale riconoscimento del suo primato sulla Chiesa. Una caratteristica importante di questa procedura era che il diritto di voto non era limitato soltanto ai cattolici, ma esteso a tutti i cittadini.
Il titolo III trattava dei compensi del clero, mentre il titolo IV stabiliva delle regole severissime riguardo l’obbligo di residenza degli ecclesiastici investiti di un uffizio o di un impiego[3].
La Costituzione aveva lo scopo evidente di troncare i rapporti della Chiesa francese con Roma nelle questioni pratiche e di trasformarla in una Chiesa autonoma nazionale. E poiché non si era verificato un vero movimento scismatico, alcuni degli stessi sostenitori della Santa Sede giudicarono più opportuno che il Pontefice accettasse la Costituzione, almeno provvisoriamente.
Il Papa però, seriamente allarmato dalle tendenze radicali della Rivoluzione, decise di opporsi, sostenuto anche dai Gallicani che non ebbero il coraggio di sfidare apertamente l’autorità del pontefice, appoggiandosi ad una forza politica secolare. Il capo della Chiesa Gallicana, l’arcivescovo di Aix, Boisgelin, sarebbe stato favorevole alla Costituzione, purchè fosse stata approvata da un concilio nazionale dei vescovi e del clero francese, che l’Assemblea non volle permettere, considerandolo una deroga dal suo potere sovrano. Di conseguenza Boisgelin e tutti coloro che ne condividevano le idee furono indotti a schierarsi dalla parte dei sostenitori del Papato in aperta opposizione al governo.
Ed il tentativo di raggiungere un accordo con Roma cadde definitivamente, quando l’Assemblea impose la Costituzione con la forza.
Il 27 novembre tutti i vescovi, parroci, funzionari ecclesiastici, avrebbero dovuto giurare fedeltà alla Costituzione civile. I vescovi (tranne quattro) rifiutarono il giuramento, ma nella stragrande maggioranza abbandonarono la Francia, rifugiandosi in Inghilterra, Italia e Germania. Circa metà del clero inferiore invece si piegò. La Francia era così divisa in preti “assermentés” o “constitutionnels”, e preti “insérmentes” o “refraictares”.
E così Pio VI, il 10 marzo ed il 13 aprile del 1791 condannò la Costituzione: le consacrazioni, erano considerate criminali e sacrileghe, tutti gli “asserméntes” erano sospesi a divinis. Ulteriori istruzioni, date caso per caso, insistevano perché i fedeli non assistessero alle funzioni dei preti “giurati”, e non ricevessero da essi i sacramenti.
L’ultimo atto dell’Assemblea Nazionale fu la Costituzione del 3 settembre 1791 [4] che garantiva, come diritto naturale e civile, la libertà per ciascun uomo di praticare il proprio culto religioso, affermava il diritto di eleggere o scegliere i ministri del proprio culto, e tendeva nel contempo ad un’opera di secolarizzazione dello Stato, riconoscendo al matrimonio esclusivamente carattere civile e attribuendo ai pubblici funzionari la competenza a ricevere dichiarazioni di nascita, di matrimonio e di morte e a conservarne i relativi atti: funzioni queste demandate precedentemente al clero[5].
Alla fine del settembre 1791, la Costituente lasciò il posto all’Assemblea Legislativa (1791-1792), che dominata inizialmente dai girondini attuò una politica fortemente anticlericale, rivolta soprattutto contro i preti refrattari. Essi erano trattati come “sospetti”: fu proibito loro di costruire o affittare luoghi per l’esercizio pubblico del proprio culto; furono privati delle loro pensioni, allontanati dalle parrocchie e puniti con la detenzione[6].
Infine tra il 4 ed il 18 agosto furono chiusi i conventi e soppresse tutte le congregazioni, maschili e femminili, comprese quelle dedite all’insegnamento ed all’assistenza.
Si aprì così un abisso a lungo insormontabile, tra Chiesa cattolica e Rivoluzione. Dalla fondazione di una Chiesa Nazionale si passava alla lotta aperta contro la religione, al tentativo di scristianizzare la Francia.
La terza assemblea, la Convenzione Nazionale (1792-1795), soprattutto negli anni 1793-1794 (sino alla caduta e la morte di Robespierre, il 28 luglio 1794), organizzò un’autentica persecuzione contro sacerdoti e religiose. Si aggravarono le misure restrittive contro i preti “non giurati”, e si moltiplicarono le esecuzioni, in particolar modo a Parigi.
Nello stesso tempo, l’Atto costituzionale del 24 giugno 1793, che non ebbe mai vigore, ribadiva la garanzia del libero esercizio dei culti[7].
La stessa Chiesa costituzionale agonizzava. Due leggi successive (settembre 1793, settembre 1794) prima ridussero il clero giurato ad un insieme di “pensionati”, poi soppressero il bilancio dei culti: con il decreto del 18 settembre del 1794 (anno II) la Convenzione dichiarava che la Repubblica non avrebbe più pagato salari né spese di alcun culto. Dopo la caduta di Robespierre venne così inaugurato il regime di separazione tra Chiesa e Stato[8]: la Francia non intendeva professare alcuna religione e restava estranea ad ogni manifestazione di qualsiasi culto.
Inoltre bisogna ricordare che sempre durante il regime della Convenzione si celebrò a Notre-Dame la festa della Dea Ragione (novembre 1793), venne introdotto il Culto dell’Essere Supremo (maggio 1794) e si stabilì il nuovo calendario (rimasto in vigore fino al 1806) che avrebbe dovuto eliminare ogni traccia dell’antica religione dalla vita quotidiana, sostituendo tra l’altro la festa delle decadi alla domenica.
La legge del 3 ventoso dell’anno III (21 febbraio 1795), rinnovava quella del 18 settembre 1794 (che sanciva la soppressione dei sussidi a qualsiasi culto), proclamava la libertà dei culti e riaffermava la separazione completa tra Chiesa e Stato. I cattolici potevano dunque riunirsi in luoghi da loro affittati per la celebrazione delle funzioni; ma nessuna chiesa era loro restituita, nonché restava vietata ogni manifestazione esteriore della religione e qualsiasi riscossione di tasse o costituzione di fondazioni perpetue per le spese del culto.
Questo decreto venne ripreso dalla Costituzione dell’anno III (22 agosto 1795) negli articoli 352 e 354: “La loi ne reconnait ni voeux religeux, ni aucun engagement contraire aux droits naturels de l’homme”; “Nul ne peut etre empeché d’exercer, en se conformant aux lois, le culte qu’il a choisi; nul ne peut etre forcé de contribuer aux dépenses d’un culte. La République n’en salarie aucun”.
Un decreto del 2 prairiale dell’anno III (30 maggio 1795) concesse alle diverse confessioni l’utilizzo di vecchi edifici di culto che non erano stati venduti come “beni nazionali”.
Infine, un decreto del 7 vendemmiario dell’anno IV (30 settembre 1795) riunendo le disposizioni precedenti in una “loi sur l’exercise et la police extérieure des cultes” che prevedeva misure di sorveglianza e garanzia contro ogni culto che avesse tentato di rendersi esclusivo o dominante, evidenziò la diffidenza che questa politica di separazione nascondeva.
