Acqui Terme In “Le nuove frontiere dei diritti umani: libertà di pensiero, di coscienza e di religione”
L’articolo 18 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, da solo o con altri, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo mediante l’insegnamento, le pratiche religiose, il culto e l’osservanza dei riti[1]”. Nella dichiarazione erano custodite le speranze dell’umanità dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, ma il rispetto di questi valori è sempre meno garantito in numerosissime aree del mondo.
Ci sono varie ragioni per cui è così, ma se volessimo individuare un motivo principale dovremmo rileggere con attenzione quanto scriveva Isaiah Berlin in Il potere delle idee: “se il pluralismo è una concezione valida, e il rispetto tra sistemi di valori non necessariamente ostili l’uno all’altro è possibile, allora ne conseguono la tolleranza e un orientamento liberale, come non avviene nel caso del monismo (una sola serie di valori è vera, tutte le altre sono false), e neppure nel caso del relativismo (i miei valori sono miei, i tuoi sono tuoi, e se ci scontriamo, ahimè, nessuno di noi può pretendere di avere ragione[2]”. Il monismo e il relativismo sono spettri, molto pericolosi, che aleggiano di continuo nelle società odierne, mentre i nostri sforzi dovrebbero essere indirizzati alla coltivazione di un sano pluralismo. La creazione di questo clima richiede un impegno costante da parte delle varie componenti della società, ed evidentemente le comunità religiose sono parte integrante, se non fondamentale, all’interno di questo quadro.
Un mondo diverso
Contrariamente a qualsiasi previsione, il XXI secolo si sta rivelando un periodo della storia umana in cui le tematiche religiose hanno acquisito, praticamente ad ogni livello, attenzione da parte degli studiosi e degli addetti ai lavori. Nello scorso secolo, per via dei repentini progressi scientifici, molti immaginavano che le società sarebbero state costruite su basi diverse rispetto al passato, e che la religione avrebbe avuto sempre meno spazio. I motivi di questa inaspettata inversione di tendenza, considerato che molti prevedevano piuttosto una scomparsa o un significativo indebolimento del fenomeno religioso, sono molto numerosi, e non è possibile in questa sede considerarli tutti. Indichiamo i principali:
a) La trasformazione del tessuto sociale, che ospita esperienze di fede tradizionalmente lontane; questo non deve essere considerato un unicum nella storia umana. In tal senso lo studio dell’esperienza americana può rivelarsi prezioso: “come è accaduto e continua ad accadere per la vita sociale (e politica) americana, anche per noi europei si fa innanzi il problema di stabilire il giusto rapporto fra la necessità di reperire un codice comune di convivenza e l’istanza della molteplicità etnico-culturale[3]”.
b) La trasformazione delle minoranze religiose tradizionalmente presenti sul territorio, per via dell’incontro con realtà di origine straniera.
c) L’aumento dei fenomeni migratori, che hanno portato le tematiche dell’accoglienza e dell’integrazione al centro del dibattito politico.
d) L’insorgere del terrorismo religioso su scala globale. Il contrasto dei fenomeni di radicalizzazione è divenuto un tema centrale nell’agenda degli stati europei.
e) La crescente autoreferenzialità delle argomentazioni dei singoli individui e dei gruppi: “troppo spesso nel mondo d’oggi i gruppi parlano al loro interno e non gli uni con gli altri… il proliferare dei canali di comunicazione… significa che al broadcast abbiamo sostituito il narrowcast[4]”.
f) La sempre maggiore settorialità della scienza, dell’economia e della politica, che non forniscono spiegazioni “di chi è perché siamo, del nostro posto nell’universo, del significato degli eventi che si susseguono intorno a noi… La scienza è diventata descrittiva, l’economia transnazionale e la politica sempre più gestionale. Ci dicono cosa e come, ma non perché[5]”.
