“La mattina, Labano si alzò di buon’ora, baciò i suoi figli e le sue figlie e li benedisse. Poi Labano se ne andò e tornò a casa sua” (Genesi 32:1). Giacobbe passa vent’anni con suo zio Labano e, durante questi anni, sposò le figlie Lea e Rachele (e anche le loro ancelle Bilà e Zilpà), generò dodici figli (undici maschi e una femmina). Lavorò per Labano come pastore sopportando condizioni molto difficili causate dalla disonestà e dalla furbizia dello zio/suocero.
Dopo questi anni, Giacobbe prese la sua famiglia, tutti i suoi averi e partì per tornare a casa nella Terra d’Israele. Labano inseguì Giacobbe e, dopo un acceso confronto, fecero una tregua e accettarono di separarsi in pace e, a questo punto, la Torà riferisce che “wayashov Lavan limkomò/Labano tornò al suo posto“.
Perché la Torà vuole informarci che Labano era tornato a casa sua. Non era forse evidente che Labano, come Giacobbe, sarebbe al proprio paese?
Il castigliano Rabbì Avraham Saba (1440-1508) spiega che la Torà non intende dire che Labano era tornato a casa sua a Charan, ma che era rimasto la stessa persona, che non era cambiato affatto.
Labano ebbe l’occasione di stare a stretto contatto con Giacobbe definito il “bechir haavot/il prescelto dei tre patriarchi”, un uomo la cui immagine è incisa sul trono celeste di Dio. Eppure, dopo aver trascorso vent’anni con Giacobbe, Labano “tornò al suo posto”. Era rimasta la stessa persona corrotta, astuta e malvagia di prima.Normalmente essere in compagnia di una figura eccezionale dovrebbe avere su di noi un impatto rilevante, l’esposizione a imponenti giganti spirituali può generare un effetto straordinario.
Come mai allora in Labano questa vicinanza non ha causato alcun effetto e, tantomeno, un cambiamento positivo? La risposta è che Labano resistette consapevolmente a questa influenza. Prese la decisione che non aveva bisogno dell’influenza benevola di Giacobbe, che voleva rimanere la stessa persona, che non voleva crescere e migliorarsi. E chi non è interessato a crescere non crescerà, anche se esposto a giganti spirituali, perché resiste intenzionalmente all’influenza che essi esercitano.
Molte persone che magari iniziano con interesse e volontà a frequentare luoghi dove si studia Torà o dove si prega, poi se ne allontanano e spariscono. Forse lo fanno proprio per il timore di essere cambiati. Di fatto non vogliono sconvolgere la loro vita. Questo è ciò che potremmo chiamare la “sindrome di Labano”, il desiderio di non cambiare, non crescere, non diventare migliori. Quando qualcuno decide consapevolmente di non cambiare, davvero niente lo cambierà.
Il verso successivo dice: “weYa‘aqov halach ledarkò/Giacobbe andò per la sua strada” (32:2). Mentre Labano è rimasto quello che era, Giacobbe si è messo in cammino “per la sua strada”. Per quanto fosse già grande, Giacobbe voleva diventare ancora più grande, voleva avanzare, progredire, crescere ancora di più. Quel progresso che lo porterà a cambiare il nome in Israele.
Questo è l’esempio che noi, discendenti di Giacobbe/Israele, dobbiamo seguire. Piuttosto che cadere nella “sindrome di Labano” e rimanere stagnanti, dobbiamo sforzarci sempre di imparare di più, di crescere nella nostra comprensione della Torà e di crescere nella nostra osservanza dei precetti e dei valori della Torà. Non dovremmo mai sentirci pienamente contenti e soddisfatti di ciò che siamo ora, ma dobbiamo piuttosto continuare, “lungo la strada”, di cercare di diventare sempre migliori, ogni giorno della nostra vita, Shabbat Shalom!