Il Direttorio (1795-1799), dopo il colpo di stato del 1797, pur ribadendo la neutralità dello stato in materia religiosa, riprese la lotta contro la Chiesa rimettendo in vigore leggi (contro di essa) decadute da tempo e deportando preti refrattari nella Guyana.
1.3 L’emancipazione degli Ebrei francesi
Alla vigilia del 1789, gli Ebrei di Francia, non erano ancora entrati nella “famiglia francese”.
Nell’Ancien Régime[9] la società civile poggiava sulla comunanza di fede e per essere ammesso alle funzioni pubbliche era necessario essere cattolico: l’Ebreo quindi, pur essendo libero di praticare la propria religione, non godeva di alcun diritto[10].
I 40.000 Ebrei di Francia erano una specie di parias[11] sottomessi a leggi discriminatorie e la loro presenza sul suolo francese dipendeva esclusivamente dalla volontà dell’amministrazione reale[12]. Essi non costituivano una comunità omogenea, ma appartenevano a quattro gruppi ben distinti: i Sefarditi o Portoghesi[13], gli abitanti del Contado Venassino[14], gli Aschenaziti o Tedeschi[15] ed i Parigini[16].
Separate geograficamente, queste comunità lo erano ancor di più se si guardava alle loro attività economiche. Riguardo a ciò bisogna sottolineare da una parte l’estrema precarietà della loro situazione materiale, dall’altra il fatto che la loro concentrazione nell’esercizio di un limitato numero di mestieri, generava gravi tensioni sociali[17].
Era necessaria dunque una definizione del loro statuto giuridico ed un miglioramento progressivo della loro condizione socio-economica.
Benchè l’Editto di espulsione del 1394 rimanesse in vigore, rendendo illegale l’esistenza stessa di comunità ebraiche in Francia, queste erano localmente riconosciute e dotate di differenti statuti. Gli Ebrei, grazie alle loro attività di prestatori di denaro e di sostenitori dell’esercito, erano diventati “utili” ai Re che imponevano la loro presenza al Clero, alla Municipalità, ai Parlamenti, disarmando le ostilità mediante concessioni[18].
In Francia il movimento favorevole all’emancipazione fu influenzato dall’attività di Moses Mendelssohn, filosofo tedesco “illuminato”, che comprese per primo la necessità di una duplice emancipazione. Gli Ebrei dovevano inanzitutto allentare i legami (e dunque emanciparsi) con le loro comunità, con le loro tradizioni e con i loro rabbini e successivamente avrebbero potuto aspirare all’uguaglianza dei diritti con le popolazioni in mezzo alle quali vivevano.
Queste idee furono diffuse in Francia da Mirabeau che nel 1783 scrisse “Sur Moses Mendelssohn et sur la réforme politique des Juifs”, opera che suscitò interesse nell’opinione pubblica[19] e che pose la questione ebraica tra gli argomenti più importanti della pubblicistica del tempo.
La numerosa produzione di opuscoli e pamphlets e l’iniziativa della Società reale delle arti e dei mestieri di Metz[20] stimolarono l’interesse degli stessi vertici istituzionali.
Luigi XVI[21] riunì una commissione con il compito di esaminare i mezzi necessari per accordare agli Ebrei l’uguaglianza giuridica. E così, Malesherbes, che aveva realizzato l’Editto del 1787, che riconosceva lo Stato Civile ai Protestanti, venne incaricato di formularne uno analogo
in favore degli Ebrei. Ma la stesura del manuale preparatorio[22] venne interrotta nel maggio del 1789 dalla convocazione degli Stati Generali che contribuì a far evolvere il problema ebraico dal piano delle discussioni teoriche a quello delle applicazioni pratiche.
Ed il grande merito della Rivoluzione fu l’abolizione dell’antica discriminazione tra gli Ebrei e gli altri cittadini che permise l’ingresso e la partecipazione attiva alla vita della Nazione a uomini che fino ad allora avevano vissuto una pesante esclusione dalla società. Théodore Reinach osserva a questo proposito: “La haine, les persécutions, les restrictions ont partout engendré chez les Juifs la décadence physique et morale, tous les vices des races opprimées et déprimées: la tolérance et l’égalité des droits ont promptement refait d’eux des hommes, des citoyens dignes de prendre place parmi les meilleurs et les plus utiles”[23].
E proprio la convocazione degli Stati Generali alla vigilia della Rivoluzione ha permesso uno straordinario accumulo di documenti sugli umori dell’opinione pubblica in quel periodo: dalle province arrivarono infatti i Cahiers des doléances, provenienti dai diversi gruppi sociali in cui era articolata la società francese. Nelle province dove esisteva una popolazione ebraica, questi Cahiers abbondavano di recriminazioni contro di essi, soprattutto in Alsazia e in Lorena, dove i tre Stati – come riferisce Maurice Liber – sembravano unanimi: “Cambia solo il tono: il clero è predicatore, la nobiltà perentoria, gli uomini di legge legulei. Sulla sostanza sono tutti d’accordo. Gli Ebrei si sono eccessivamente moltiplicati e le loro usure rovinano la popolazione delle campagne”[24].
Ma non c’erano solo le usure: a giudicare, per esempio, dal Cahier del clero di Colmar, il male era infinitamente più profondo: “poiché gli Ebrei, con le loro vessazioni, le loro rapine, la cupida doppiezza di cui offrono ogni giorno esempi così perniciosi, sono la prima e principale causa della miseria del popolo, della perdita di ogni vigoroso sentimento, della depravazione morale…(per tutti questi motivi) non possa più essere permesso contrarre matrimonio che ai primogeniti di ogni famiglia ebraica”[25].
I Cahiers della nobiltà proponevano, più spesso di quelli del clero o del terzo stato, rimedi più rivoluzionari e illuminati: quelli di Toul e di Metz constatavano che “ogni onesto mezzo di sussistenza è interdetto agli Ebrei”, e chiedevano “che fosse loro consentito esercitare le arti liberali e meccaniche come agli altri sudditi di sua Maestà”[26]; e la nobiltà di Parigi sembrava pensarla allo stesso modo quando proponeva nel suo cahier “di prendere in considerazione la sorte degli Ebrei”[27].
Alle prese di posizione, per lo più ostili, dei tre Stati, si possono aggiungere quelle inespresse delle “classi silenziose”, del “quarto stato”, cioè delle masse del proletariato rurale, “di cui non si conoscono mai i bisogni perché non si consultano mai”[28].
Che in un’epoca di grande travaglio per le istituzioni francesi emergessero spinte e controspinte anche sulla questione ebraica non appare sorprendente e proprio in Alsazia esse furono più forti[29]. A Metz comparve un pamphlet, “Cri des citoyen”, che conteneva attacchi contro gli Ebrei e incitamenti all’odio, a cui rispose senza mezzi termini Isaia Beer Bing, uno scrittore noto per il suo coraggio.