Per via di tali cambiamenti il tema del pluralismo religioso è divenuto negli ultimi quindici anni uno dei principali assi di ricerca nel campo delle scienze sociali e umane nell’Unione Europea e non solo. La questione è tutt’altro che semplice: “Nonostante le raccomandazioni sopraggiunte da più parti e volte, almeno formalmente, ad ampliare il campo di spendibilità di quelle conoscenze che esplorano in senso lato la dimensione sociale e umana dell’esistenza, le Scienze delle religioni europee, e con esse la Storia delle religioni (italiana), stentano a trovare una collocazione propria, in grado di ‘ridare autorità’ in quanto chiavi di lettura e strumenti scientifici unanimemente riconosciuti, per un’interpretazione non ideologica (o ideologizzata) delle trasformazioni intercorse nella fisionomia, o meglio nella ‘demografia culturale e religiosa’ dell’Europa[6]”.
L’impatto di questa tematica è molto forte anche in altri numerosi settori del sapere, che vanno dalla sociologia, alle scienze politiche, alla geopolitica, alla giurisprudenza. Si tratta di un tema “complesso perché investe dimensioni diverse: quella intima e spirituale dell’individuo, quella collettiva, sociale e pubblica[7]”.
La percezione della presenza dell’altro, con il suo carico di timori, paure, speranze e opportunità, non è mai stata viva come in questi ultimi anni, anche se la compresenza di fedeli di diverse religioni in uno stesso territorio è un fenomeno molto diffuso in Europa da centinaia di anni, se non millenni. L’esigenza di assicurare l’esercizio della libertà religiosa, in situazioni che appartengono alla dimensione ordinaria della vita umana, come l’alimentazione, o a circostanze straordinarie, come la detenzione in carcere, è sempre più pressante per i governi. La garanzia della libertà religiosa è uno dei capisaldi della convivenza civile, “figura fra i principali elementi di identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è un bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici, gli scettici, gli indifferenti[8]”. In Italia lo sviluppo della libertà religiosa è stato lungo e tormentato, affrontando un percorso lento e difficile, che non può definirsi ancora completo.
Il professor Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, in una relazione del 1999 presso l’OSCE, sosteneva che “le minoranze religiose sono oggi più spesso percepite come un problema sociale che non come una risorsa”. Questa affermazione, pronunciata quasi vent’anni fa, è ancora pienamente attuale. Negli anni ’70 venne sviluppato nelle scienze sociali il nuovo concetto di “panico morale”, che ben si adatta alla situazione odierna, per spiegare come alcuni problemi sociali generino timori esagerati. Secondo Philip Jenkins, che ha coniato il concetto, “la reazione di panico non avviene a causa di una una valutazione razionale della scala di una particolare minaccia”, ma è “un risultato di timori non ben definiti che, alla fine, trovano un centro drammatico e semplificato in un singolo incidente o stereotipo, che quindi funge da simbolo visibile per la discussione e il dibattito”. Carmelo Vigna crede che il problema derivi dal sospetto “… il sospetto contiene già la decisione che l’altro sia una minaccia per me. Ne è propriamente l’effetto. L’esercizio del sospetto, in altri termini, rimanda ad una precomprensione in cui l’altro è vissuto come un nemico. Che l’altro sia un potenziale nemico è certamente vero, ma non è vero che lo sia di fatto[9]”. Questa è chiaramente la deriva che dobbiamo cercare di scongiurare, forti della consapevolezza che il lavoro da compiere è estremamente complesso e lungo, e che è indispensabile il serio impegno di tutti, liberandosi dai preconcetti e dai pregiudizi, per ottenere i risultati sperati.
Il pluralismo religioso
In questo quadro diviene fondamentale esplorare i rapporti sussistenti fra le varie fedi religiose. Emergono a livello teologico tre indirizzi fondamentali:
a) L’esclusivismo religioso; L’esclusivista crede che vi sia solo una fede vera, e che questa fede sia l’unica a poter dare la salvezza. Nel mondo cristiano questa visione è enunciata nell’espressione “Extra ecclesiam nulla salus”. Molti crimini nella storia umana sono stati realizzati, e continuano ad esserlo, in ossequio a questo enunciato.
b) L’inclusivismo religioso; secondo questo modello la propria religione è la più adatta per raggiungere la salvezza, ma non si tratta dell’unica via possibile.
c) Il pluralismo religioso. Secondo questo punto di vista le altre religioni sono ugualmente vere rispetto alla propria. Il filosofo della religione John Hick sostiene per esempio che le varie religioni sono differenti manifestazioni fenomeniche del medesimo noumeno. Pannikar è invece dell’idea che le varie religioni siano incommensurabili fra di loro.
