Torino 15.1.2020 – XXXI giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra Cattolici ed Ebrei – Cantico dei Cantici
Ariel Di Porto
Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici, prende il nome dalle sue parole iniziali. A livello letterale il testo si presenta secondo alcuni come un racconto coerente, per altri come una raccolta di canti d’amore (Cherlow 2012) Nel primo verso troviamo l’attribuzione al re Salomone, accolta dalla tradizione rabbinica, che nel Talmud (TB Bavà Batrà 15a) però attribuisce la stesura definitiva al re Chizqihau e alla sua cerchia. Nel canone ebraico il Cantico dei cantici fa parte delle cinque meghillot, che sono nei Ketuvim, in quello protestante e cattolico romano segue i Proverbi e l’Ecclesiaste, gli altri libri attribuiti dalla tradizione ebraica a Salomone, che li compose nelle diverse fasi della sua vita, il Cantico a vent’anni, i Proverbi a quaranta e l’Ecclesiaste a sessanta.
Il libro consta di otto capitoli e 117 versetti. Dante Lattes lo considera uno dei libri biblici più originali e più poetici (Lattes 1965, 5). L’amore cantato è, “nonostante la sua libera manifestazione, casto e puro, realistico e umano, spontaneo e naturale” (Lattes 1965, 6).
Il Cantico dei Cantici si distingue dagli altri libri biblici, dal momento che non contiene alcuna menzione del Nome divino, caratteristica condivisa con il libro di Ester, e più in generale, almeno attenendosi al significato letterale del testo, alcun sentimento religioso o tematica teologica. La distanza rispetto alla meghillà di Ester è ancora più spiccata, dal momento che in Shir ha-shirim non viene menzionato neppure il popolo ebraico. Abbondano le descrizioni della natura, più che in ogni altro libro del Tanakh. Le atmosfere descritte forniscono al lettore una sensazione di tranquillità, propria di un periodo di prosperità economica e di assenza di minacce esterne. Circa la canonizzazione del testo, non si deve pensare semplicisticamente che si svoglia sdoganare per mezzo di esso il tema della sessualità, dal momento che varie storie bibliche, come quelle delle figlie di Lot, Tamar e Rut mostrano come questo argomento sia già ampiamente legittimato nell’orizzonte biblico (vedi Giuliani 2008, 10-11).
Il testo presenta notevoli difficoltà. S. D. Luzzatto, che riconosce ampiamente le zone grige del Cantico, sottolineandone le difficoltà di traduzione e resa tematica, per via delle allusioni ignote e di bellezze “non per i nostri tempi”, si diceva atterrito; non si spiegava che razza d’amore fosse quello che descrive e canta, né di che condizione fossero gli amanti e in quale stadio fosse il loro amore, tanto da affermare: “non ne capisco niente”, e di fatto non occuparsene in modo particolare, riconoscendo l’impossibilità di eliminare varie incognite, cosicché “questo astrusissimo canto possa dirsi appianato” (vedi Lattes 1965 ,12).
Gli interpreti del Cantico si dividono un due grossi schieramenti: i mistici e i razionalisti. Se i primi vengono accusati di individuare nel testo qualcosa che non c’è, i secondi, spesso e volentieri costruiscono degli intrecci non meno fantasiosi (Chouraqui 1980,25).
La varietà e l’intensità dei sentimenti che si manifestano attraverso l’amore fra l’uomo e la donna sono apparsi ai Maestri d’ Israele come l’immagine più pregnante del legame tra il popolo ebraico e l’Eterno e, in questa prospettiva, è stato inserito nel canone biblico (Momigliano 2019, 10). L’allegoria del sentimento amoroso e del legame fra i coniugi è stata ampiamente utilizzata dai profeti per rappresentare il rapporto fra D. e il popolo di Israele (Momigliano 2019, 10-11).
Canonicità del testo
Nella Mishnà, nel trattato Yadayim, troviamo una discussione sul carattere sacro del Cantico dei Cantici e sulla sua inclusione nel canone biblico:
Tutte le Sacre Scritture rendono impure le mani. Il Cantico dei Cantici e l’Ecclesiaste rendono impure le mani. Rabbì Jehudà dice: il Cantico dei Cantici rende impure le mani, riguardo all’Ecclesiaste vi è discussione. Rabbì Josè dice: l’Ecclesiaste non rende impure le mani, riguardo al Cantico dei Cantici vi è discussione. Rabbì Simeone dice: l’Ecclesiaste è una delle cose su cui la scuola di Shammay facilita mentre la scuola di Hillel è più rigida. Disse Rabbì Shim’on ben Azai: ho per tradizione dalla bocca dei settantadue anziani, nel giorno in cui insediarono Rabbì El’azar ben ‘Azaryà quale capo del Sinedrio, che il Cantico dei Cantici e l’Ecclesiaste rendono impure le mani. Disse allora Rabbì ‘Akivà: Lungi da noi! Nessuno si oppose in Israele dicendo che il Cantico dei Cantici non rende impure le mani, perché il mondo intero non ha tanto valore quanto il giorno in cui fu dato ad Israele il Cantico dei Cantici, perché tutti gli scritti sacri sono santi ma il Cantico dei Cantici è di massima santità; se ci fu discussione, questa riguardò solo l’Ecclesiaste. Rabbì Jochannan ben Jehoshua, figlio del suocero di Rabbì Akivà disse: la loro disputa era conforme a quanto detto da Ben Azai e così decisero. (traduzione tratta da Momigliano 2019, 11-12).