Ancora una volta il Re ed il Consiglio di Stato tornarono ad occuparsi del problema. Malesherbes fu incaricato di aprire una nuova inchiesta: convocò così alcune personalità influenti, sia cristiane (Target, Lagretelle, Roeder) sia ebraiche (Gradis e Furtado di Bordeaux, Fonseca di Bayonne, Cerf Berr e Berr Isaac Berr di Nancy, Lazard e Trenelle di Parigi). Una complicazione emerse subito: i rappresentanti ebrei erano in polemica tra loro e si ponevano distinti obiettivi da raggiungere: quelli di Bordeaux, Bayonne e del Contado erano sufficientemente integrati e si battevano per la conservazione dei loro privilegi. Non subivano angherie e non desideravano particolari forme di autonomia. Quelli dell’Est, legati al mondo del prestito,volevano l’integrazione, ma anche l’antica autonomia. Malesherbes comprese ben presto che i contrasti erano insanabili e di difficile soluzione. Tutti chiedevano nuovi diritti, nessuno però voleva rinunciare a vecchi privilegi, consumati in una strana, ma consueta, clandestinità. Del resto l’inimicizia di questi gruppi, vincolati ognuno ad un ben preciso territorio, era di antica data e nel corso del XVIII secolo gli “iberici” avevano impedito agli aschenaziti e a quelli del Contado di venire nella loro zona e viceversa.
Nel gennaio del 1789 venne pubblicato il nuovo regolamento elettorale che prevedeva come elettori dell’assemblea primaria, gli uomini di almeno 25 anni nati o naturalizzati francesi e iscritti nel ruolo delle imposte, cioè nell’elenco dei contribuenti. Ancora una volta si pose la questione degli Ebrei: potevano o no votare ? Ancora una volta riaffiorò l’antico editto di espulsione di quattrocento anni prima (1394): dal punto di vista legale essi non esistevano, non era loro concesso di redigere i famosi Cahiers o eleggere deputati. Ancora una volta emersero le differenze tra i diversi gruppi: quelli di Bordeaux e Bayonne avevano ricevuto da Luigi XVI le Lettres patentes (10 luglio del 1784) e i brevets di naturalizzazione; alsaziani e lorenesi formavano invece una nazione “regnicola”: abitavano il paese in cui erano nati, vi appartenevano come sudditi, ma non potevano essere considerati francesi.
Nel febbraio 1789 gli ebrei iberici cioè i sefarditi, ottennero l’autorizzazione a partecipare alle elezioni degli Stati Generali. Gli Ebrei dell’Est o ashenaziti, invece ottennero solo di riunirsi a Parigi per redigere anch’essi un Cahier de doléances, grazie all’intervento di Cerf Berr, notabile ebreo e fornitore dell’esercito del Re, che il 15 aprile 1789, in una lettera indirizzata al ministro delle Finanze Jacques, pose chiaramente la questione: “Les Juifs des Trois Provinces de Alsace, de Lorraine et de Trois Evechés, s’étaient flattés que le Conseil de sa Majesté daignerait répondre favorablement au Mémoire qu’ils ont pris la liberté de vous adresser…Justement allarmè, Monseigneur, par le silence du Conséil, et par les bruits qui se répandent que les Cahiers des députés des Trois Provinces renferment différentes propositions tendantes à resserrer les chaines de la Nation juive, je viens en son nom, et comme Syndic général des Juifs de ces Trois Provinces, implorer en leur faveur la justice du Roi et la votre…Les juifs sollicitent un Arret du Conseil qui leur ordonne de nommer des députés pour venir discuter conjointement avec moi les interets de la Nation Juive, et prier un ou plusieurs députés aux Etats généraux de défendre ses droits qui sont ceux de l’humanité opprimée”[30].
Necker approvò questa proposta di “répresentation indirecte” e autorizzò due deputati eletti per ogni provincia (Goudchaux e Wolf per Metz e i Tre Vescovati, Sintzheim e Seligmann per l’Alsazia, Mayer e Berr Isac Berr per la Lorena) a riunirsi in agosto a Parigi per redigere un Cahier de doléances. Perciò i sefarditi, con una convocazione “generale”, furono “trattati” da francesi; gli ashkenaziti con una convocazione “particolare” da ebrei: entrambi però furono considerati “soggetti del Re”.
Il documento consegnato a Necker (che a sua volta lo fece pervenire all’abate Grégoire, deputato all’Assemblea e vincitore del Concorso indetto dall’Accademia di Metz nel 1785) comprendeva rivendicazioni comuni ed altre particolari (per ciascuna comunità). Tra quelle comuni c’erano l’uguaglianza fiscale con i cristiani, l’autorizzazione per il libero esercizio di arti e mestieri, la possibilità di acquistare beni immobili e di stabilirsi liberamente e ovunque nella Nazione, ed infine il mantenimento dell’autonomia (e quindi dei loro rabbini e dei loro sindaci). Tra le richieste particolari segnaliamo quella degli abitanti di Metz che domandavano l’abolizione della tassa di protezione dovuta alla famiglia Brancas di cui abbiamo precedentemente parlato (Cfr. nota 21).
Intanto il 17 giugno gli Stati Generali si erano costituiti in Assemblea Nazionale e il 9 luglio essa aveva preso il nome di Assemblea Nazionale Costituente.
La presa della Bastiglia il 14 luglio, decretò la fine dell’ancien régime. Mentre in gran parte della Francia il popolo bruciava castelli e conventi e distruggeva le basi del potere assoluto, in Alsazia la popolazione locale si scatenò contro gli ebrei (“periodo della Grande Paura”). Molti trovarono rifugio a Basilea e dall’esilio mandarono una richiesta di aiuto pressante all’abate Grégoire (destinatario anche del Cahier di Parigi) che, la sera del 3 agosto durante una seduta presieduta da Le Chapelier, evocando la situazione in Alsazia, pose per la prima volta il problema ebraico all’interno dell’Assemblea Nazionale. Egli disse che “comme Ministre d’une Religion qui regarde tous les hommes comme fréres, il doit réclamer dans cette circostance l’intervention du pouvoir de l’Assemblée en faveur de ce peuple, proscrit et malheureux”[31]. Inoltre per agire sull’opinione pubblica diffuse sotto forma di Brochure, una “Motion en faveur des Juifs” nella quale domandava la loro assimilazione agli altri cittadini, argomento che egli ancora non aveva potuto sviluppare alla tribuna dell’Assemblea.
All’intervento del prete cattolico fece seguito il commosso appello di Rabaut de Saint-Etienne, un pastore protestante, nel corso della discussione dell’articolo 10 della Dichiarazione dei Diritti proposto da M. de Castellane: “Nul ne peut etre inquiétè pour ses opinions religeuses, ni troublé dans l’exercise de son culte”. Replicando a coloro che vi si erano opposti (sia preti cattolici che laici), egli aggiunse: “Je demande pour tous les non-Catholiques ce que vous demandez pour vous: l’égalité des droits, la liberté de leur religions, la liberté de leur culte, la liberté de le célébrer dans les maisons consacrées à cet objet, la certitude de n’etre plus troublés dans leur religion que vous ne l’etes dans la votre, et l’assurance parfaite d’etre protégés comme vous, autant que vous, et de la memme manière, par la commune loi…la liberté, l’égalité des droits. Je la demande pour ce peuple arraché de l’Asie, toujours errant, toujours proscrit, toujours persécuté depuis près de dix-huit siècles, qui prendrait nos moeurs et nos usages, si par nos lous, il était incorporé avec nous, et auquel nous ne devons point rapprocher sa morale, parce qu’elle est le fruit de notre barbarie et de l’humiliation à laquelle nous l’avons injustement condamné…”[32].
