Tratto principalmente dall’introduzione a Peninè halakhah, Mo’adim, di Rav Eli’ezer Melamed e Nit’è Gavriel, Yom tov, vol. 1 di Rav Gavriel Zinner
a) Lo Shabbat è la fonte della santità nel tempo. La sua santità è predeterminata e fissata nel tempo. Dalla santità del Sabato discende la santità dei mo’adim. Questa dinamica è rilevabile anche quando si parla dello studio. Per molti aspetti infatti le regole di Yom tov sono correlate a quelle dello Shabbat. A livello macroscopico la differenza fondamentale fra le halakhot di Shabbat e quelle di Yom Tov consiste nel permesso di preparare il cibo di Yom tov, così come emerge da quanto i chakhamim affermano in massekhet Meghillah (6b) “non c’è differenza fra Yom tov e Shabbat se non okhel nefesh (i lavori necessari per la preparazione del cibo)”.
L’affermazione della ghemarà deriva da un verso esplicito nella parashah di Bò (Shemot 12,16): “Nessun lavoro si farà in questi due giorni (i giorni di Mo’ed di Pesach) ad eccezione di ciò che è necessario per il cibo di ognuno: quello solamente si potrà fare”. Per conoscere adeguatamente le regole di Yom Tov è indispensabile pertanto conoscere preliminarmente le regole dello Shabbat. I chakhamim, parlando delle regole di Shabbat, hanno affermato nel trattato di Chagigah (10a) che sono come dei monti appesi ad un capello. Lo stesso si può affermare delle regole di Yom tov, come scrive il Sefer ha-chinukh (mitzwah 323): “le regole di Yom Tov sono paragonabili alle regole delle disposizioni rabbiniche di Shabbat, per le quali non devi fare dei paragoni e ricavare una cosa dall’altra, poiché a volte trovi che i Maestri di benedetta memoria permettono di compiere un lavoro pesante sotto un certo punto di vista, e a volte si mostrano rigorosi per un lavoro più leggero sotto un altro punto di vista”. Spesso da differenze minime, e apparentemente trascurabili, emergono conseguenze significative per la halakhah; per questo è necessario affidarsi a quanto scrivono i poseqim su ogni singolo caso.
La particolarità dei giorni di Mo’ed risiede nel fatto che la santità si manifesta sia nel corpo che nello spirito, e quindi nei pasti festivi e nello studio della Torah. I chakhamim hanno tratto questo principio fondamentale, a partire dai versi della Torah, nel trattato di Pesachim (68b), stabilendo che il proprio tempo deve essere diviso equamente durante le feste, metà per voi, metà per D.
Secondo il Sefer ha-chinukh il motivo per cui il lavoro è vietato di Yom tov è quello di permettere al popolo ebraico di ricordarsi dei grandi miracoli di cui ha beneficiato. Se fosse stato permesso lavorare, ciascuno si sarebbe dedicato ai propri affari, e l’onore e la gioia dei giorni festivi sarebbero stati dimenticati. Attraverso il divieto di lavorare invece si ha l’opportunità di riunirsi nei luoghi di culto e di studio per ascoltare parole di Torah.
b) La gioia dei mo’adim è superiore a quella dello Shabbat, poiché in essi la santità di Israele è maggiormente manifesta, dal momento che è Israele in questo caso a consacrare il tempo, e l’idea stessa dei mo’adim deriva dalla relazione che si instaura fra D. e Israele, attraverso l’uscita dall’Egitto, il dono della Torah, e la permanenza del popolo ebraico nel deserto. Altro elemento distintivo dei mo’adim è quello dell’unità e della fratellanza all’interno del popolo di Israele, anzitutto nella sfera familiare, secondo l’uso ebraico di celebrare le feste in famiglia. Il cerchio si allarga poi a coloro che sono sfavoriti all’interno della società, che sono oggetto della mitzwah esplicita della Torah di rallegrarli durante le feste. Quando c’era il Santuario il fatto era ancora più evidente, poiché tutto il popolo di Israele era coinvolto nel pellegrinaggio a Gerusalemme, e il sentimento di amicizia era ulteriormente accentuato.
