La Torà questa settimana inizia con le norme della “פרה אדומה/Para Aduma/la vacca rossa”, le cui ceneri venivano utilizzate per la preparazione di acque speciali che purificavano coloro che entravano in contatto con un cadavere umano. Nel suo commento a questo brano, Rash”y (Rabbì Shelomò Ytzchaqy 1040-1105) cita Rabbì Moshe Hadarshan (tardo XI secolo) per spiegare il significato simbolico di questo precetto che, secondo lui, serviva a riparare il danno provocato dal peccato del vitello d’oro. Proprio come una madre è responsabile di ripulire dalle sporcizie fatte da suo figlio, allo stesso modo, la vacca rossa (madre) deve “rimettere a posto” il “disordine” provocato dal vitello d’oro (figlio).
Ma qual è, in effetti, la connessione tra vacca rossa e vitello d’oro? Perché, specificamente, il sacrificio di questo animale speciale restaura il danno di questo peccato?
Una possibile risposta a questa domanda, la suggerisce il maestro chassidico Rav Ben Tzion Halberstam di Bobov (1874-1941), pronipote del noto Divrè Chayym Halberstam di Sanz (1793–1876) e morto tragicamente a Leopoli, con il figlio minore e i suoi generi, durante il pogrom dei “Giorni di Petliura” (25-28 luglio 1941). Rav Ben Tzion, spiega che la costruzione e l’adorazione del vitello d’oro fu il risultato del disorientamento dei figli d’Israele a causa di un presunto ritardo di sei ore di Mosè, nel giorno in cui doveva tornare dalla cima del Monte Sinai. Il popolo si rivolse ad Aronne e dissero di Mosè “lo yadanu meh haya lo/non sappiamo cosa gli sia successo” (Esodo 32:1). Il fatto di aver calcolato male il tempo del previsto ritorno di Mosè ha determinato questo stato di mancanza di conoscenza. La sensazione di “Lo yadanu”, il non capire cosa stesse succedendo, li portò a rifiutare tutto ciò che Mosè aveva fatto e insegnato fino a quel momento. E il passo successivo fu quello di darsi una nuova guida, un nuovo modello di vita seguire.
Questo è, purtroppo, un fenomeno fin troppo comune anche ai nostri giorni.
Quando le persone hanno domande, quando c’è una mitzwà che non si capisce, o quando succede loro qualcosa per cui non si ha una spiegazione esaustiva, rifiutano non solo quello che non si capisce, ma anche tutto il resto.
L’espiazione per il danno del vitello d’oro, quello della non comprensione, spiega Rav Ben Tzion, è il Choq della vacca rossa, la quintessenza di una norma che non comprendiamo e forse non comprenderemo mai. I maestri insegnano che perfino il re Salomone, l’uomo più saggio che sia mai vissuto, non riusciva a spiegare come le ceneri di una vacca rossa possano togliere ad una persona lo status di impurità. Salomone conferma questo limite nel verso del Qohelet: “Ho detto diventerò saggio, ma la sapienza è ben lontana da me” (Ecclesiaste 7:23).
Il Choq, che si traduce normalmente con il termine “statuto”, una tipologia di precetto che dobbiamo accettare semplicemente perché ci è stata data dal Signore che è perfetto e impeccabile. Ripariamo per l’errore del vitello d’oro, cioè di rifiutare l’ebraismo quando non riusciamo a capire, osservando la norma della vacca rossa, uno statuto che non comprendiamo.
Questa è una lezione particolarmente importante oggi, nell’era del digitale, degli smartphone, della rete, dei social, di Google, e ora anche dell’AI, in un tempo in cui ci siamo abituati a trovare immediatamente risposte a tutto. Le persone si sentono potenziate dal fatto di avere così tante informazioni, vere o false chi siano non importa, accessibili in ogni momento e soprattutto veloci, che non ci impegnano il cervello. Ogni volta che abbiamo bisogno di informazioni, tiriamo fuori il telefono e troviamo ciò di cui abbiamo bisogno in pochi secondi. Questo facile accesso a così tante informazioni può farci sentire come se potessimo capire tutto.
E così, quando c’è qualcosa nell’ebraismo che sfugge alla nostra comprensione, che non ci sembra avere senso, siamo tentati di rifiutare cinicamente l’intero sistema. Ma la verità è che ci sono molte cose che non capiamo e non possiamo capire.
Tempo fa ho letto la derashà di un rav negli Stai Uniti, nella quale raccontava di una sua lezione a un gruppo di studenti su questo argomento. Uno studente disse che non era d’accordo e che non poteva accettare e osservare una mitzwà che non riusciva a comprendere. Il rav allora domandò allo studente se quando avesse un mal di testa, prendesse un analgesico. Lo studente rispose affermativamente e il rav allora domandò ancora se lui comprendesse come funzionasse un analgesico e come alleviasse il suo mal di testa. Lo studente rispose assolutamente di no. Il rav allora concluse: “Se puoi fidarti della parola dell’azienda farmaceutica secondo cui le pillole allevieranno il tuo dolore, allora puoi anche fidarti della nostra tradizione secondo cui osservare le mitzwoth, capite e no, portano solo benefici per noi”.
Per quante informazioni possiamo avere a portata di mano, che possono aiutarci a comprendere il mondo che ci circonda, ce ne sono ancora molte che ci fanno andare nel senso opposto e arrivare alla consapevolezza che non possiamo capire tutto.
La norma della vacca rossa, ci indica una via speciale, quella che ci porta a saper accettare umilmente i nostri limiti, di riconoscere che se c’è ancora tanto che non sappiamo nel mondo materiale, figuriamoci rispetto a quello divino, del quale non sappiamo assolutamente nulla, e non c’è internet che tenga per cercare risposte. Dobbiamo pertanto accettare e osservare incondizionatamente e con gioia tutte le mitwoth della Torà, confidando che, per alcune di esse, ci siano ottime ragioni per cui Dio le ha comandate anche se, al momento, non le capiamo.
Shabbat Shalom!