Nonostante le opposizioni la mozione di M. de Castellane, fu approvata e successivamente inserita, come preambolo, alla Costituzione del 1791 nella seguente formula “Nul ne doit etre inquiété pour ses opinions meme religeuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la loi”. Adottando la Dichiarazione, l’Assemblea riconobbe la uguaglianza degli uomini davanti alla Legge e quindi, implicitamente, l’Emancipazione degli Ebrei (ufficialmente decretata il 28 settembre del 1791).
E sempre nello stesso giorno, il 26 agosto del 1789, un’ordinanza del Re pose gli Ebrei di Alsazia “sous la protection de la loi”: l’appello degli Alsaziani ed il successivo intervento di Grégoire (del 3 agosto) avevano ottenuto il primo risultato.
Forti della Dichiarazione e dell’appoggio concesso loro da questi esponenti del nuovo ceto politico, gli Ebrei Parigini inviarono (sempre il 26) un ”adresse” all’Assemblea Nazionale in cui domandavano la piena concessione dell’ ”état civil” (o diritti di cittadinanza), senza però rinunciare al mantenimento della loro organizzazione comunitaria (senza cioè abbandonare la loro religione, i loro rabbini e le loro sinagoghe). “Les Juifs résidans à Paris, pénétrés d’admiration et de respect à la vue des actes multipliés de justice, qui émanent de l’Assemblée Nationale, ont osé flatter que leur sort n’echapperait point à votre prévoyance; qu’ils finiraient eux-memes par ressentir les heureux effets de votre sagesse: et ils prennent la liberté de venir déposer, dans le sein de votre auguste Assemblée, l’hommage anticipé de leur reconnaissance, et témoignage solennel de leur patriotique dévouement… Sans doute votre justice ne demandait point a etre sollicité, ni prévenue par nos voeux. En restituant à l’homme sa dignité première, en le rétablissant dans la juissance de ses droits, vous n’avez entendu faire aucune distinction entre un homme et un autre homme. Ce titre nous appartient comme à tous les autres Membres de la Société; les droits qui en dérivent nous appartiennent donc également… Un objet unique domine et presse toutes nos ames: le bien de la patrie, et le désir de Lui consacrer toutes nos forces”[33].
Il 31 la stessa richiesta venne ribadita dai rappresentanti delle comunità ebraiche della Lorena, dell’Alsazia e dei Tre Vescovadi: “Les Juifs des Trois Provinces de l’Est… demandent qu’il soit mis fin à la longue oppression d’un peuple entier, en le rappelant aux droits communs d’humanité et de Cité… D’un coté, vous avez établi les droits essentiels et imprescriptibles de l’Homme; de l’autre, vous déclarez que nul ne peut etre inquieté dans ses opinions religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la Loi. Voilà évidemment notre culte sous la sauve-garde de la Nation; et la Société, en meme temps, nous est ouverte, pour y marquer nous-memes notre place…”[34].
Il primo settembre riprendendo il senso di queste petizioni, Grégoire propose formalmente all’Assemblea di discutere la questione ebraica in Francia nel suo complesso.
La Costituente non poteva ignorare le richieste degli Ebrei. Ma essa, malgrado le sue “tendenze liberali”, era divisa in due schieramenti, uno favorevole e l’altro ostile agli Israeliti: questo ultimo costituito dagli elementi più reazionari del clero, con a capo l’abate Maury, La Fare e Rewbell temeva che l’emancipazione avrebbe minacciato i privilegi della Chiesa. Di quello favorevole invece facevano parte nobili come Mirabeau e Clermont-Tonnerre, membri del Clero come Grégoire, e deputati che sedevano “à gauche” come Robespierre.
E proprio a causa di questa spaccatura in seno all’Assemblea, la decisione riguardo la concessione dei diritti di cittadinanza fu aggiornata in più sedute.
In quella del 3 settembre, presieduta da La Luzerne, l’argomento fu posto all’ordine del giorno. Vennero esaminati i quattro punti essenziali contenuti negli “adresse”: concessione dell’“état civil”, libertà di stabilirsi in tutte le città (indipendentemente dalle leggi e dai privilegi), abolizione di tutte le tasse arbitrarie e ingiuste (come quella a vantaggio della casata di Brancas), libertà nell’esercizio della loro religione (e di conseguenza mantenimento delle sinagoghe). Ed inoltre, come precisa il Moniteur”: “On a nommé un Comité pour s’occuper de cette affaire”[35].
L’argomento fu affrontato di nuovo il 28 settembre 1789 e l’Assemblea, dopo aver udito gli interventi di Grégoire e di Clermont- Tonnerre, che denunciavano nuove persecuzioni subite degli Ebrei in Alsazia e Lorena, dichiarò che il presidente avrebbe scritto “aux différentes municipalités de la Lorraine pour leur manifester que la Déclaration des Droits de l’homme est commune à tous les habitants de la terre” e che dunque le città lorenesi non avrebbero più dovuto maltrattare gli Ebrei. Inoltre sempre il 28 settembre, per la seconda volta in un mese, Luigi XVI intervenne in loro favore ponendoli nuovamente sotto la sua protezione.
Una lettera del 4 ottobre indirizzata dai deputati dell’Est al presidente dell’Assemblea, Fréteau de Saint Just, permise per la prima volta agli Ebrei di difendere personalmente la loro causa di fronte all’Assemblea Nazione. Una delegazione guidata da Berr Isaac Berr fu infatti ammessa alla tribuna il 14 ottobre 1789. Lo stesso Berr espose con toccanti parole le sofferenze tollerate per molti secoli dai suoi correligionari e chiese che fosse finalmente concesso loro di essere trattati con equità e giustizia. La richiesta venne accolta dal presidente che nella sua replica affermò che “L’Assemblée… prendra votre requete en considération et se trouvera heureuse de rappeler vos frères à la tranquillité et au bonheur; et provisoirement vous pouvez en informer vos commettants… L’Assemblée leur a donnè séance à la barre, et à arreté que leur affaire serait tritée dans la présente session”[36].
La Costituente però, tornò su questo argomento soltanto nelle sedute del 21-24 dicembre 1789 e limitatamente al problema dell’ammissibilità agli impieghi pubblici (eleggibilità) degli esclusi: attori, boia e non cattolici (Protestanti ed Ebrei).
La discussione si aprì il 21 dicembre e un progetto di legge proposto da un deputato guascone, Brunet de la Tuque, favorevole alla concessione del titolo di cittadino a tutti i non cattolici, suscitò l’opposizione dei deputati più conservatori.
L’affrancamento totale dei Protestanti, degli attori e dei boia fu adottato senza difficoltà, mentre quello degli Ebrei fu al centro di un acceso dibattito tra i due fronti contrapposti, di cui abbiamo parlato precedentemente.
L’ala destra, capeggiata dall’abbé Maury, dal giacobino Rewbell, da La Fare e dal principe di Broglie, agitò lo spettro di una vera e propria insurrezione popolare nelle loro province, una volta che l’Assemblea si fosse azzardata a votare la pariteticità dei diritti civili tra cattolici ed ebrei; ed inoltre aggiunse a questa minaccia l’argomento relativo all’impossibilità di integrare i membri di una nazione differente, se non ostile, per leggi e costumi, alla maggioranza dei francesi.