L’esclusivismo religioso non è patrimonio esclusivo di un certo islamismo del giorno d’oggi, ma ha caratterizzato altre fedi nella storia, portando ad esempio alle devastanti guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa nel XVI e nel XVII secolo. E’ evidente che i religiosi devono concentrare i propri sforzi nel superare queste concezioni aberranti e distruttive, riconoscendo, senza ambiguità alcuna, che l’uccisione di innocenti su base religiosa è un’espressione del male radicale, da contrastare con ogni mezzo. La visione esclusivista del mondo, fondata sulla logica amico-nemico, ha prodotto la catastrofe dei totalitarismi del ‘900, che hanno portato all’umanità milioni di morti e infinito dolore. Nella storia umana abbiamo sperimentato il potere distruttivo della religione, molto meno le sue grandi potenzialità. Come scrive Rav Sacks, “la fede è fuoco, e in quanto tale può riscaldare, ma anche bruciare. E noi siamo i guardiani di questo fuoco[10]”.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito come il fenomeno del dialogo religioso si sia sviluppato. Non molto tempo fa sarebbe stato semplicemente impensabile. Non si deve sottovalutare il fatto che il Concilio Vaticano II e la dichiarazione Nostra Aetate hanno modificato sensibilmente la percezione da parte del mondo cattolico nei confronti delle altre religioni, in modo particolare quella ebraica. Si tratta di un cambiamento importante e tutto sommato recente, del quale forse non siamo ancora pienamente in grado di apprezzare la portata. Nella dichiarazione conciliare sono infatti contenuti i presupposti teorici per effettuare un vero e proprio cambiamento di paradigma, nel quale si ammette che altri possano professare la propria religione liberamente.
La tradizione ebraica nei secoli, per contrastare le idee esclusiviste, ha sviluppato un modello che insiste sull’origine comune dell’umanità e sulla duplicità del patto: uno, più particolare, è quello stipulato con il popolo ebraico, l’altro, più generale, e sancito dopo il diluvio universale, il patto noachide, investe l’intera umanità. La creazione del genere umano ad immagine divina incarna l’idea, poi espressa con forza dai profeti, della ricerca dell’armonia sociale all’interno del genere umano. Questo non significa, all’interno della tradizione ebraica, cercare di annullare o sminuire le differenze fra i vari gruppi. L’ebraismo non ha praticamente mai avuto, per ragioni storiche e numeriche, la tendenza universalistica che, con spaventose conseguenze, ha toccato a lungo la Chiesa e l’Islam politico. Il rapporto con l’altro, nelle sue numerosissime manifestazioni, è uno dei temi fondamentali della Bibbia. Una delle domande fondamentali che emerge in merito è legata al trattamento riservato nazioni idolatre dell’antichità, le quali non solo in quanto idolatre si opponevano agli ideali dell’ebraismo, ma soprattutto venivano associate con una irreparabile corruzione morale e pratiche barbare. Ma esistono tanti “altri” con i quali si devono intrattenere rapporti pacifici, contribuendo alla costruzione di una società giusta. Nei secoli successivi gli ebrei si sono trovati, non per loro volontà, a contatto solo con propri simili, spesso esclusi dalla società. Questo ha tuttavia portato una conseguenza molto importante, quello della valorizzazione del principio, espresso nel Talmud, dinà demalkutà dinà (TB Bavà Qamà 113 ab), secondo il quale “la legge del regno è legge”. Uno dei precetti noachidi, ai quali l’intera umanità è sottoposta, è quello di istituire un ordinamento civile e penale, e gli ebrei che sono sottoposti a tali ordinamenti sono tenuti a rispettarli[11]. Molti decisori moderni sono arrivati a incorporare all’interno della normativa ebraica aspetti derivati dai sistemi democratici in cui vivevano. Perché la questione di una creazione di una società civile ebraica moderna, che includesse i diversi gruppi, venisse nuovamente posta, si deve attendere la nascita dello stato di Israele nel 1948[12]. Negli Stati Uniti la tematica è ha trovato uno sviluppo molto differente, e la componente ebraica all’interno della popolazione è membra a pieno titolo di una società mista, che cerca di creare legami forti di solidarietà sociale all’interno della popolazione[13].
