La famiglia del Siddur Bene Romi si allarga con l’edizione per Torino
In onore del Bar Mitzwà di Gabriele Treves viene pubblicato un nuovo Siddur per i giorni feriali e lo Shabbat secondo l’uso della Comunità di Torino. Tale pubblicazione, che fa parte dell’ormai affermato progetto “Siddur Benè Romi” (ed. Morashà, Milano), affianca le altre che negli ultimi tre lustri hanno permesso agli ebrei italiani, primi fra tutti quelli delle Comunità di Roma e Milano, di pregare più agevolmente rispetto al passato, per via della chiarezza dei caratteri e della traduzione italiana “aggiornata” che di certo i frequentatori del Bet ha-keneset apprezzeranno. La nuova edizione integra alcuni brani che non erano presenti nei siddurim precedenti, permettendo pertanto ai frequentatori di non perdere alcuna parte della tefillàh.
Non sappiamo con esattezza quando le Comunità Piemontesi abbiano adottato il rito italiano. Sappiamo invece che la prima ondata immigratoria all’inizio del XV secolo aveva origine Oltralpe. Una seconda cospicua ondata, questa volta di Ebrei provenienti dallo Stato Pontificio (dopo la cacciata voluta da Pio V), Provenzali e Sefarditi, fu incoraggiata da Emanuele Filiberto nel 1572. Nel tempo ciò ha creato in Piemonte un “raduno degli esuli” in miniatura. Ciò è più che evidente nel nostro Siddur. Pur mantenendo l’impianto del rito italiano risente di forti influenze degli altri riti, specialmente quello askenazita. Nella seconda metà dell’Ottocento i “tagli” al Siddur voluti da un certo spirito del tempo hanno lasciato il segno a Torino molto più che altrove. Solo a Torino, peraltro, si è conservato il testo integrale della Hashkavah per i defunti tratto dal Ma’avar Yabboq di R. Aharon ben Berakh’el da Modena (sec. XVII), discepolo del cabalista R. Menachem ‘Azaryah da Fano.
L’opera è frutto del coordinamento del Rabbino Capo Ariel Di Porto con una serie di collaboratori: Rav Alberto Moshè Somekh, Franco Segre, Giulio Tedeschi e Shemuel Lampronti, Chazanim onorari del Bet ha-Kenesset di Torino, che hanno rivisto il testo con grande attenzione, dedizione e perizia filologica; ma il merito è soprattutto di Michael e Simonetta Treves che, unitamente ai nonni Roberto, Graziella e Ghita, hanno reso possibile la pubblicazione.