La fazione “favorevole” era composta da Duport, Mirabeau, Robespierre e da Clermont-Tonnerre che durante la discussione sull’eleggibilità prese la parola[37]: “J’en dit assez sur les professions, je viens à l’objet du culte, bien plus important sans doute. Je commence par rappeler que la question en elle-meme est jugée par votre Déclaration des Droits. Nul, avez-vous dit, ne sera inquieté pour ses opinions religeuses, à moins que leur manifestation ne trouble l’ordre public…La Loi de l’Etat ne peut atteindre la religion de l’individu…Si l’om admet “une religion nationale” il faut alors “effacer l’article” de la Déclaration…Il ne peut etre question ni de haine ni meme de tolérance. Les plus graves reproches qu’on fait aux Juifs sont injustes, les autres sont spécieux…Il faut refuser tout aux Juifs comme Nation dans le sens de corps constitué, et accorder tout aux Juifs comme individus… il faut qu’ils ne fassent dans l’Etat ni un corps politique, ni un ordre, il faut qu’ils soient individuallement citoyens…Les Juifs demandent à etre citoyens. Ils doivent l’etre…L’Assemblée ne peut plus se taire, le moment est venu de prendre position”. Il discorso, soprattutto nella sua ultima parte (“…tout refuser aux Juifs comme Nation et…tout leur accorder comme individu…”), indicava, con nettezza, che l’unica strada concessa dalla Francia rivoluzionaria per l’emancipazione del popolo ebraico doveva necessariamente passare per una completa emancipazione dei suoi membri alla società, anche a costo di un loro parziale, snaturamento culturale. Il tono, che ad alcuni parve dogmatico ed impositivo, fu parzialmente mitigato da un commosso intervento di Robespierre, che insistette soprattutto sulla necessità di inserire tra i punti più qualificanti del nuovo progetto di rigenerazione nazionale la riparazione dei torti commessi contro gli Ebrei nel corso dell’arco intero della storia francese: “Comment a-t-on pu opposer aux Juifs les pérsecutions dont-ils ont été les victimes chez différents peuple ? Ce sont, au contraire, des crimes nationaux, que nous devons expier en leur rendant les droit imprescriptibles de l’homme dont aucun puissance humaine ne pouvait les dépouiller…Songeons qu’il ne peut jamais etre politique, quoiqu’on ne puisse dire, de condamner à l’avilissement et à l’oppression une multitude d’hommes, qui vivent au milieu de nous. Comment l’intéret social pourrait-il etre fondé sur la violation des principes éterneles de la justice et de la raison, qui sont les bases de toute société humaine ?”[38].
Eppure, nonostante la vasta eco che questa presa di posizione suscitò nell’ambiente politico, i deputati della “destra” riuscirono a far respingere, con una strettissima maggioranza di 408 voti a 403, una mozione di Duport, favorevole ad un programma di piena emancipazione, e a far votare, invece, il 24 dicembre, un aggiornamento della discussione: “L’Assemblea Nazionale riconosce i non cattolici idonei ad accedere a tutti gli impieghi civili e militari, salvo gli Ebrei su cui si riserva di pronunciarsi”.
Questa decisione, sanzionata da Luigi XVI con le Lettere Patenti del 29 dicembre 1789, provocò una decisa reazione filo ebraica della maggioranza della società civile, ben interpretata dagli articoli apparsi in quei giorni su testate come “Le Courrier de Gorsas”, “La Gazette de Paris” e soprattutto “Le Courrier de Provence” di Mirabeau[39].
I sefarditi del Midi (Portoghesi) che attribuirono l’aggiornamento e quindi la “sconfitta” alle pretese troppo forti e particolari degli Ebrei dell’Est, cercarono di dissociarsi completamente da loro. Ed il 31 dicembre in un appello all’Assemblea fecero conoscere il loro disappunto attaccando gli ashkenaziti e accusandoli di “eccessivo zelo religioso”. Anche gli Ebrei di Parigi cercarono nuove alleanze e si misero in contatto il liberale abate Mulot, presidente dell’Assemblea dei Distretti, che si impegnò ad appoggiare le loro rivendicazioni. A Bordeaux e a Bayonne i gruppi ebraici ottennero l’appoggio di Talleyrand ed alla fine anche gli Ebrei dell’Est moderarono le loro richieste.
In una “Pétition” all’Assemblea del 28 gennaio 1790, scrissero a proposito delle rivendicazioni dei Portoghesi: “Nos demandes sont les memes que les leurs; à l’exception que ce qu’ils demandent à conserver, Nous demandons à le conquérir. Mais il y a des choses dont Ils ne Jouissent pas encore, et qu’Ils doivent, en consequénce, demander…Notre cause s’identifie absolument avec la leur”[40].
Lo stesso 28 gennaio la comunità israelitica di Bordeaux (dove si erano stabiliti i Portoghesi) inviò una delegazione all’Assemblea Nazionale. Questa era portatrice di una ferma rimostranza, nella quale si affermava che la decisione del 24 dicembre – che sanciva di fatto la privazione dei diritti politici per tutti gli Ebrei francesi, senza distinzione – si tramutava, per gli Ebrei meridionali, in un vero e proprio passo indietro rispetto alle stesse conquiste da essi ottenuti durante l’antico regime. Nel corso di un lungo ed acceso dibattito, durato undici ore, Talleyrand sostenne la loro posizione e, malgrado l’opposizione di Rewbell e dell’abbé Maury, la Costituente finì per accordare, il 28 gennaio 1790, i diritti di cittadinanza, nella loro integralità, alle comunità di Bourdeaux, Bayonne e Avignone[41].
Non vi furono reazioni di rilievo: del resto solo quattromila persone erano interessate a questo provvedimento (ratificato il 9 febbraio da Luigi XVI) che lasciava in sospeso i problemi dei due gruppi ashkenaziti di Alsazia e Lorena e di quelli del Contado Venassino, allora ancora soggetti al Papa.
Il successo, seppur parziale, spinse gli Ebrei di Parigi a cercare un analogo risultato e quelli dell’Alsazia ad intensificare i loro sforzi, sebbene la reazione popolare contro di loro continuasse intensa, appoggiata dal clero e dalla nobiltà. E questa situazione indusse l’Assemblea ad emanare, il 16 aprile 1790, un decreto che li poneva nuovamente sotto la sua protezione: “L’Assemblée Nationale met de nouveau les Juifs de l’Alsace et des autres provinces du royame sous la sauvegarde de la loi; défend à toutes personnes d’attenter à leur sureté; ordonne aux municipalités et aux gardes nationales de protéger de tous leurs pouvoirs leurs personnes et leurs propriétés”[42].
A Parigi, gli Ebrei ottennero il pieno appoggio della Comune, che intervenne in loro favore presso l’Assemblea il 25 febbraio del 1790. L’abbé Mulot, presidente della Comune, si presentò con altri delegati (tra cui l’avvocato Godard) alla tribuna per “la supplier d’étendre aux Juifs domiciliés dans Paris, le décret qui a déclaré citoyens actifs les Juifs Portugais”[43].
Ma il dibattito fu nuovamente aggiornato e il problema della concessione dei diritti all’intera comunità ebraica francese non ricevette soluzione né nella seduta del 23 maggio né in quella del 30 aprile, in cui pure la questione era stata affrontata.
