Maimonide e la Halakhà
Dopo la compilazione e la chiusura del canone talmudico (V-VI sec.), in tutte le Comunità ebraiche era fortemente sentita la mancanza di un codice che descrivesse in maniera sistematica tutte le leggi relative ai molteplici aspetti della vita ebraica. Il Talmud aveva il difetto di essere “un mare” di difficile consultazione sia per la lingua (per lo più aramaica) sia per il “disordine” con cui i vari argomenti vi erano sistemati sia per la mancanza di precisi orientamenti e di decisioni al termine delle discussioni. I sunti del Talmud, quale il Sefer hahalakhot di Rabbì Izkhak Alfassi (XI sec.) non risolvevano il problema: accanto alla decisione finale, l’Alfassi mantiene nel suo libro, gli elementi fondamentali della discussione talmudica, fatto che ne rendeva comunque difficile la consultazione. Il materiale giuridico è ancora sistemato secondo vari trattati della Mishnà e non per argomenti: l’opera dell’Alfassi si presentava quindi come un piccolo Talmud e così fu chiamata (Talmud Katàn).
Maimonide dà un giudizio molto positivo dell’opera dell’Alfassi, ma nota che l’incomprensibilità del Talmud e delle fonti della Halakhà successive al Talmud (in particolare i Gheonim) e la mancanza di norme precise e ordinate da seguire caso per caso erano problemi che non erano stati superati. Egli si propone quindi di scrivere un’opera tale “che le regole siano manifeste sia al piccolo che al grande…”.
Maimonide così descrive gli obiettivi che si pone con la scrittura del Mishnè Torà: “… Affinché non vi sia bisogno di un altro libro di leggi, ma questo libro raccolta la legge orale assieme agli usi e alle discussioni prese dai Maestri dai tempi di Mosè nostro maestro fino alla composizione del Talmud e ai libri scritti dopo il Talmud… Perciò ho chiamato questo libro “Mishnè Torà” (ripetizione della Torà), perché ognuno leggendo prima la Torà scritta e poi questo libro, sia in grado di conoscere tutta la Torà orale, senza aver bisogno di altri libri“.
Dai suoi scritti si rileva che egli aveva quattro idee guida per realizzare questo suo ambizioso progetto:
1. Ricerca e raccolta di tutte le halakhot (norme) dalla Torà fino ai suoi tempi, e elaborazione scientifica e metodica del materiale.
2. Ordinamento delle halakhot secondo argomenti e materie.
3. Decisione chiara e univoca della Halakhà senza alcun richiamo a opinioni differenti da quella scelta come norma ed eliminazione dei richiami delle fonti da cui erano state attinte le norme.
4. Stile chiaro e sintetico in una lingua ebraica che rispondesse alle esigenze di una realtà umana molto complessa.
L’obiettivo che si proponeva il Maimonide era di difficile realizzazione: esso comportava una grande capacità di sintesi e la conoscenza di argomenti non trattati nel Talmud (si pensi al Calendario); la ricerca di una lingua che potesse esprimere in forma adeguata e lucida non solo gli argomenti di attualità, ma anche i vari aspetti del pensiero, del comportamento e dell’atteggiamento del corpo, della mente e dell’anima.
Per esigenze di completezza, a differenza dei suoi predecessori, Maimonide trattò anche gli argomenti che avevano perso la loro attualità (i Sacrifici, le regole di funzionamento di uno Stato, ecc.) e non mancò di fare delle introduzioni quando l’argomento lo richiedeva.
La selezione del materiale si presentava come estremamente difficoltosa perché uno stesso argomento poteva essere trattato in diverse parti del Talmud e degli altri libri che egli doveva consultare: molto spesso non vi era alcun legame logico tra l’argomento principale del Trattato talmudico e le questioni che vi venivano trattate.
Maimonide dovette anche decidere come ordinare gli argomenti: egli poteva scegliere tra diverse alternative (l’ordine dei precetti nella Torà; l’ordine della Mishnà, ecc.) e alla fine scelse di ordinare le halakhot per argomenti con qualche eccezione spiegabile caso per caso.
Anche se Maimonide afferma di voler scegliere per il Mishnè Torà la lingua della Mishnà, in realtà egli fece molto di più contribuendo in maniera unica alla creazione di un linguaggio giuridico ebraico che conserva la sua potenzialità fino ad oggi: egli dovette unificare in un unico linguaggio espressioni provenienti da molti libri, scritti in linguaggio diverso.
In definitiva in un momento di dispersione, alla vigilia del periodo di persecuzioni e grandi spostamenti di popolazioni, suo grande merito fu quello di fornire all’Ebreo una guida sicura a cui si sarebbe poi ispirata tutta la Halakhà successiva.
S.B.