c) In generale Rav Melamed in Peninè halakhah riporta prima i principi generali della regole studiate, per poi rivolgersi ai casi particolari. Anche nella esposizione della halakhah vengono prima presentati gli aspetti accettati da tutti, e poi le differenziazioni fra le varie impostazioni, per mostrare come le discussioni rabbiniche non siano radicali, come può a prima vista sembrare. Ad esempio, come verrà illustrato in seguito, c’è una discussione su lavori agricoli come la mietitura e la macinazione. Ad una prima disamina sembra che alcuni rishonim considerino questi lavori vietati dalla Torah, e altri li considerino vietati per disposizione rabbinica. In realtà queste operazioni sono vietate dalla Torah, dal momento che normalmente si tratta di lavori effettuati per molti giorni, compresi quelli feriali. Il Talmud Yerushalmi determina quali siano i lavori vietati dalla vicinanza del verso che consente la preparazione del cibo di Yom tov all’ espressione (Shemot 12,17) “Ushmartem et ha-matzot”: le azioni consentite di Yom tov, e proibite invece di Shabbat sono quelle necessarie per la preparazione delle matzot, a partire quindi dall’impastare (lishah). La discussione fra i rishonim sui lavori agricoli riguarda il caso, abbastanza raro, in cui queste azioni siano limitate ai soli giorni festivi.
d) Nella stesura delle halakhot Rav Melamed si sforza di portare la fonte principale delle regole nella ghemarà, nel Rambam, o nello Shulchan ‘Arukh. Per le questioni nuove, derivanti dalle condizioni di vita moderne, viene seguita la linea decisionale tradizionale, basandosi sulla maggioranza (non dei libri, ma del numero e dell’impostazione dei poseqim), e sul principio generale secondo il quale, quando c’è una discussione o un dubbio, per le questioni derivanti dalla Torah si è rigorosi, e per quelle rabbiniche si è facilitanti. Preliminarmente bisogna ricordare quanto i chakhamim dicono aprendo il trattato di Betzah (2a): “visto che Yom tov ha criteri più leggeri, viene a disprezzarlo”. In realtà il rischio di commettere degli errori è notevole, in modo particolare ai nostri tempi, perché i progressi della tecnica pongono delle questioni halakhiche, che devono essere risolte rivolgendosi a quanto scritto dai poseqim, consapevoli del fatto che il paragone è una delle operazioni fra le più complicate nella halakhah, soprattutto per le generazioni più recenti.
e) Per via dell’esilio e della dispersione del popolo ebraico sono nati differenti usi nelle varie ‘edot, ciascun gruppo in base alle indicazioni dei grandi studiosi che lo guidavano. Queste tradizioni, che hanno una valenza halachica, devono essere preservate. Questi usi locali vengono ricordati in Peninè Halakhah, e per questo lo studio di questo testo si adatta a studiosi di tutte le provenienze. Molto spesso si tende ad attribuire a differenze di usanze i pronunciamenti dei Maestri più recenti, ma in molti casi non è così. Le tradizioni nord-africana e yemenita spesso vengono assimilate a quella degli altri sefarditi, ma in queste tradizioni sono presenti posizioni differenti su questioni specifiche, spesso non menzionate nei testi di halakhah. f) Le regole di chol ha-mo’ed sono fra le più complesse, e proprio per via della loro complessità pochi vi si dedicano. I due testi principali che affrontano queste halakhot sono Shemirat shabbat kehilkhatah, che nell’ultima parte del secondo volume dedica vari capitoli al tema, e Chol ha-mo’ed kehilkhatò. La principale mancanza di questi testi è dovuta probabilmente proprio all’abbondanza di particolari, che a volte non mostra adeguatamente la linea seguita. Rav Melamed nel suo libro si sforza di mostrare i principi generali e a partire da quelli di mostrare i particolari delle regole