E proprio in quest’ultima seduta, l’Assemblea per risolvere le difficoltà sorte nei dipartimenti di frontiera e nella città marittime, riguardo i requisiti per divenire francesi, emanò un decreto (ratificato poi da Luigi XVI con le Lettere Patenti del 2 maggio 1790) che escludeva gli Israeliti la cui questione era e rimaneva aggiornata: “Tous ceux qui, nés hors du royame, de parents étrangers, sont établis en France, sont réputés français et admis, en pretant le serment civique, à l’exercise des droits de citoyen actif, après cinq ans de domicile continu dans le royame…sans que par lesdites présentes nous entendions rien préjuger sur la question des juifs, qui a été et demeure ajournée”[44].
L’unico provvedimento preso nei mesi successivi dai deputati impegnati nella redazione della Costituzione, fu l’abolizione delle tasse arbitrarie (come quella corrisposta alla casata di Brancas) che gravavano sugli ebrei, con il decreto del 20 luglio 1790, ratificato il 7 agosto dal Re[45].
Le decisioni del 12 agosto e dell’11 settembre 1790, concernenti l’attività e l’eleggibilità dei cittadini, le funzioni dell’Assemblea amministrativa e l’organizzazione giudiziaria, non fecero registrare progressi nella questione ebraica: entrambe infatti ritenevano i non cattolici eleggibili ed idonei alle funzioni giuridiche, ma “liquidavano”, per così dire, il problema con la frase “L’Assemblée Nationale n’entend encore rien préjuger par rapport aux Juifs, sur l’état desquels elle s’est réservée de prononcer”[46].
Alla seduta del 18 gennaio fu fatto un nuovo tentativo in favore dell’emancipazione completa. Louis-Simon Martineau fece la seguente proposta: “…Je demande qu’on étende aux Juifs de toutes les nations, naturalisés en France, le droit de citoyen actif, qui a été accordé, par décret du 28 janvier dernier, aux Juifs avignonais, portugais et espagnols, naturalisés par Lettres Patentes”[47].
Ma il Principe di Broglie si oppose e replicò: “Toute cette intrgue, est ourdie depuis longtemps par quatre ou cinq Juifs puissant, établis dans le département du Bas-Rhin. Un d’entre eux (Cerf Berr), qui a acquis une fortune immense aux dépens de l’Etat, répand depuis longtemps des sommes considérables dans cette cspitale pour s’y faire des protecteurs et des appuis”[48]. Queste insinuazioni ottennero il risultato desiderato: la questione ebraica subì un nuovo aggiornamento.
E, nella seduta del 27 settembre, pochi giorni prima della separazione dell’Assemblea, il deputato Duport, per reclamare l’emancipazione completa degli ebrei ricordò la recente proclamazione della Costituzione che garantiva nel Titolo Primo dedicato alle Disposizioni generali “la libertà ad ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i propri pensieri…e di praticare il culto religioso al quale aderisce”. “Je crois, disse, que la liberté des cultes ne permet plus qu’aucune distinction soit mise entre les droits politiques des citoyens à raison de leur croyance. La question de l’existence politique (des Juifs) a été ajournée. Cependant, les Turcs, les Musulmans, les hommes de toutes les sectes, sont admis à jouir en France des droits politique. Je demande que l’ajournement soit revoqué et qu’en consequence il soit décreté que les Juifs jouiront en France des droits de citoyen actif”. Queste parole furono coperte di applausi. Rewbell invitò l’Assemblea ad opporsi a questa proposta; ma Reignault, deputato di Saint-Jean-d’Angerly, replicò: “Je demande que l’on rappelle à l’ordre tous ceux qui parleront contre cette proposition, car c’est la Costitution elle-meme qu’ils combattront”[49]. L’Assemblea votò allora, senza altra discussione, la mozione di Duport, ed il giorno dopo, il 28 settembre 1791, approvò un decreto che determinò ufficialmente, se non l’uguaglianza, l’emancipazione degli Ebrei di Francia: “L’Assemblée Nationale, considérant que les conditions nécessaires pour etre citoyen français, et pour devenir citoyen actif sont fixées par la Constitution et que tout homme qui, réunissant les dites conditions, prete le serment civique et s’engage à remplir tous les devoirs que la Constitution impose, a droit à tous les vantages qu’elle assure. Revoque tous ajournements, réserves et exceptions insérés dans les précédents décrets, relativement aux individus Juifs qui préteront le serment civique, qui sera regardé comme une renonciation à tous privilèges et exceptions introduits précédemment en leur faveur”[50].
Gli “avversari” degli Ebrei, non si dettero pace e lo stesso giorno riuscirono ad ottenere che, in compenso della ottenuta emancipazione, e per placare la popolazione cristiana a loro ostile, gli Ebrei dell’Alsazia Lorena, molti dei quali erano creditori dei cattolici per somme ingenti, dovessero rinunciare al soddisfacimento di buona parte dei debiti contratti con loro Due giorni dopo, l’Assemblea Nazionale si separò ed il 13 novembre 1791 Luigi XVI e l’Assemblea Legislativa confermarono queste disposizioni, permettendo alla stragrande maggioranza degli ebrei di acquisire formalmente, tra la fine del 1791 e l’inizio del 1792, la cittadinanza francese a pieno diritto.
Questa emancipazione, che non suscitò grande reazione nel Paese, era parziale, dal momento che essa accordava i diritti civili e la capacità di esercitarli nel quadro di un regime censuario. Cittadino attivo o passivo, elettore o eleggibile, l’Ebreo emancipato diveniva uguale, in diritti e doveri, all’individuo non ebreo appartenente alla sua stessa classe sociale. E’ necessario inoltre fare due osservazioni. In primo luogo l’emancipazione verteva sulla cittadinanza e non sulla nazionalità. Gli Ebrei nel 1791 non divennero francesi, dal momento che essi lo erano già prima, ma cittadini. In secondo luogo, l’uguaglianza acquisita era temperata da alcune restrizioni: la loro capacità di eleggibilità era limitata (non erano ad esempio ammessi ad uffici che potevano influire sull’esercizio della religione cattolica), il culto ebraico, sebbene fosse tollerato, non era riconosciuto dallo Stato. Questo fatto, in apparenza ingiusto, permetteva agli ebrei di continuare ad esercitare la loro religione più o meno liberamente, mentre il culto cattolico era sottomesso alla Costituzione Civile del Clero.
L’Assemblea Legislativa dopo la ratifica, si disinteressò della loro sorte, dal momento che essa era alle prese con i preti “refraictaires”, che rimasti fedeli alla Chiesa dell’ancien régime, agitavano la Vandea e con i nobili emigrati che tentavano di coinvolgere le potenze (i Re) straniere in un intervento contro i rivoluzionari di Francia.
Il decreto del 28 settembre, però, non aveva modificato la situazione: nelle campagne dell’Est incidenti, provocati dall’antico pregiudizio religioso e dal disprezzo per il prestito ad usura, costrinsero gli Ebrei ad isolarsi, a vivere in disparte: il fanatismo religioso condusse alla chiusura delle sinagoghe.
Nel periodo della Convenzione, Robespierre intervenne per arrestare tutti gli eccessi religiosi. Nel suo discorso del 18 floreale dell’anno II, riguardo al rapporto tra idee religiose e morali e i principi repubblicani, egli affermò: “…Que la liberté des cultes soit respectée, pour le triomphe meme de la raison; mais qu’elle ne trouble point l’ordre public et qu’elle ne devienne point un moyen de conspiration”[51]. In seguito, quando egli decise di sterminare tutti i suoi avversari, gli Ebrei, come i ricchi e i Cattolici, furono perseguitati.
