Derashà in onore di Haim Cattaneo, Bar Mitzwah
Caro Haim, giungi all’età delle Mitzwòt in uno Shabbat molto particolare. E’ Shabbat Zakhor, lo Shabbat del ricordo. Di cosa? In esso ricordiamo il nostro impegno di guerra eterna contro ‘Amaleq. ‘Amaleq rappresenta il Male per definizione e la Torah ci insegna che il Male non può essere tollerato. Il Male va combattuto.
‘Amaleq ci attaccò a tradimento non appena uscimmo dall’Egitto, sulla via verso il Monte Sinai dove avremmo ricevuto la Torah. Un commentatore (Maor wa-Shemesh a Shemot 18,8) si interroga sul significato della collocazione di questi avvenimenti e perviene a un ragionamento originale. L’Uscita dall’Egitto rappresenta il momento della crescita della famiglia di Israele, che finalmente si emancipa, si sviluppa e diviene un popolo. Un popolo libero e responsabile. Tutto questo fu reso possibile grazie all’intervento Divino e fu vissuto a suo tempo con grande entusiasmo generale. I Figli d’Israel aderirono di buon grado alla Mitzwah della Matzah e del Qorban Pessach. Ancora oggi rispondiamo volentieri al comandamento di ricordare ogni anno l’Uscita dall’Egitto e facciamo il Seder.
Non è un caso che la prima volta in cui la Torah parla dei Tefillin fu proprio in questa occasione. L’Uscita dall’Egitto è il Bar Mitzwah del popolo ebraico. Il Bar Mitzwah è a sua volta un momento di grande euforia in senso religioso. Si indossano i Tefillin, si promettono mari e monti, sarò un buon ebreo, ecc ecc.. Oggi Tu sei toccato da un’ispirazione Divina. I nostri Maestri spiegano che mentre lo Yetzer ha-Ra’, l’Istinto del Male è presente nel bambino fin dalla nascita, lo Yetzer ha-Tov, l’Istinto del Bene entra in noi per la prima volta al Bar Mitzwah. E come non destinargli oggi un’accoglienza degna del suo nome?
Ma gli idilli, si sa, sono destinati a durare poco. Il dissidio fra il vecchio e il nuovo inquilino, fra lo Yetzer ha-Ra’ e lo Yetzer ha-Tov così diversi fra loro è ben presto destinato a degenerare in una vera e propria guerra. L’Istinto del Male è simboleggiato da ‘Amaleq. Questa guerra non è più affrontata in modo soprannaturale, come ai tempi dell’Egitto, ma impegna, se la si vuole vincere, tutte le nostre forze. D. ci aiuta, ma l’iniziativa deve essere nostra. La scoperta dell’età adulta comporta allettamenti, tentazioni, lusinghe, pigrizie alle quali dobbiamo sapere resistere. Dobbiamo sapere trovare nel nostro intimo una via di accesso alla Torah. E’ per questo che i Dieci Comandamenti non furono dati subito dopo l’Uscita dall’Egitto. Era necessario un ulteriore periodo di maturazione. Al centro di esso il confronto personale con ‘Amaleq, il Male.
Se sapremo superare gli ostacoli addiverremo a essere Benè Torah. Non tutti ci riescono, perché non sono sufficientemente corrazzati nell’affrontare la guerra di ‘Amaleq e si perdono strada facendo. Il Kohen Gadol portava sulle spalle e sul petto i nomi delle tribù d’Israele. La Torah dice: le-zikkaron, “per ricordo”. Ricordo di cosa, dicevamo? Mi piace citare quanto ho trovato recentemente scritto in una rivista ebraica: “Noi non possediamo il concetto di ricordo fine a se stesso. Il ricordo che riesce a fare svegliare immutati il giorno dopo, non fa parte del nostro retaggio. Non amiamo le commemorazioni, le frasi di circostanza… La memoria ebraica è ricordo che porta al rinnovamento… La memoria da noi serve per camminare meglio domani. Non esiste vissuto che non possa trasformarsi in trampolino di lancio… Come corridori su percorsi della storia, studiamo le corse passate per potere correre al meglio la prossima gara” (Gheula Canarutto Nemni in “Pensieri di Torah” n. 355, 27 gennaio 2018).
I nomi delle tribù che il Kohen Gadol portava con sé sono un invito a personalizzare la Torah. Ma per arrivare a questo occorre un impegno costante di studio e di applicazione. E’ stolto chi pensa che l’impegno verso l’Ebraismo finisca con il Bar Mitzwah. Solo chi si dedica a questa interiorizzazione, solo chi farà sua la Torah vincerà la guerra contro ‘Amaleq e farà proprio il dono della Torah. I Dieci Comandamenti sono scritti al singolare. Non sono rivolti alla Comunità, ma a ciascuno di noi individualmente. Si deve arrivare al punto che ciascuno di noi dica: osservo la Torah perché ci credo e la sento mia, non perché me lo dicono i genitori, gli insegnanti di scuola, il Rabbino. Solo così facendo ci garantiremo un futuro ebraico.
‘Amaleq non è l’unica prova che il nostro popolo ha dovuto affrontare. La Tua vita di ebreo adulto, caro Haim, è appena cominciata. Mettendo i Tefillin, nel fare i tre giri intorno al dito medio alcuni usano pronunciare i tre We-erastìkh che H. rivolge a noi per bocca del Profeta Hoshea’: “Ti destinerò a mia sposa per sempre. Ti destinerò a mia sposa mediante giustizia, diritto, bontà e misericordia. Ti destinerò a mia sposa mediante fedeltà e riconoscerai che Io sono H.” (2,21-22). Un commento (Radaq) afferma che le tre promesse matrimoniali sono in corrispondenza dei tre grandi esili che abbiamo patito: simbolo a loro volta delle complessità della vita. A ogni liberazione è come se D. riaffermasse il Suo legame con noi. Quando uscimmo dall’Egitto si sapeva che la liberazione non avrebbe avuto effetto in eterno e pertanto H. disse: “Ti destinerò a mia sposa per sempre”. Quando andammo in Babilonia fu una punizione per le ingiustizie da noi commesse e pertanto H. disse: “Ti destinerò a mia sposa mediante giustizia, diritto, bontà e misericordia”. In corrispondenza dell’esilio in cui ci troviamo oggi viene l’ultima promessa: “Ti destinerò a mia sposa mediante fedeltà e riconoscerai che Io sono H.”
Caro Haim, in questi anni che abbiamo studiato insieme ho apprezzato la delicatezza della Tua personalità. Sono certo che il S.B. Ti gradisce ed è pronto a spianarTi la strada. Ma devi essere Tu a voler proseguire il cammino e a garantire fedeltà. Che la Tua vita possa essere ricca spiritualmente, nel solco della Tradizione che la Torah indica a noi tutti. Shabbat Shalom e Mazal Tov.