Questi temi dovrebbero essere tenuti in grande considerazione da ciascun gruppo religioso. Uno degli elementi più importanti è quello del riconoscimento reciproco: “L’elezione della reciprocità del riconoscere a regola universale può essere, allora, la chiave di volta (appunto come regola generalissima, e quindi come compito etico formale di ogni essere umano) per risolvere il problema della componibilità delle differenze[14]”. L’unica possibilità per concepire e mettere in pratica il pluralismo è quella in cui “la totalizzazione delle singole identità culturali viene rimossa; cioè, se si accede ad una qualche universalità di codice, che idealmente (in senso teorico e pratico) valga come regola di riferimento nella convivenza e soprattutto nelle eventuali, ma in fondo inevitabili, forme di conflittualità[15]”.
L’esercizio della religione, pur essendo pienamente consci del fatto che, traducendo i principi nella pratica, spesso possono esistere dei contrasti e degli attriti fra la legge religiosa e la legge dello stato, deve, per il bene di tutti, poter rientrare in un quadro legale. Il modello francese ha mostrato negli ultimi anni tutta la sua fragilità. Ma i religiosi devono comprendere di avere una grande responsabilità: soprattutto, se all’interno delle proprie dottrine religiose si rinvengono degli elementi contrari alla convivenza civile e al libero esercizio della religione da parte degli altri fedeli, deve essere avviata una seria e serrata discussione all’interno del proprio gruppo religioso, per mostrare quanto ciò sia inammissibile. All’interno della società attuale non può trovare posto chi nega il diritto agli altri di praticare la propria religione; “vi è una differenza fondamentale fra la pace assoluta dell’unità religiosa e la pace storica del compromesso e della coesistenza. Il tentativo di giungere ad ogni costo alla prima può a volte essere il più formidabile nemico della seconda[16]”.
Oggi non possiamo permetterci di abbassare la guardia: l’antisemitismo, che si era alimentato prima con l’antigiudaismo di matrice cristiana, poi con le ideologie razziste che hanno condotto alla Shoah, è riemerso negli ultimi anni in ampi settori delle nostre società, “attraverso dimenticanze interessate, ambigue distinzioni/confusioni politiche tra israeliani ed ebrei, nuovi vessilli antisemiti sbandierati su vaste aree del Medio Oriente[17]”. Gli episodi di antisemitismo e antisionismo che si registrano ad ogni livello, dalle strade, alle università, ai parlamenti, mostrano un trend sempre più preoccupante, rispetto al quale non si può rimanere insensibili.
Visto lo stato delle cose, nel mondo attuale il dialogo interreligioso può svolgere un ruolo fondamentale, “senza il contributo di tutte le religioni non ci sarà quell’evoluzione verso il rispetto dell’altro, non ci sarà la fine di quel concetto di ‘infedele’ che è l’anticamera dell’odio religioso, che è l’anticamera della violenza delle barbarie[18]”.
Ci sono questioni, delle quali spesso non ci si preoccupa, neppure all’interno dei singoli gruppi religiosi, da affrontare: il dialogo intrareligioso, vale a dire quello fra le varie correnti all’interno di una tradizione religiosa, e quello fra praticanti e non all’interno di ciascun gruppo di fedeli. In tali ambiti risulta fondamentale il lavoro che può svolgere la scuola, perché fra i suoi obiettivi primari dovrebbero esserci l’educazione alla tolleranza, al dialogo e alla risoluzione pacifica delle divergenze.