Durante il Termidoro vi furono numerose iniziative per cacciare gli Israeliti dalla Francia, ma furono respinte.
Sullo sfondo intanto si svolgevano grandi e tragici fatti. Nel luglio 1793 i girondini vennero rovesciati dai giacobini e fino al luglio 1794 vennero ghigliottinati a Parigi più di mille sospetti. Le leggi eccezionali e la giustizia sommaria erano sovrane. Nel maggio 1794 prevalse una forte ventata di “anticristianesimo” a favore del “culto dell’Ente Supremo” e alla fine di luglio cadde Robespierre in seguito ad una congiura parlamentare. Nel settembre il terrore bianco dei realisti si sostituì a quello dei giacobini; la Costituzione dell’anno III, proclamò la libertà di tutti i culti e l’articolo 354 consacrò definitivamente il regime di separazione tra Stato e Chiesa: “ Nul ne peut etre empeché d’exercer, en se conformant aux lois, le culte qu’il a choisi…Nul ne peut etre forcé de contribuer aux dépenses d’un culte. La République n’en salarie aucun”.
Nell’ottobre del 1795, Barras, per incarico del Direttorio e sostenuto da Napoleone Bonaparte, soffocò l’insurrezione monarchica. Alla fine del settembre 1797, lo stesso Bonaparte si impose sulla tormentata scena politica francese. Gli Ebrei non passarono indenni attraverso il Terrore ma, non furono neanche particolarmente toccati, dalle violente lotte politiche che disseminarono il paese di lutti.
[1] Arch. Nat. B. 1, liasse 4, pièce 4, p. 3. Cit. da FEUERWERKER D. L’emancipation des Juifs en France de l’Ancien Régime à la fin du Second Empire, Parigi, 1976, p.241.
[2] Nel preambolo si leggeva infatti: “ I Rappresentanti del Popolo Francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre in una solenne Dichiarazione, i diritti inalienabili e sacri dell’uomo affinché questa Dichiarazione, constantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri…affinché i reclami dei cittadini…abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e della felicità di tutti”. MEZZADRI L. La Chiesa e la Rivoluzione Francese, Milano, 1989.
[3] Titolo IV. Dell’obbligo di residenza
Art. 1.L’obbligo di residenza sarà strettamente osservato e tutti coloro che saranno investiti di un uffizio o impiego ecclesiastico dovranno sottostarvi senza alcuna eccezione o discriminazione.
Art. 2 Nessun vescovo potrà allontanarsi dalla sua diocesi…se non col consenso del direttorio del dipartimento, in cui trovasi la sua sede.
Art. 4. Qualora un vescovo o un parroco non osservasse l’obbligo della residenza, la municipalità del luogo è tenuta a darne notizia al procuratore generale sindaco del dipartimento…”. MEZZADRI L. op. cit, pp.75-76.
[4] Il cui preambolo era costituito dalla Dichiarazione dei Diritti del 26 agosto del 1789.
[5] Constitution du 3 septembre 1791. Titre premier, Dispositions fondamentales garanties par la Constitution: La Constitution garantit, comme droits naturels e civils:1° Que tous les citoyens sont admissibles aux places et emplois, sans autre distinction que celles des vertus et des talents;….La liberté à tout homme de parler, d’écrir…et d’exercer le culte religeux auquel il est attaché,…Les citoyens ont le droit d’élir ou choisir les ministres de leur cultes.
Titre II, art 7, La loi ne considère le mariage que comme contract civil…Le pouvoir législatif établira pour tous les habitants,sans distinction, le mode par le quel les naissances, les mariages et décès seront constatés; et il designera les officiers publics qui en recevront et conserveront les actes…
[6] Provvedimenti del novembre 1791
[7] La Convention, dans l’article 7 de la déclaration des droits, déclare que “le droit de manifester sa penseé et ses opinions…le libre exercise des cultes ne peuvent etre interdits”….Art 122:”La Constitution garantit à tous les Français l’égalité, la liberté,….le libre exercise des cultes,…la jouissance de tous les droits de l’homme”.
[8]Questo regime venne definitivamente ripristinato dalla legge di “separazione tra le Chiese e lo Stato” promulgata dal presidente Loebet il 9 dicembre 1905, che instaurava formalmente un nuovo sistema di relazioni tra Stato e confessioni religiose, ponendo fine al secolare regime concordatario stabilito nel 1801 da Napoleone e Pio VII”.
(Cfr. AMBROSINI G. Diritto ecclesiastico francese odierno, 1880-1908, Napoli, 1909).
[9] Cfr. L’introduzione storico politica.
[10] Questa esclusione, però non era dovuta ad un atteggiamento di particolare persecuzione nei suoi riguardi, ma era piuttosto un’ esigenza generale della società di quel tempo molto timorosa e ripiegata su se stessa, per meglio difendersi dall’anarchia politico giuridica dalla quale essa era appena uscita. Gli Ebrei inoltre non costituivano una Nazione, ma solo delle minoranze ovunque laboriose, e quindi, per migliorare la loro situazione non potevano usufruire -come gli stranieri – delle concessioni reciproche imposte dallo sviluppo delle relazioni internazionali.
[11] Persone che vivevano ai margini della società e disprezzati da tutti
[12] Dapprima cacciati da Filippo Augusto e Filippo il Bello, erano stati richiamati da Carlo V e definitivamente espulsi nel 1394 da un’ordinanza di Carlo VI, confermata nel 1615 da Luigi XIII.
[13] Erano i discendenti dei Marrani o Nuovi Cristiani spagnoli, convertiti al cattolicesimo e rimasti segretamente fedeli all’ebraismo. Obbligati a fuggire dalla Penisola Iberica nel 1492, in seguito all’espulsione decretata dall’Inquisizione, si stabilirono nel Sud Ovest della Francia e ricevettero da Luigi XV (nel 1723) e da Luigi XVI (nel 1784) delle Lettere Patenti che li autorizzavano a soggiornare a Bordeaux, Saint-Esprit, La Bidache e a La Bastide- Clairence.
[14] Vivevano, sotto l’autorità pontificia, nelle quattro “Carrières” (sorta di ghetti) di Avignone, Carpentras, Isle-Sur-La-Sorgue e Cavaillon.
[15] Provenivano dalla Polonia e dall’Ucraina, costituivano il gruppo più numeroso e si erano stabiliti in Alsazia e Lorena (in particolar modo a Metz).
[16] La Capitale contava circa 500 Ebrei (appartenenti ai tre gruppi già citati)che, sorvegliati dalla polizia giudiziaria, beneficiavano di una larga tolleranza amministrativa.
[17] Gli Israeliti, esclusi dalle corporazioni delle arti e dei mestieri (in seguito alle pressioni dei concittadini che ne volevano ridurre la concorrenza e la famigerata abilità commerciale), vivevano di artigianato e di piccolo commercio ambulante (dal momento che giuridicamente non potevano possedere nulla). Esisteva poi una piccola classe agiata composta da commercianti di bestiame, armatori e da prestatori di denaro su pegno: attività che il diritto canonico proibiva ai cristiani e che incrementava l’ostilità nei loro riguardi.
