1. La possibilità di fare Teshuvah e di cancellare le trasgressioni, per quanto numerose siano, è un favore che il S.B. ci mette a disposizione. H. addirittura aiuta i bene intenzionati a fare Teshuvah.
2. Colui che non approfitta di questa possibilità è paragonabile a un prigioniero cui si prospetta un’oppportunità di fuga e tuttavia non ne usufruisce (cfr. Qohelet Rabbà 7,15).
3. Occorre pertanto essere solleciti nel fare Teshuvah: chi non si affretta è uno stolto o un ignorante. “Se vedi un Talmid Chakham che ha commesso una trasgressione di notte non dubitare di lui durante il giorno successivo, perché certamente avrà fatto Teshuvah nel frattempo” (Berakhot 19a).
4. Ritardare la Teshuvah significa concedere un’altra chance al proprio Yetzer ha-Ra’, che colpirà nuovamente con conseguenze molto peggiori. “Come un cane ritorna sul proprio vomito, così lo stolto ripete la propria sciocchezza” (Mishlè 26,11). Come il vomito è peggio del cibo immondo che il cane aveva ingurgitato in precedenza e ora rimette, così chi ritorna sulla propria trasgressione vi ricade in modo ancora più disgustoso.
5. In secondo luogo chi ritorna sulla stessa trasgressione per la seconda volta finirà per abituarvisi e considerarla un’azione permessa (Yomà 86b). Contrariamente al principio generale per cui D. non punisce l’uomo finchè questi non abbia trasgredito materialmente, colui che ripete la trasgressione e per qualche ragione non riesce a compierla, verrà punito per la sua intenzione.
6. Colui che non riesce a trattenersi da una specifica trasgressione è comunque chiamato mumàr (rinnegato) riguardo a quella cosa e annoverato fra i malvagi anche se per tutto il resto della Torah è uno tzaddiq completo. Un servo non può infatti dire: “accetto tutte le disposizioni del mio padrone tranne una”, altrimenti è già considerato ribelle. Il versetto dice “maledetto colui che non accetta di compiere tutte le parole di questa Torah” (Devarim 27,26) dall’inizio alla fine.
7. Chi ripete la stessa trasgressione più volte è considerato come se avesse compiuto altrettante trasgressioni differenti (Makkot 21a a proposito del Nazìr cui viene detto più volte di non bere vino ed egli ogni volta beve).
8. Se questo è il destino di chi prende sottogamba una sola specifica trasgressione pur essendosi impegnato a parole a evitarla, tanto peggio sarà per molti individui della nostra generazione che così si comportano al riguardo di numerose trasgressioni, come il falso giuramento, l’ingiuria, la pronuncia del Nome a mani sporche o in luogo impuro, il distogliere lo sguardo dal povero, la maldicenza, l’odio gratuito, l’alterigia, l’osservare nudità e in cima a tutte il trascurare lo studio della Torah. E’ opportuno che ogni Ba’al Teshuvah si annoti le trasgressioni compiute e le Mitzwòt trascurate e rilegga il taccuino quotidianamente.
9. La Teshuvah è come il bucato: quanto più il lavaggio è profondo nel cuore, tanto più la macchia sbiadisce (Tehillim 51,4: “lavami molto dal mio peccato”). Ma la Teshuvah è più efficace se compiuta finché si è giovani, quando l’istinto ancora preme e si esercita nei suoi confronti una resistenza corrispondente. In realtà qualsiasi Teshuvah è efficace, una volta che la si compie “fino a calpestare la propria anima” (Tehillim 90,3; Yer. Chaghigah 2,1).
Principi della Teshuvah:
10. Provare rimorso (charatah): rendersi conto di quanto sia sbagliato e amaro abbandonare H. e che ogni trasgressione è soggetta a punizione. “Come ho potuto essere peggio di un animale, che riconosce la propria mangiatoia, mentre io ho lasciato andare la mia anima libera come se non avesse un padrone?”.
11. Abbandonare la trasgressione (‘azivat ha-chet), ripromettendosi di non ricadervi più. Sull’ordine di questi due punti c’è differenza fra chi trasgredisce solo occasionalmente e chi invece lo fa abitualmente. Il trasgressore occasionale, che si è lasciato trascinare una sola volta, effettuerà prima la charatah sentendosi in colpa per quanto accaduto, per impedire all’istinto di approfittarsi di lui un’altra volta e poi la ‘azivat ha-chet, come dice il versetto: “colui che ammette e abbandona avrà misericordia” (Mishlè 28,13). Chi invece si trova abitualmente sulla cattiva strada è opportuno che inverta l’ordine: prima dichiarerà di abbandonare la trasgressione e si determinerà a non ricadervi in avvenire e poi proverà rimorso per il passato, come dice l’altro versetto: “Abbandoni il malvagio la sua via e l’iniquo i suoi pensieri, (poi) torni a H. e Questi avrà misericordia di lui” (Yesha’yahu 55,7). Costui è infatti simile a chi si immerge nel Miqweh tenendo ancora in mano la fonte della sua impurità: la ‘azivat ha-chet equivale a gettare di mano l’impurità, condizione indispensabile per purificarsi, mentre la charatah, la confessione e la preghiera prendono il posto dell’immersione (che avviene subito dopo).
12-14. Provare angustia (yagòn) per la perdita spirituale che la trasgressione ha provocato nel peccatore, come si soffrirebbe al pensiero di una grave perdita economica. Quanto più forte è l’angustia tanto più si alleggerisce la trasgressione, perché la sofferenza dell’anima è ancora più forte ed efficace delle sofferenze fisiche. H. è come un Re che tende a graziare con più facilità, se sbagliano, i suoi collaboratori più stretti che non i sudditi più lontani: la nostra anima è più vicina a H. di quanto non lo sia il nostro corpo, perché questo è forgiato dai due genitori, mentre l’anima è data da Lui (Yesha’yahu 57,16; Qiddushin 30b).
15. Provare dolore fisico (tza’ar). Come il cuore e gli occhi sono stati i principali veicoli della trasgressione (Bemidbar 15,39; Bemidbar Rabbà, Shelach 17,7), così l’abbattimento del cuore e il pianto dagli occhi espiano. Una delle procedure per la purificazione di un utensile impuro consiste appunto nel romperlo.