“Allora Giacobbe partì da Beer Sheva…Giacobbe e tutta la sua progenie con lui. I suoi figli e i figli dei suoi figli [andarono] con lui; le sue figlie e le figlie dei suoi figli e tutta la sua progenie, portò con sé in Egitto” (Genesi 46:5-7).
Questo sabato la Torà racconta del trasferimento di Giacobbe da Canaan in Egitto con tutta la sua famiglia.
La Torah ripete due volte che tutta la progenie di Giacobbe si unì a lui per andare Egitto. La prima volta che è scritto che Giacobbe andò in Egitto con tutta la sua progenie, la seconda viene specificato che egli portò con sé i suoi figli, i figli dei suoi figli, le sue figlie e le figlie dei suoi figli. Cosa vuole dirci la Torà con questa apparente ripetizione?
Rabbì Chayym ibn Attar (Or Hachayym, 1696-1743) suggerisce che la Torah, in realtà, vuole rivelare che la progenie di Giacobbe si divideva in base a due prospettive diverse.
Giacobbe sapeva bene che lui e la sua famiglia sarebbero emigrati in Egitto, il Signore aveva predetto a suo nonno Abramo che i suoi discendenti sarebbero andati in esilio in una terra straniera dove sarebbero stati perseguitati. Giacobbe era anche conscio del fatto che alla sua prole non faceva affatto piacere sapere di questa futura sofferenza.
Per questo la Torà distingue tra quei figli che “andarono con lui” (per puntualizzare che andarono in Egitto nello stesso modo in cui il padre lo fece, senza alcuna esitazione e confidando nel Signore) e tra quelli che Giacobbe “portò con sé in Egitto” (per evidenziare che alcuni figli non erano affatto concordi e che non aveva accettato pienamente la decisione del patriarca).
Tra le 70 persone che scesero in Egitto con Giacobbe, alcuni figli erano sullo stesso livello di fiducia e di Giacobbe, altri no. Erano riluttanti a dare inizio al decreto di esilio e persecuzione fatto da Signore ad Abramo tanto che dovettero essere convinti, con ulteriori insegnamenti, da Giacobbe stesso.
In questa interpretazione, Rabbì Chayym fa riferimento all’insegnamento dei maestri del Midrash (Shemot Rabba, 1) secondo cui la schiavitù non iniziò finché coloro che si erano trasferiti da Canaan in Egitto non fossero morti. Fu solo dopo che quella generazione fosse defunta che Dio portò il dolore e la sofferenza della schiavitù sui figli d’Israele. Rabbì Chayym spiega: “Forse questa era per loro una ricompensa per aver accettato di buon grado il decreto del Re…perché “Sama deyisurè qabulè/il rimedio alla sofferenza è l’accettazione”. In questo passaggio, Rabbì Chayym rivela la possibile risposta alla domanda, che in molti si pongono, di come si possono affrontare i problemi e come si possono risolverli.
Rabbì Chayym dice che la Torah, grazie a questa apparente ripetizione, ci insegna che l’antidoto alle avversità, alla sofferenza, è proprio la capacità di accettare quella situazione. Dobbiamo riuscire ad accettare tutto ciò che il Signore decreta.
I membri della famiglia di Giacobbe che, pur se all’inizio divisi tra fiduciosi e riluttanti, alla fine scesero in Egitto con tutto il cuore, indifferenti al duro decreto che si stava per realizzare. Per questo furono ricompensati con l’essere risparmiati da quello stesso decreto. Questo è il rimedio: accettare umilmente e senza fare domande sulla volontà del Signore.
Rabbì Chayym conclude con la citazione del Libro dello Splendore (Zohar, Vayakel, 198a) in cui si spiega il verso di un Salmo (146:5): “Beato è colui che è aiutato dal Dio di Giacobbe, chi ripone la sua speranza (SIVRÒ) nell’Eterno suo Dio”. Lo Zohar insegna che la parola “SIVRÒ/la sua speranza” può essere letta “SHIVRÒ/la sua crisi”.
Da questa spiegazione si può dedurre che soprattutto in tempi di crisi e di difficoltà dobbiamo e possiamo rafforzare la nostra fiducia, la nostra convinzione che tutto ciò che il Signore fa è per il meglio. Quando raggiungeremo questo livello di Emunah/fiducia, trasformeremo “Shivrò/crisi” in “Sivrò/speranza”, per superare il momento di crisi travolgente in un auspicio di rincuorante aspettativa.
Tutti noi, occasionalmente, potremmo trovarci ad affrontare grandi avversità, in modi e forme diverse. La Torah ci suggerisce che durante i periodi di difficoltà, il rimedio più efficace che possiamo utilizzare per aiutare noi stessi, e gli altri che guardano a noi come esempio, è porre la nostra completa fiducia in Dio e accettare tutto ciò che Egli ci manda, senza mettere in discussione la Sua volontà, Shabbat Shalom.