I gruppi religiosi hanno poi un’altra grave incombenza, da gestire assieme alle autorità, quella di prevenire e contrastare i fenomeni di radicalizzazione, anch’essi in preoccupante crescita.
La situazione italiana
Il legislatore, quando tratta tematiche religiose, trova davanti a sé numerosi modelli, ai cui estremi si trovano il laicismo francese, nel quale la religione viene considerata un fatto privato, e il pluralismo americano, in cui tutte le religioni sono ugualmente favorite.
In Italia, per via della sua storia e della presenza di una religione maggioritaria e ben radicata come quella cattolica, la situazione è molto differente. Questo stesso quadro, riscontrabile in varie altre nazioni, è un elemento imprescindibile per l’analisi e la ricerca di una soluzione equa al problema religioso. L’Italia si pone in una posizione mediana in cui “i diritti delle minoranze possono essere garantiti con il consenso generale solo quando sono chiaramente affermati i diritti della maggioranza[19]”. Non esiste una formula magica adatta per tutti in ogni tempo e luogo; ciascun intervento legislativo deve tenere conto della situazione che intende affrontare.
Quando si pensa alla situazione italiana non si può non pensare che appena ottant’anni fa vennero promulgate le leggi razziali. Nella Costituzione è percepibile la preoccupazione che tale orrore possa ripetersi.
Il legislatore spesso deve confrontarsi con il pensiero, le pratiche e le normative dei gruppi religiosi. Gli esempi più notevoli negli ultimi anni riguardano le questioni bioetiche, in modo particolare riguardo l’inizio e il fine vita, tematiche tenute in grande conto dalle dottrine religiose.
La Costituzione italiana riconosce in linea di principio la libertà di culto, così come emerge dagli articoli 3,7,8,19,20, che sanciscono il principio di non discriminazione su base religiosa, l’uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge, la libertà di professare il proprio credo, individualmente e collettivamente, di promuoverne la diffusione e di celebrarne i culti in pubblico e in privato, salvo che siano contrari al buon costume, e la proibizione di ogni forma di discriminazione o di imposizione di speciali oneri fiscali nei confronti di associazioni o istituzioni religiose basate sull’appartenenza confessionale. Tuttavia i principi costituzionali attendono di trovare piena attuazione. Allo stato attuale troviamo differenze significative fra le confessioni dotate di un’intesa con lo Stato e quelle che rientrano nei “culti ammessi”. Quest’ultimo impianto, quello del culto ammesso, è l’unica alternativa all’intesa in caso di mancata attivazione dello strumento legislativo o di fallimento delle trattative. Si presentano in questo ambito due ordini di problemi: a) quello della presenza di confessioni che mostrano difficoltà a rappresentarsi unitariamente; b) le richieste di riconoscimento da parte di associazioni non confessionali.
Il sistema attuale comporta la formazione di molti buchi, che sono fonte di non poche difficoltà, ad esempio il pieno riconoscimento del diritto di assistenza spirituale negli ospedali e nelle carceri. Altra nota dolente riguarda l’assenza di una regolamentazione sull’esercizio delle pratiche rituali, che può portare ad incomprensioni, tensioni sociali e attuazione delle pratiche in contrasto alle norme di legge vigenti.
La situazione torinese
La città di Torino si è rivelata negli ultimi anni una palestra importante per la costruzione di un modello di tavolo interreligioso, studiata con molto interesse nel resto d’Italia. Due sono le entità degne di nota in città, il Comitato Interfedi, al quale aderiscono numerosissime fedi religiose presenti in città, nato nel 2006 in occasione delle Olimpiadi invernali per iniziativa del sindaco Valentino Castellani, e il comitato Noi siamo con Voi, nato nel 2015 in riposta al fenomeno, che cresce in modo preoccupante, delle persecuzioni religiose nel mondo, che si occupa, nelle iniziative che promuove, di questioni attuali nel dibattito civile. Quest’ultimo comitato unisce a realtà religiose un’ampia rappresentanza della società civile, ed è un interlocutore privilegiato del Comitato per i Diritti umani della Regione Piemonte.
