Presentato il progetto lombardo di promozione del pluralismo religioso nelle carceri
Ilaria Myr
Prevenire nelle carceri l’intolleranza e il radicalismo religioso attraverso lo sviluppo della conoscenza delle altre identità: questo l’obiettivo primario del progetto di formazione alla diversità religiosa dal titolo eloquente ‘Conoscere e gestire il pluralismo religioso negli istituti di pena lombardi. Insieme per curarci le ferite’, presentato giovedì 30 marzo nella Sala Polivalente “Francesco Di Cataldo” nel carcere di Milano San Vittore. Moderatrice Francesca Valenzi, Direttore dell’Ufficio Detenuti del provveditorato di Milano.
L’iniziativa, sostenuta dalla Fondazione Cariplo, vede il coinvolgimento di molte realtà diverse: a promuoverla sono infatti il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, l’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di scienze giuridiche ‘Cesare Beccaria), la Comunità Ebraica di Milano, l’Arcidiocesi di Milano, il Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana), la Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana, la Caritas Ambrosiana e l’Istituto Studi di Buddismo Tibetano di Milano Ghe Pel Ling.
Una prima fase del progetto si è svolta nel 2016, con il coinvolgimento di 50 operatori carcerari di tre diversi istituti di pena lombardi. Da quest’anno, per i prossimi tre anni, oltre al personale penitenziario (agenti di polizia, funzionari giuridico-pedagogici, personale docente, funzionari di servizio sociale) verranno coinvolti anche i detenuti di nove istituti lombardi in diverse località: nel 2017 il carcere di San Vittore di Milano, quello di Pavia e quello di Brescia, nel 2018 quello di Bollate, Como e Vigevano, e nel 2019 Opera, Monza e Bergamo.
Il punto di partenza del progetto è la crescita del pluralismo religioso nelle carceri, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli impensabili anche solo dieci anni fa. “Qui a San Vittore il 67% dei detenuti è straniero, per un totale di circa 90 etnie diverse – ha raccontato Gloria Manzelli, direttore del carcere milanese -. Il pluralismo religioso e culturale è un valore, perché conoscere le diversità e coabitare con espressioni differenti è uno strumento di convivenza pacifica”.
Attenzione però a non confondere il pluralismo religioso con il radicalismo: la professione della propria fede è una cosa diversa. Come ha spiegato Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano: “L’ordinamento penitenziario parla di libertà di professare il proprio credo nel carcere, perché la religione è l’espressione dell’individuo, e come tale va tutelata e rispettata”.
“La crescita della diversità religiosa e culturale ci ha insegnato che dobbiamo vivere diversamente valorizzando le diversità e promuovendo la conoscenza dell’altro – ha spiegato Silvio Ferrari, Professore ordinario di Diritto canonico presso l’Università di Milano e ‘anima scientifica’ del progetto -. Il pluralismo è oggi un dato di fatto che impone di cercare delle regole di convivenza in cui il confronto si coniughi con il mantenimento dell’identità di ognuno. Il nostro progetto non nasce per curare, ma per prevenire l’insorgere di intolleranze con l’insegnamento dei valori della convivenza e della conoscenza reciproca. Per farlo abbiamo costruito una sinergia fra soggetti con competenze diverse: carceri, università, Fondazioni bancarie, rappresentanti religiosi”.
Diverse le attività previste dal progetto:
a) Incontri con il personale penitenziario e con i detenuti, articolati in tre moduli tematici: antropologico (responsabile: Prof. Paolo Branca, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) in cui, dopo una introduzione di carattere antropologico sulle reciproche interazioni tra cultura e religione, si analizzeranno in particolare ebraismo, cristianesimo e islam per affrontare infine il tema della radicalizzazione e del reclutamento jihadista negli istituti di pena; sociologico-giuridico (responsabili: Prof. Silvio Ferrari e Prof.ssa Daniela Milani, Università degli Studi di Milano) volto a illustrare il cambiamento demografico e sociologico in atto negli istituti di pena, nonché le sue ricadute sull’esercizio del diritto di libertà religiosa con particolare attenzione ad alcuni profili pratici come quelli legati al consumo di cibo conforme alle prescrizioni religiose e alla preghiera; etico-formativo (responsabili: Hamid Roberto Distefano, Comunità Religiosa Islamica Italiana; Pier Francesco Fumagalli, Dottore ordinario e Vice Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana; David Sciunnach, Comunità Ebraica di Milano) sul rapporto fra etica e religione, nonché su problematiche molto sentite nel contesto penitenziario quali la famiglia, la malattia, il disagio, la nascita e la morte.
b) Elaborazione di manuali e guide operative volti a fornire strumenti utili alla conoscenza e alla comprensione della diversità religiosa e culturale negli istituti di pena come nel caso delle prescrizioni da osservare in materia alimentare (cosa è lecito mangiare, come cucinare e conservare gli alimenti) o delle regole da rispettare circa i tempi e i modi della preghiera (quando, come, con chi)
c) Svolgimento di laboratori riservati ai detenuti di scrittura, pittura, cinema, teatro o fotografia sui temi del corso per favorire, attraverso il supporto di educatori e mediatori culturali, processi di riflessione e rielaborazione da parte dei detenuti dei contenuti affrontati negli incontri e delle esperienze vissute, attivando tutte le sinergie possibili con le attività laboratoriali già presenti negli istituti interessati
d) Organizzazione di incontri pubblici finalizzati non solo a divulgare contenuti e obiettivi del progetto ma anche a sensibilizzare la società civile in merito a quanto accade all’interno degli istituti di pena.
Conoscere l’altro per una convivenza civile e contro il radicalismo