Le situazioni ingenerate dalla pandemia hanno messo in difficoltà l’organizzazione halakhica della vita ebraica: durante i duri mesi del lockdown, per fare qualche esempio, le donne hanno avuto non poche difficoltà nel raggiungere un miqvè, mettendo a dura prova la vita di coppia, le persone in lutto non hanno avuto la possibilità di ricevere visite durante la Shiv’à e di recitare il qaddish per i propri cari. Molte persone, non potendo pregare quotidianamente in pubblico o anche solo durante lo Shabbat, si sono sentite senz’aria.
Pensando alla vita delle nostre comunità, non potere fare il Seder di Pesach assieme ai propri cari, o non prendere parte ai sedarim pubblici, è stato un prezzo molto alto da pagare. Come tutti ricorderanno, in quei giorni si sviluppò una discussione halakhica, che appassionò il pubblico, circa la liceità o meno di seguire il seder di Pesach su Zoom. Questa discussione peraltro a livello teorico ha i suoi punti di interesse1. In altri momenti probabilmente una discussione di questo tipo non sarebbe mai arrivata al grande pubblico, e non avrebbe di certo richiesto dei pronunciamenti da parte del rabbinato di Israele, com’è invece avvenuto. Analogamente in Israele è pervenuta una richiesta alla Corte Suprema, non accolta, affinché il Rabbinato dichiarasse un anno bisestile per dare modo all’economia israeliana per affrontare Pesach nelle nuove condizioni.
Più in generale, ragionando sul lungo periodo, il perpetuarsi dello stato di emergenza in tutto il mondo e anche ovviamente nel mondo ebraico, ha presentato alle leadership, religiose e comunitarie, varie sfide, considerato che la vita ebraica è in buona parte fondata su incontri comunitari e preghiere comuni. Nei mesi nel mondo ebraico hanno visto la luce tanti progetti e nuovi approcci, che certamente potranno influenzare in modo duraturo i nostri atteggiamenti anche nei prossimi anni, quando le cose torneranno alla normalità. È innegabile che il mondo dello studio della Torà abbia assistito in questi mesi ad uno scatto epocale. C’è voluta una pandemia per comprendere a pieno quanto sia provvidenziale l’esistenza di internet2. Le comunità della diaspora nel loro complesso, a dispetto delle enormi difficoltà, hanno dato nel mondo prova di vitalità, sensibilità e complessità, fornendo delle risposte diversificate nei vari settori della vita ebraica.
Una domanda che molti si sono posti nelle primissime fasi della pandemia riguardava l’approccio che i rabbini nel mondo avrebbero adottato in ambito halakhico, e se eventuali cambiamenti nelle decisioni avrebbero attecchito, provocando un cambiamento di paradigma nell’approccio alla halakhà. In via preliminare, sebbene ci troviamo ancora in piena crisi, è possibile senz’altro iniziare a registrare alcuni dati e tendenze di ordine generale:
– quella che stiamo vivendo non è la prima né l’ultima crisi che il popolo ebraico ha affrontato; nessuno oggi si sognerebbe di usare la letteratura elaborata durante la Shoà per giustificare delle scelte di oggi, sebbene quegli stessi testi quando furono scritti avessero pieno valore, e lo stesso avverrà per quanto si è deciso e fatto durante questa crisi;
– la portata delle decisioni rabbiniche elaborate in questi mesi, sebbene in determinati casi colpiscano per il loro coraggio, non toccano, come poteva essere prevedibile, le strutture fondamentali della halakhà, ma si muovono lungo binari ampiamente tradizionali; le misure emergenziali (horaat sha’à) delle quali abbiamo sentito in modo particolare durante la prima fase della pandemia rientrano pienamente nella tradizione giuridica ebraica.
– almeno nel mondo anglosassone il grande pubblico è entrato in contatto per mezzo di internet con il variegato universo dei responsa rabbinici: il fatto che gli Shut Corona scritti in ebraico da Rav Herschel Schachter, considerato la principale autorità halakhica nella Yeshiva University, presentino al termine dei testi un riassunto, e in alcuni casi una vera e propria traduzione, in inglese, è un segno chiaro del fatto che i destinatari dei responsa non siano solo i rabbini, ma anche le altre fasce della comunità3.
– si è assistito in buona parte del mondo ebraico allo sviluppo di una sensibilità che tenesse conto del fatto che gli ebrei sono in diaspora una componente minoritaria all’interno di una società complessa: i comportamenti della componente ebraica non devono suscitare un senso di sfiducia nel resto della società4.