La citazione dellamishnà sembra contraddire i più comuni convincimenti del buon senso, dal momento che ci saremmo potuti ragionevolmente aspettare che i Ketuvim, cronologicamente e logicamente, precedano la tradizione orale, che tuttalpiù può avere il ruolo di commentarli (Luzatto 1999, 20, che riporta un’idea di Y. Leibowitz). Per comprendere Shir ha-shirim nei testi canonici, R. Aqivà aveva messo in campo tutta la propria autorità, dichiarando che se tutti i Ketuvim sono qodesh, Shir ha-shirim è qodesh ha-qodashim, il Santissimo, richiamando la parte più sacra del Bet ha-miqdash. Tuttavia R. Aqivà non esplicita il motivo della sua affermazione (Luzzatto 1999, 21). Concentrandoci di più sulla figura di R. Aqivà sarà tuttavia possibile comprendere meglio la sua posizione. Il metodo esegetico di R. Aqivà difatti si contrapponeva a quello di R. Yishma’el, che sosteneva una lettura piana e letterale dei testi. R. Aqivà preferiva un approccio che si rapportava al testo a differenti livelli, arrivando in determinate circostanze a conclusioni contraddittorie, valorizzando al massimo ciascun elemento all’interno del testo. Lo stesso Moshè così come è narrato nel trattato di Menachot (29b) stenterà a riconoscere la propria Torà in quella di R. Aqivà, che si richiamava, insegnando all’illustre predecessore (vedi Luzzatto 1999, 26-28). L’equivalenza Shir ha-shirim/qodesh ha-qodashim è quindi più di un gioco di parole: come verrà poi affermato esplicitamente dal Midrash Shir ha-shirim rabbà il Cantico è “il migliore, il più eccellente e il più bello fra i canti”.
La lettura tradizionale di Shir ha-Shirim
I Maestri giudicano con particolare severità chi intende letteralmente il testo e utilizza dei passi di Shir ha-shirim come canti nuziali, tanto da ritenere che non abbia parte nel mondo futuro (Toseftà 12,10). Questa attestazione può essere indicativa di un uso del libro in questo contesto in un determinato momento storico (Walfish 2018).
I Maestri del Midrash hanno visto nella figura dell’amata una rappresentazione del popolo ebraico e nelle parole dell’amato l’espressione delle parole divine (Momigliano 2019, 12). Non esagereremo dicendo che agli occhi dei Maestri Shir ha-shirim è “il libro dell’Apocalisse, vale a dire delle Rivelazioni degli ultimi destini di Israele e del mondo (Chouraqui 1980, 29). Lo Zohar riassume così questi temi:
Il Cantico costituisce il riassunto di tutta la Bibbia e di tutta l’opera della creazione, il riassunto del mistero dei Patriarchi, della schiavitù d’Egitto e della liberazione d’Israele, il mistero del Cantico intonato al passaggio del Mar Rosso; è il riassunto del Decalogo e della Teofania del Sinai, di tutto ciò che è accaduto in Israele durante il suo soggiorno nel deserto fino all’entrata nella Terra promessa e fino alla costruzione del Tempio. E’ la sintesi del nome sacro di lassù. E’ la sintesi della dispersione d’Israele tra le nazioni e della sua liberazione. E’ la sintesi della risurrezione dei morti e degli eventi che si verificheranno fino al giorno chiamato Sabato del Signore (traduzione tratta da Chouraqui 1980, 30).
