AlefBet di Daria Gorodisky
Alon Zingman ha dovuto ridurre la troupe al minimo indispensabile e riprendere gli esterni da una finestra, mentre, come ha scritto il settimanale statunitense «Forward», gli attori ricevevano le sue istruzioni tramite auricolare. Perché bisogna essere molto discreti se si sceglie come location Mea Shearim, il quartiere di Gerusalemme regno degli haredim, gli ebrei più osservanti.
Comunque, alla fine il regista ce l’ha fatta a realizzare le 12 puntate di una serie televisiva che ha per soggetto proprio loro, gli ultraortodossi. Il piccolo e il grande schermo, così come la narrativa ebraica, si sono spesso occupati di questo tema; a maggior ragione oggi, con il numero delle famiglie ultraortodosse in costante aumento. Ma Shtisel, titolo che prende il nome della famiglia protagonista, lo affronta in modo nuovo: entra nella quotidianità dei personaggi, racconta i loro problemi di lavoro, amore, rapporti padre-figli e solitudine, i loro tic, il loro umorismo. Un approccio quasi da cronaca, che il sabato sera ha incollato il pubblico israeliano laico e credente alla tv satellitare Yes: la serie, con sottotitoli in inglese, sarà distribuita anche in Nord America.
Nella fiction non ci sono né critica né nostalgia. Insomma quella modalità che sul versante letterario richiama, ad esempio, più i libri di Naomi Ragen che non quelli di Judith Rotem. Entrambe hanno acceso una luce sull’universo chiuso e rigoroso del ebraismo ultraortodosso, e in particolare sulla condizione delle sue donne. Però la Ragen, tradotta in italiano da Newton Compton, lascia che sia il lettore a giudicare.
Anche nel suo ultimo romanzo, The Sisters Weiss (appena uscito in inglese per St. Martin’s Press), c’è comprensione per tutte e due le sorelle della storia, per quella che resta nella comunità religiosa radicale e per quella che ne viene allontanata. Invece, basta leggere Lo strappo (Feltrinelli) per capire che il parere implicito della Rotem è ben netto. E basterebbe la sua biografia a spiegarlo: ungherese, arrivata in Israele prima della fondazione dello Stato, giovanissima ha sposato un haredi. Ha lavorato anni per mantenere lui, ovviamente dedito solo allo studio dei testi sacri, e i loro sette figli; ma nel 1983 ha rotto i lacci che la stritolavano, divorziando dal marito e da quel mondo. E ha iniziato, accompagnata dai figli, una vita da donna indipendente.
Corriere della Sera – la Lettura 17.11.13