Gli inserti di Alef Dac – Torà e Magia
Il gesto magico
«Non vi è divinazione in Giacobbe né magia in Israele»
I miracoli nel pensiero dei maestri
Il cammino mistico è denso di rischi
Un miracolo può convincere?
Tre parole chiave
Per saperne di più
Una comunità siede e mangia (J. Soloveitchik)
Dubbi e fede nella mistica ebraica (M. Monheit)
La risposta del brigante (G. Limentani)
«Non distinguerai la destra dalla sinistra» (M. Pucci)
Ovunque pulsa il cuore ebraico (J. Neusner)
Solo in Eretz Israel (H. Fishman)
Il gesto magico | Il pensiero dei maestri | I rischi della mistica |
Uno degli elementi distintivi e rivoluzionari della Bibbia è, accanto al rifiuto dell’idolatria o dei falsi dei, l’opposizione radicale a ogni forma di magia «ritualizzata» (la divinazione, l’interrogazione dei morti ecc.); ma dalle pagine della Bibbia e in particolare della letteratura profetica emerge anche l’invito fondamentale a non trasformare la vita religiosa in un esercizio formale e automatico, in «una cosa fatta per pura abitudine». | Nella Mishnà il mago è così definito: «È mago, e quindi colpevole, colui che compie un’azione concretamente, non lo è l’illusionista, che fa solo finta di compierla» (Mishnà, Sanhedrin 7:11). La condizione per essere colpevoli è che si creda alla realtà dell’azione magica compiuta; chi crea soltanto l’illusione ottica, dimostra con ciò di non dare importanza alla cosa, e quindi non è colpevole, tale comportamento è, però, comunque vietato. | È un dato comune alle varie forme di mistica ebraica, fin dalle più lontane origini, la coscienza del fatto che l’uomo che si impegna nel cammino mistico si trova a percorrere una strada che lo porta in una dimensione conoscitiva più ampia, in cui apprende i segreti della creazione e matura il suo essere e le sue qualità intellettive. Non tutti, evidentemente, sono in grado di affrontare questo itinerario. |
Il gesto magico
Un inserto sui rapporti tra Torà e magia richiede qualche considerazione e precisazione introduttiva. Secondo l’Enciclopedia delle Religioni (vol. III, col. 1823) si definisce abitualmente la magia, come ogni pratica rituale che, in opposizione e in contrasto con la religione, se ne distingue per la sua efficacia automatica, per la sua destinazione utile e immediata, per l’attitudine a dominare o controllare la realtà; magia è anche l’atteggiamento mentale ideologico e spirituale che giustifica tali pratiche: «ideologia del dominio della realtà a fini utilitaristici» dove la potenza dell’uomo «si esplicita in azioni o parole automaticamente efficaci». L’essenza dell’atto-magico starebbe dunque nella sua automaticità, che prescinde dal rapporto con un piano superiore della realtà, nei confronti del quale, in un atteggiamento religioso, l’uomo si pone invece in un rapporto di dipendenza e di devozione. Dopo le prime schematiche e grossolane analisi, gli storici delle religioni hanno rilevato come non sia affatto possibile operare una distinzione tra religione e magia, nel senso che non si può parlare di un’età magica o di un livello magico come fase precisa e separata in uno sviluppo storico. In realtà l’atteggiamento magico coesiste con quello religioso in ogni cultura. Non è tanto l’atto rituale che nella sua forma può essere definito religioso o magico, quanto l’atteggiamento di chi lo compie: «la natura magica o religiosa di un atto e di un rito dipendono, più che dalla loro struttura, dall’intenzione e dall’orientamento mentale di chi vi ricorre».
Trasferendo questi concetti al mondo ebraico, se ne ricava una provocazione e uno stimolo alla riflessione che coinvolge sia l’interpretazione storica che la pratica religiosa quotidiana. Uno degli elementi distintivi e rivoluzionari della Bibbia è, accanto al rifiuto dell’idolatria o dei falsi dei, l’opposizione radicale a ogni forma di magia «ritualizzata» (la divinazione, l’interrogazione dei morti ecc.); ma dalle pagine della Bibbia e in particolare della letteratura profetica emerge anche l’invito fondamentale a non trasformare la vita religiosa in un esercizio formale e automatico, in «una cosa fatta per pura abitudine» (mitzwàt anashim melumma–dà, Isaia 29:13). Si tratta allora di verificare quanto di questo impegno sia rimasto intatto nei secoli successivi, e quanto oggi sia seguito. Gli articoli delle pagine che seguono condurranno il lettore in un rapido excursus, su argomenti che sono anche, e per tutt’altri motivi, estremamente attuali: siamo convinti che oltre ad un’utile informazione serviranno come riferimento per un dibattito stimolante sul significato attuale dell’esperienza religiosa ebraica.
R.D.S