I commenti a Shir ha-Shirim
Shir ha-shirim Rabbà adotta in modo imponente l’interpretazione allegorica del testo. Secondo alcuni studiosi questo genere di interpretazione, che elimina le difficoltà di ordine morale che risultano dal senso letterale del testo, è alla base della sua canonizzazione (vedi Kedari 2016, 28 e n. 4). All’inizio dell’opera vengono riferite quattro opinioni deiMaestri sul quadro di riferimento temporale del libro: il Mar Rosso, il Sinai, l’Ohel Mo’ed, il Bet ha-miqdash di Salomone. Ciò che accomuna queste letture è l’individuazione dei protagonisti in D. e il popolo ebraico. Una visione differente, che si trova attestata in altre fonti tannaitiche, viene attribuita a R. Yehudà bar Il’ay: l’amata del Signore non rappresenta il popolo ebraico, ma la Torà (Kedari 2002, 391). Altre due raccolte midrashiche posteriori su Shir ha-shirim sono il Midrash Shir ha-shirim e Shir ha-shirim zutà (Kedari 2016, 27, n.3).
L’interpretazione midrashica è stata ampiamente utilizzata anche nel Targum, la parafrasi aramaica, che sviluppa l’interpretazione allegorica sistematicamente, leggendo il Cantico come una descrizione del rapporto del popolo ebraico con l’Eterno, dai tempi più antichi sino ai tempi messianici (Momigliano 2019, 14-15). In questo senso il Cantico è un concentrato della Bibbia ebraica considerata nel suo complesso, tanto da meritare l’uso di espressioni che i Maestri dedicano alla sola Torà, come kayom shenitenà bò Shir ha-shirim. Il Cantico dai cantici è stato dato così come è stata data la Torà sul Sinai (Marcus 1993, 267).
Le letture mistiche del Cantico derivano dalle descrizioni fisiche e amorose una descrizione dell’anima umana che vuole avvicinarsi a D. (elemento peraltro presente nella lettura di Origene del Cantico), addentrandosi nel Pardes e conoscendo il ma’asè Merkavà (Kedari 2016, 28-29).
Il commento di Rashì a Shir ha-Shirim si presenta come molto diverso rispetto al commento alla Torà, nel quale Rashì dichiara l’intenzione di spiegare solamente il senso piano del testo (peshutò shel miqrà), riportando quelle aggadot che rendono coerente il testo (commento a Gn.. 3, 8). La sua fonte principale è rappresentata dal Targum, che adotta un’impostazione cronologica coerente che ripercorre il rapporto fra D. e il popolo ebraico, considerando il libro come un tutt’uno. Con ogni probabilità Rashì intende con il suo commento reagire alle letture cristiane del Cantico (Marcus 1993, 267). In questo modo inoltre viene scongiurata l’idea di considerare il Cantico dei cantici come un’antologia di testi amorosi, nella quale ciascun canto può essere letto singolarmente. Al contrario secondo Rashì nel Cantico dei cantici c’è un’architettura ben precisa, con un inizio, un mezzo e una fine (Marcus 1993, 267). Commentando Shir ha-Shirim, Rashì si propone di sistemare, verso dopo verso, i midrashim dei Maestri. Il re Salomone infatti aveva visto gli esili e le distruzioni che avrebbero colpito il popolo di Israele sino alla redenzione finale, e li paragona ad una donna, apparentemente abbandonata dal marito, che ricorda l’amore giovanile, riconoscendo le proprie colpe, e al marito, che soffre per la sofferenza della donna, ricordandone la bellezza e la rettitudine e afferma di non volerla ripudiare, e anzi che è ancora sua moglie e tornerà da lei. In questa circostanza Rashì, proprio per evidenziare la natura straordinaria del testo, scrive una introduzione al libro.
Lo stesso Avraham ibn ‘Ezrà, che si rivolge costantemente al senso piano del testo, per il Cantico dei Cantici opera un’eccezione, interpretando il testo tre volte, per spiegare i termini difficili, il senso piano del testo, e riportare imidrashim sul libro. Infatti nello Shir ha-shirim è celato un segreto, che va dal tempo di Avraham sino alla venuta del Mashiach.
Se gli interpreti tradizionali si sono avvalsi dell’interpretazione allegorica, più problematica la questione per i filosofi ebrei medievali, principalmente aristotelici, che avevano una visione astratta, austera e intellettualistica dell’ebraismo. Nella lettura del Cantico si ponevano due problemi, uno rispetto al senso piano del testo, e l’altro rispetto all’interpretazione allegorica, che spesso conduceva ad una antropomorfizzazione di D. (Kellner 2010, 121-122). Maimonide, sebbene non abbia mai scritto un commentario al Cantico, si rapporta a questo libro in vari passi delle sue opere. La citazione più esplicita, e maggiormente significativa per comprendere la sua idea sul Cantico, è quella che troviamo nel Mishnè Torà, nel decimo capitolo delle Regole sul pentimento, quando definisce l’amore per D. come una vera e propria malattia d’amore. Concludendo Maimonide afferma che tutto il Cantico è un’allegoria su tale questione. Scrivendo così Maimonide opera un passaggio importante, perché il protagonista nell’allegoria non è più indistintamente il popolo ebraico, ma solo quei pochi individui che provano questo sentimento estremo (vedi Kellner 2010, 139-141). Nella sua introduzione al commentario al Cantico dei cantici il Ralbag per esempio illustra quella che secondo lui è la struttura del libro: viene evidenziata anzitutto la necessità di superare gli impedimenti relativi all’imperfezione morale, poi quelli relativi all’immaginazione e all’opinione, di modo tale da essere in grado di distinguere il vero dal falso; nella seconda parte viene preso in considerazione lo studio delle varie scienze, della matematica, della fisica e della metafisica (Kellner 2010, 127).