[18] E’ il caso del Duca di Brancas che nel 1715 ottenne da Filippo D’Orleans reggente di Luigi XV ciò che Luigi XIV gli aveva negato: l’istituzione a suo favore di una tassa di residenza per ogni famiglia ebrea che rimase a profitto della sua casata fino alla fine dell’Ancien Régime. Questa non era la sola tassa che gravava sugli Israeliti: essi erano costretti a pagare una parte dell’imposta di capitolazione della città, una tassa di industria (una sorta di licenza) e la ventesima dei beni fondi: tributi versati globalmente al Re dalle comunità, che costituendo delle entità autonome, delle micro società (dotate di sinagoghe, ministri di culto e di istituzioni di assistenza e beneficenza), esercitavano sui loro membri un controllo assoluto calcolando e riscuotendo il denaro da ogni famiglia.
[19] Bisogna sottolineare che il principio della riforma dello statuto giuridico degli Ebrei era strettamente collegato all’evoluzione politica e amministrativa dell’Ancien Régime. La Francia alla vigilia della Rivoluzione appariva ancora come un aggregato di popoli disuniti, di gruppi sociali dai diversi privilegi. Gli “Stati nello Stato” denunciati da DE BIEFELD K. in Institutions politiques, Paris, 1760, erano numerosi: corporazioni che regolavano una parte dell’economia, parlamenti dominati dalla “noblesse de robe” che si opponevano all’autoritarismo reale…Ed ancora l’esistenza di nazioni piccarde, bretoni, guascone, mostravano l’estremo vigore dei particolarismi locali, con le loro implicazioni politiche e giuridiche. L’adattamento della Francia all’era moderna esigeva la creazione di un sistema amministrativo omogeneo in tutto il territorio, applicabile a tutte le categorie di individui. Ora la necessità di un potere centrale forte, di una legislazione unitaria, metteva in rilievo l’esistenza di gruppi, come le comunità ebraiche, che vivendo in un regime particolare, usufruivano di privilegi ma non di diritti.Questa situazione appariva dunque inverosimile a coloro che lottavano contro i privilegi o si sforzavano di attenuare le differenze, per rendere i francesi un corpo omogeneo. Certamente lo Stato, rimasto “très chretien”, non potendo progettare la scomparsa totale dello statuto discriminatorio nei confronti degli Ebrei, tentò di uniformare la legislazione che regolava la vita delle comunità locali.
[20] Nel 1785 la Società propose un concorso vertente sul seguente interrogativo: “Est-il des moyens de rendre les Juifs plus itiles à la France ?”. Tre composizioni vennero premiate nel 1787: quella dell’Abbé Grégoire,dell’avvocato Thierry e del “bibliothécaire royal” Hourvitz, ebreo polacco residente a Parigi.
[21] Il Re nel 1784 aveva soppresso i pedaggi corporali: tasse imposte agli ebrei ad ogni spostamento che inevitabilmente pesavano sulle loro attività di commercianti itineranti.
[22] Redatto dallo stesso Malesherbes, da alcuni notabili Ebrei e da Lacretelle (un avvocato che nel Mercure de France, n.6,1786 aveva pubblicato le “Reflexions sur les juifs”, apertamente fevorevoli all’emancipazione ebraica.)
[23] REINACH T. Histoire des Israélites depuis la ruine de leur indépendance nationale jusqu’à nos jours, Paris 1914, p. 317.
[24] LIBER M. Les Juifs et la convocation des Etats Généraux (1789), Paris, 1913. p. 194.
[25] GOUBERT P.- DENIS M. “1789, les Français ont la parole, Cahiers des Etats généraux, Paris, 1964, pp. 195-196
[26]LIBER M., op. cit., pp. 196-199.
[27] POLIAKOV L. Storia dell’antisemitismo, Firenze, 1976.
[28] GOUBERT P.- DENIS M,op. cit., p. 226. Gli autori rilevano che in Alsazia, ad esempio, la popolazione espresse-per così dire- il suo parere nel quadro della Grande Paura del luglio 1789, con un’ondata di saccheggi e uccisioni che costrinsero migliaia di ebrei a rifugiarsi nella vicina Svizzera.
[29] In questa zona infatti gli Ebrei per l’esercizio del prestito ad usura suscitavano l’ostilità della popolazione e del potere pubblico.
[30] Arch. Nat. B 11, liasse 7, pièce 4. Cit da FEUERWERKER D, op. cit, pp. 252-253.
[31] Le Moniteur, n° 33, p.133 à 135, Archives Parlamentaires, t. VIII, p. 336, col. 2.
[32] Le Moniteur du 25 au 26 aout 1789, n. 46, col. 1.
[33] Arch. Nat. AD XVII 49, pièce 2.
[34] Adresse des Juifs des Trois Evechés, d’Alsace et de Lorraine du 31 aout 1789. Arch. Nat. ADXVII, 49 pièce 3.
[35] Moniteur, 5 Settembre 1789, p. 210, col.3.
[36] Arch. Nat.C.33, pièce 17. Procès-Verbal de l’Assemblée Nationale, n° 100, p. 6.
[37] Opinion de M. le comte de Clermont-Tonnerre, deputé de Paris. Le 23 décembre 1789. Paris, 1789. p. 16
[38] Seduta dell’Assemblea del 23 dicembre. Discorso di Robespierre. Moniteur del 23-25 dicembre 1789.
[39] Cfr. CORCIULO M. S. Mirabeau et l’origine de la tactique parlamentaire à la Constituante. In, Costitution e Révolution aux Etats Unis d’Amérique et en France, Macerata, 1995.
[40] Pétition des Juifs établis en France, adressée à l’Assemblée Nationale le 28 janvier 1790, sur l’ajournament du 24 décembre 1789. Paris. 1790. Pp.2-3.
[41] “ L’Assemblée Nationale décrète que tous les Juifs portugais, espagnols et avignonnais, continueront de jouir des droits dont ils ont joui jusqu’à prèsent, et qui sont consacrés en leur faveur par des Lettres patentes; et en consequence, ils jouiront des droits de citoyens actifs, lorsqu’ils réuniront d’ailleurs les conditions requises par les décrets de l’Assemblée”.
[42] HALPHEN A. E. Recueil des lois, décrets, ordonnances, avis du Conseil d’Etat, arretés et règlements concernant les Israélites depuis la Revolution, suivi d’un appendice contenant les discussions dans les Assemblées législatives, la jurisprudence de la Cour de Cassation et celle du Conseil d’Etat, Paris, 1851
[43] GRAETZ H. Histoire des Juif, Paris, 1897. p.312.
[44] HALPHEN A.E.,op. cit, p.4.
[45] “ Nous avons supprimé et abolì, supprimons et abolissons la redevance annuelle de vingt mille livres, levée sur les juifs de Metz et du pays Messin, sous la dénomination de droit d’habitation, protection et tolérance, sans aucune indemnité pour li concessionaire et possesseur actuel de ladite redevance…Nous abolissons et supprimons les redevances de meme nature qui se lèvent partout ailleurs sur les juifs, sous quelque dénomination que ce soit…. HALPHEN. A. E., op. cit, pp.5-6.
[46] HALPHEN A. E., op. cit, p. 7.
[47] Procès-verbal de l’Assembléè Nationale n. 535,p. 17. Le Moniteur, pp.83-84.
[48] HIRSH G, op. cit., p.312
[49] Ibidem
[50] HALPHEN A. E. op. cit., pp. 9-10.
[51] ALAGNA A. Les juifs dans la société française de la Revolution à l’affaire Dreyfuss, Napoli. 1975.