Maimonide e la Kabbalà
Se si osservano attentamente le opere del Maimonide appare assai difficile trovarsi tracce di misticismo. Il suo razionalismo poco si accorda con quell’elemento emotivo che la Kabbalà portò nell’ebraismo, ma possiamo affermare che l’opera di Maimonide giovò alla Kabbalà impedendole di sviluppare quegli elementi che potevano portarla verso direzioni inaccettabili dall’ebraismo. In particolare il suo netto rigetto di ogni concezione antropomorfica della Divinità impedì che il misticismo ebraico fosse indirizzato verso quelle lusinghe sensuali caratteristiche di ogni misticismo.
Nei secoli successivi alla morte di Maimonide i tentativi di scoprire tracce di misticismo nelle sue opere si sono moltiplicati, ma con scarsi e controversi risultati. Quello che possiamo affermare però con assoluta certezza è che mai egli prese posizione contraria alla Kabbalà se dobbiamo dar credito a una testimonianza italiana del XV secolo dobbiamo — con tutte le possibili riserve circa la sua autenticità — pensare che alla fine della sua vita Maimonide si avvicinasse alle teorie mistiche. Il Rabbino Elaiahu Haim ben Beniamin da Genazzano nel suo libro “Iggheret Hammuddot” infatti annota: “Io posso testimoniare, riguardo al grande Rabbino Moshe ben Maimon che alla fine dei suoi giorni si pentì di ciò che aveva scritto nella sua opera Moré Nevuchim circa le motivazioni dei precetti della Torà. Queste sono le parole che egli scrisse in una lettera inviata in Egitto e in tutto lo Yemen: Dopo che sono arrivato nella Terra Santa ho trovato un vecchio che mi ha aperto gli occhi sulla Kabbalà. Se avessi saputo prima ciò che ho capito oggi, molte cose che ho scritto non le avrei scritte mai”.
Elio Toaff