In tempi più recenti Rosenzweig e Soloveitchik si sono rapportati al Cantico dei Cantici con modalità sorprendentemente simili: in modo particolare la loro attenzione è stata attratta dalla relazione fra amore e morte, con la vittoria del primo (Hyiatt, 4). Nel pensiero di Rosenzweig il Cantico rappresenta il nucleo della rivelazione, fatto notevole dal momento che la redenzione si trova al centro della triade creazione-rivelazione-redenzione, tanto cara a Rosenzweig (vedi Giuliani 2008, 18).
Shir ha-shirim nella liturgia
Shir ha-shirim viene letto durante la festa di Pesach. Questa usanza è invalsa nel Medioevo, ed è dovuta al fatto che la festa di Pesach cade sempre in primavera, che è la stagione in cui si verificano gli eventi descritti nel libro. Inoltre la festa di Pesach è la primavera di Israele in quanto nazione (Steinsaltz 2019, 2).
Andrè Chouraqui porta una toccante testimonianza sulla lettura del Cantico in sinagoga nella preghiera del venerdì sera:
Da bambino, ogni venerdì, rimanevo penetrato dal fervore che riempiva la nostra bella sinagoga di Ain-Témouchent all’ufficiatura della sera, quando questa volgeva alla recita del Cantico, introduttrice delle liturgie del Sabato. Gli uomini, le donne, i bambini, ne cantavano il testo o lo ascoltavano come in estasi. E si trattava di un testo sacrale, di un canto trascendente. Mai nessuno si sarebbe sognato che esso avesse potuto contenere in alcun modo qualcosa di osceno, di triviale o semplicemente di carnale. I fedeli erano anime semplici, artigiani, commercianti, operai, agricoltori, a cui si mescolavano taluni “intellettuali” usciti di fresco dalle Università francesi. Tutti cantavano con amore questo poema d’amore, senza che nessuno andasse mai a pensare di doverlo censurare o espurgare.
Bibliografia-Sitografia
Cherlow 2012 Y. Cherlow, Mavò leShir ha-shirim, https://www.youtube.com/watch?v=D7mry4kOTa4.
Chouraqui 1980 A. Chouraqui, Il Cantico dei Cantici e introduzione ai Salmi, Roma 1980.
Giuliani 2008 M. Giuliani, Eros in esilio. Letture teologiche-politiche del “Cantico dei Cantici”, Milano 2008.
Hyiatt D. Hyiatt, The Triumph of Eros in Rosenzweig’s and Soloveitchik’s treatments of Song of Songs: A Lotve that Is Strong as Death, reperibile nella pagina academia.edu dell’autore.
Kedari 2002 T. Kedari, Tokhò ratzuf ahavà: ‘al ha-Torà chere’ià bidrashot tannaim leShir ha-shirim, Tarbiz 71, 3-4, pp. 391-404.
Kedari 2016 T. Kedari, Shirà ufishrà: mabbat chadash ‘al derashot chaza”l leShir ha-shirim, Mechqarè Yerushalayim besifrut ‘ivrit 28, pp. 27-54.
Kellner 2010 M. Kellner, Torah in the Observatory: Gersonides, Maimonides, Song of Songs, Boston 2010.
Lattes 1965 D. Lattes, Il Cantico dei Cantici del Re Salomone, Roma 1965.
Luzzatto 1999 A. Luzzatto, Una lettura ebraica del Cantico dei Cantici, Firenze 1999.
Marcus 1993 I. Marcus, The “Song of Songs” in German Hasidism and the School of Rashi, in G. Sed-Rajna (a cura di), Rashi 1040-1990, Parigi 1993, pp. 265-272.
Momigliano 2019 G. Momigliano, Shir ha-Shirim – Cantico dei cantici, in AA.VV. Sussidio per la XXXI giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra Cattolici ed Ebrei, pp. 10-21.
Steinsaltz 2019 A, Steinsaltz, The Steinsaltz Megillot. Megillat Shir ha-shirimm Gerusalemme 2019.
Walfish 2018 B. D. Walfish, Song of Songs: The Emergence of Peshat Interpretation, https://www.thetorah.com/article/song-of-songs-the-emergence-of-peshat-interpretation.