Conclusione
Scriveva Riccardo Di Segni, parlando del dialogo fra le religioni monoteiste, ma il suo discorso può essere di certo allargato a tutte le fedi: “Il mondo non ha bisogno di contemplare le nostre ostilità e le questioni ideologiche che ci dividono, non è questo lo spettacolo che dobbiamo offrire all’umanità. Dobbiamo, al contrario, offrire la nostra testimonianza coerente e restituire al mondo il senso del sacro, della giustizia, della solidarietà, che costituiscono gli elementi comuni e fondanti dei nostri culti: ebraico, cristiano, islamico. Il dialogo tra le religioni e le civiltà è la grande sfida che noi tutti dobbiamo raccogliere ed esso deve compiersi senza che vengano confuse le identità. Ciascuno deve seguire la propria strada, nel rispetto delle differenze, ma insieme, per dare, insieme, nella diversità, una testimonianza al mondo[20]”. Scriveva alcuni anni fa Rav Sacks: “Se la religione non fa parte della soluzione, farà certamente parte del problema[21]”. In un testo, intitolato Note sul pregiudizio Isaiah Berlin spiegava quanto una certa visione del mondo potesse essere nefasta per l’umanità: “ Poche cose hanno fatto più danno della convinzione, individuale o di gruppo (o di tribù, stato, nazione, chiesa) di essere i soli a possedere la verità… e che quelli diversi da noi non sono semplicemente in errore, ma cattivi o pazzi, e bisogna tenerli a freno o sopprimerli… Questo dà la certezza che ci sia una e una sola meta per la propria nazione o chiesa o per l’intera umanità, e che essa valga qualsiasi ammontare di sofferenza (soprattutto di altre persone) perché sia raggiunta – “per un oceano di sangue al Regno dell’Amore” disse Robespierre… ma nessun Regno dell’Amore ne è uscito, o avrebbe potuto uscirne… il compromesso con gente per cui non hai simpatia o che non capisci affatto è indispensabile per qualsiasi società decente[22]”.
[1] Il testo è ripreso da A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma-Bari 2004, p. 127.
[2] I. Berlin, Il potere delle idee, Milano 2003, p. 39.
[3] C. Vigna e S. Zamagni (a cura di), Multiculturalismo e identità, Milano 2002, p. VII.
[4] J. Sacks, La dignità della differenza, Milano 2004, p. 10.
[5] J. Sacks, cit., pp. 51-52.
[6] A. Bernardo, Pluralismo religioso, Storia delle religioni e progetti europei, Studi e Materiali di Storia delle Religioni 83/2 (2017), p. 586.
[7] P. Grasso, atti del convegno Libertà religiosa, diritti umani, globalizzazione, Roma 2017, p. 13.
[8] Sentenza del 1993 citata da P. Grasso, cit. p. 14.
[9] C. Vigna e S. Zamagni, cit. p. 7.
[10] J. Sacks, cit. pp. 19-20.
[11] S. Last Stone, A jewish perspective on human rights, Society 41,2, p. 19.
[12] S. Last Stone, cit., p. 17.
[13] S. Last Stone, cit., pp. 17-18.
[14] C. Vigna e S. Zamagni (a cura di), cit., p. VIII.
[15] C. Vigna e S. Zamagni (a cura di), cit. p. 10.
[16] J Sacks, cit., p. 18.
[17] C. Cardia, atti del convegno Libertà religiosa, diritti umani, globalizzazione, cit., pag. 26.
[18] C. Cardia, cit., p. 33.
[19] M. Introvigne, Multiculturalismo e religioni, consultabile presso la pagina dell’autore nel sito academia.edu, p. 84.
[20] G. Ravasi (a cura di) Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Milano 2004, pp. 82-83.
[21] J. Sacks, cit., p. 18.
[22] I Berlin, Libertà, Milano 2005, pp. 351-352.