La situazione che abbiamo affrontato, e stiamo ancora affrontando, è molto difficile da comprendere e digerire, se pensiamo alla funzione che abitualmente attribuiamo alle mitzwot. In passato il mondo religioso ha risposto a grandi crisi con raduni di massa, aiuto reciproco e un impegno maggiore nell’osservanza religiosa, ma le risposte tradizionali sono in totale contraddizione con l’approccio che ci è richiesto di adottare. Esistono delle circostanze in cui la pratica delle mitzwot, come la conosciamo, si rivela controproducente e deve essere congelata. Questo comporta una relativizzazione delle mitzwot che può sembrarci inaccettabile, ma che fa invece pienamente parte della Torà. In alcuni casi i profeti, il Sinedrio o i rabbini hanno l’autorità di sospendere l’applicazione di determinate norme. Nel 1863 Abramo Lincoln, durante la guerra civile, sospese l’habeas corpus, che nel diritto anglosassone era considerato un diritto fondamentale: alcune volte per salvare il paziente è necessario amputare una gamba. I poseqim a volte ragionano esattamente come i medici. Ci sono dei momenti di crisi in cui è richiesta una risposta radicale, che può essere paragonata ad un’amputazione. Questo non significa che le norme della Torà decadano, ma la halakhà da parte sua, deve prevedere dei meccanismi per rispondere a queste situazioni. La domanda teorica fondamentale, con la quale quest’anno si sono confrontati praticamente tutti i rabbini di comunità, è sino a che punto possano spingersi questi adattamenti.
Le crisi ordinarie sono chiamate nella halakhà sha’at ha-dechaq. Secondo Rav Klapper5 esistono quattro modalità distinte di adattamento:
1) prendere una decisione seguendo un’opinione meno autorevole rispetto a quella abitualmente adottata;
2) ridurre l’osservanza all’essenziale, piuttosto che ricercare l’ideale;
3) soddisfare solo l’opinione più autorevole, senza cercare di soddisfare tutte le opinioni;
4) abbassare lo standard legale al di sotto di quello che in precedenza era considerato il minimo.
Per comprendere meglio la questione Rav Klapper porta come esempio le parole del Ramà in Choshen Mishpat 25,2, dove vengono descritti i criteri per risolvere le situazioni di dubbio: se si tratta di Isssur we-hetter, per un divieto della Torà si è rigorosi, mentre per un divieto rabbinico si è facilitanti. Ciò vale solo se i contendenti sono di pari livello, ma non ci si appoggia sulle parole del più piccolo contro chi è più grande di lui per sapienza e per numero, persino nello sha’at ha-dechaq, a meno che non ci sia una grossa perdita.
In queste poche righe il Ramà definisce un algoritmo per risolvere le dispute rabbiniche precedenti. È necessario rispondere a varie domande: il livello di autorità dei contendenti è il medesimo, o qualcuno è maggiormente autorevole6? La questione discussa riguarda una questione derivante dalla Torà o di origine rabbinica? Seguire il maggiormente autorevole comporterà una perdita per qualcuno? Si tratta di uno sha’at ha-dechaq?
Il Bach chiarisce che il concetto di grande perdita può essere oggettivo o soggettivo: che una pietanza venga considerata non kasher di lunedì per un povero può rappresentare una grande perdita, per il ricco molto meno. Ma se mancano pochi minuti all’entrata di Shabbat e quella pietanza è il piatto forte nel menù le cose cambiano sensibilmente, e comprendiamo che la perdita di cui si parla non è puramente economica, ma può essere anche emotiva e spirituale.
Una distinzione fondamentale nella halakhà è quella fra ciò che deve essere fatto ab initio, lekhattechilà, e ciò che non deve essere ripetuto post facto, bedi’avad. Un principio universalmente accettato equipara la situazione di sha’at ha-dechaq con quella post facto. Per esempio l’elemento estetico è previsto a priori in molte mitzwot, o in molti divieti sono presenti delle precauzioni che i chakhamim hanno previsto per salvaguardare il divieto biblico.
Circa il tema dell’abbassamento degli standard, una baraytà citata in massekhet Sukkà 31a riguardo alle specie del lulav prevede che se queste sono appassite sono valide, mentre se sono completamente seccate non lo sono. Rabbì Yehudà porta una testimonianza riguardo la località di Karkom, dove le persone lasciavano i propri lulavim in eredità ai nipoti. Il Talmud ritiene che questa non sia una prova, poiché uno sha’at ha-dechaq non può rappresentare una prova. Il Rosh e il Raavad, citati dal Tur (Orach Chayim 649) recepiscono che la città di Karkom viveva in uno stato di emergenza perpetua riguardo i lulavim, e quanto facevano sarebbe stato proibito in qualsiasi altro luogo persino a posteriori. Il Bet Yosef tuttavia nota che il Raavad è del parere che ciò conduca a conseguenze assurde: come è possibile che in una situazione di emergenza si possa praticare una mitzwà, recitando a priori delle benedizioni, quando in una situazione non emergenziale non uscirebbe d’obbligo dal precetto nemmeno a posteriori? Il Raavad conclude che gli abitanti di Karkom intendevano non dimenticare del tutto la mitzwà piuttosto che metterla veramente in pratica! Questi esempi possono essere utili per comprendere le strade che in ambito halakhico vengono intraprese nei momenti di crisi, tenendo sempre conto del fatto che è quanto mai opportuno seguire le indicazioni fornite delle autorità rabbiniche, nella viva speranza di tornare quanto prima alla piena normalità e alla piena applicazione della halakhà in tutti i suoi aspetti.