Yosef, dopo il coraggioso discorso di Yehudàh, si rivela finalmente ai fratelli. Per farlo aveva atteso ben ventidue anni, o, come dicono il Ramban ed il Netziv, perché si avverassero i suoi sogni, o, come pensano Abravanel e il Sefer ha-‘aqedàh, affinché potesse avere la certezza del pentimento dei fratelli. Il contenuto del discorso di Yosef pone però non poche difficoltà. Difatti Yosef, almeno ad una prima lettura, sembra non attribuire ai fratelli la responsabilità della sua vendita, vista, come tutte le altre sue vicende, come il frutto di un intervento divino.
Nella parashàh di Wayeshev però il rapporto causa-effetto fra l’odio dei fratelli, dovuto alla predilezione da parte di Ya’aqov e ai sogni di Yosef, e la sua vendita sembra evidente a tutti. Ma, leggendo con maggiore attenzione le parole di Yosef, a dispetto di quanto abbiamo detto, possiamo trovare un’accusa nei confronti dei fratelli. Difatti Yosef dice (Bereshit 45,3): “Io sono Giuseppe. Mio padre è sempre vivo? I fratelli non poterono rispondergli perché erano rimasti storditi davanti a lui”. Secondo il Kelì Yaqar la domanda di Yosef è sincera: di fronte al vice-re d’Egitto avrebbero potuto mentire per risvegliare la sua misericordia, visto che già avevano mentito dicendo, sebbene fosse effettivamente probabile, che Yosef era morto, ed ora è arrivato il momento di giocare a carte scoperte. Ma non tutti sono d’accordo.
E’ un dato di fatto che la verità fa male: il fatto che Yosef sia ancora in vita, e perlopiù in quella posizione è la chiara dimostrazione che i fratelli avevano sbagliato su tutta la linea nel giudicare Yosef. Il Talmud (Chaghigàh 4b) sul silenzio dei fratelli dice che R. El’azar quando arrivava a questo verso scoppiava a piangere. Diceva infatti: se il rimprovero di esseri di carne e sangue ha così tanta forza, tanto più ne avrà il rimprovero del Santo, Benedetto Egli sia. Il Bet ha-Levi spiega questo insegnamento dei Maestri: la domanda di Yosef sulla salute di Ya’aqov difatti non è una domanda innocente; i fratelli non potevano avere delle informazioni aggiornate su Ya’aqov, ed inoltre ancora pochi versi prima Yehudàh aveva ricordato varie volte che Ya’aqov era in vita. Il senso della sua domanda è un altro, e, come spiega anche il Netziv, si tratta di una domanda retorica: come è possibile che mio padre sia ancora in vita, dopo il dolore che voi gli avete provocato per via del vostro comportamento? In fondo, rileggendo la storia, i fratelli avevano già compreso da tempo che la sventura che gli stava capitando era determinata dalla vendita di Yosef, ma sul padre, neppure un pensiero di pentimento. Proprio voi, che ora mostrate tanta preoccupazione per Ya’aqov, e per questo mi chiedete di essere misericordioso, a suo tempo non gli avete riservato nessuna pietà! Ma anche se sostenessimo che Yosef parli sul serio, quanto dice R. El’azar avrebbe ancora più forza: se una semplice domanda di Yosef riesce a scatenare questa tempesta di sentimenti nei fratelli, cosa risponderemo alle accuse ben circostanziate che ci verranno presentate quando verremo giudicati da H.?
La lettura dei “colpevolisti” ci mette però in crisi: i fratelli sono responsabili della vendita o sono innocenti? Se gli eventi hanno preso questa piega, dipende da loro o dalla provvidenza divina? Queste domande comprendono dei concetti fondamentali nella nostra visione del mondo, circa le responsabilità degli uomini e la provvidenza divina. Il libero arbitrio è un cardine fondamentale dell’ebraismo, chi vuole comportarsi bene ha il potere di farlo, se vuole fare del male altrettanto. L’importante è ricordarsi che poi si sarà giudicati per le proprie azioni. Ma d’altra parte affermiamo con altrettanta forza che nulla avviene per caso. Il Sefer ha-chinukh (mitzwàh 241) scrive che dobbiamo tener ben presente che tutto ciò che ci capita, nel bene e nel male, arriva da D., e se non vi è una volontà dall’alto, le azioni degli uomini sono vane. Fra i primi due principi, il primo, quello dell’assoluto libero arbitrio, è intuitivo, l’altro molto meno.
Il Talmud (Makkot 10b), esemplifica questo fatto, attraverso questa storia: c’erano due persone che avevano commesso un omicidio, uno involontariamente, l’altro volontariamente, ma non vi erano testimoni, e pertanto il tribunale non poteva procedere e condannarli. Qadosh Barukh Hù fece in modo che si trovassero nella medesima locanda, quello che aveva ucciso di proposito sotto una scala, e l’altro, che aveva ucciso non intenzionalmente cadde dalla scala addosso all’altro, uccidendolo a sua volta. In questo modo giustizia viene fatta: difatti l’omicida volontario sarebbe stato punito con la morte, mentre quello involontario sarebbe dovuto andare in esilio, e così si verificò. Un incidente, in apparenza totalmente fortuito, rispecchia una volontà divina. La reazione di Yosef riflette questa visione del mondo: i fratelli hanno agito liberamente, e sono responsabili delle proprie azioni, e per questo vengono rimproverati, ma d’altro canto Yosef capisce che H. gli ha permesso di attuare il loro progetto, che fra l’altro non era quello originario di ucciderlo, perché H. lo ha impedito, perché la vera e ultima causa di quanto gli è avvenuto è una decisione divina.
Per questo il Midrash ci dice come Yosef abbia reagito alla vendita: non con la sete di vendetta, ma con il pentimento. Se crediamo che solo gli uomini siano responsabili del nostro destino, il desiderio di vendetta è una reazione naturale; se pensiamo che sia H. è la causa di quanto ci capita, la vendetta diviene priva di senso. Questo ci spiega anche perché la Toràh poi vieterà di vendicarsi: secondo il Sefer ha-chinukh ogni persona dovrebbe sapere che tutto ciò che avviene arriva dall’alto, e che le azioni degli uomini sono allo stesso modo decretate dall’alto, e se gli uomini hanno avuto la possibilità di colpirci, questo dipende dal nostro comportamento. Il concetto è applicabile anche all’andamento della storia, che, senza nulle togliere alle responsabilità degli esseri umani, nei suoi andamenti generali è determinato dalla provvidenza divina. Questa visione della storia emerge dall’insegnamento in Massekhet Shabbat (10b) secondo il quale non dovremmo mai fare dei favoritismi fra i figli, perché per via dei due sela’im di lana con cui Ya’aqov fece la tunica di Yosef, i nostri padri sono scesi in Egitto, come era stato predetto ad Avraham nel berit ben ha-betarim nella parashàh di Lekh Lekhà.