Secondo Rashì in tre passi della Parashat Wayerà si allude all’azione meritoria di occuparsi degli ammalati. Già commentando il primo versetto egli scrive che H. era apparso ad Avraham Avinu “per visitare l’ammalato” dopo che questi si era appena sottoposto alla Milah. I nostri Maestri imparano da qui che il Biqqur Cholim è una Mitzwah: “come H. fa visita agli ammalati anche tu fai visita agli ammalati” (Sotah 14). E’ comunque interessante che la Torah non contenga mai un esplicito comando in proposito ma ce lo insegni indirettamente come imitazione di un atto compiuto da D. stesso (Devarim 28,9: “procederai nelle Sue vie”), o come parte del precetto generale: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Wayqrà 19,18).
Si vuole stimolare la sensibilità umana evitando che qualcuno possa effettuare l’atto di Mitzwah solo per ottemperanza ad un precetto ricevuto. Secondo una spiegazione per lo stesso motivo i Chakhamim non hanno istituito una Berakhah per i precetti “fra l’uomo e il suo prossimo”. Sarebbe infatti come dire: “se non fossi stato comandato, non lo farei”!
Quando il re Avimelekh rapisce Sarah H. lo colpisce con l’impotenza e la chiusura degli orifizi per evitare che egli la violasse. Nel momento in cui la restituisce al marito, Avraham prega per la sua guarigione; subito dopo è scritto: “E H. si era nel frattempo ricordato anche della sterilità di Sarah”, rimasta incinta di Itzchaq. Rashì commenta che qui la Torah ci insegna quanto sia importante pregare per l’ammalato, al punto che: “Colui che prega per un altro e ha bisogno anche lui della stessa cosa, viene esaudito per primo”. Infine è Ishma’el a essere colpito dalla febbre allorché sua madre Hagar fugge nel deserto portandolo via con sè. “E H. udì la voce del fanciullo”: ci insegna -commenta Rashì- che la preghiera più efficace è quella che l’ammalato rivolge per se stesso.
La tecnologia moderna ci consente di metterci in comunicazione con l’ammalato anche senza recarsi da lui personalmente. Due Responsa contemporanei (R. Moshe Feinstein. Resp. Iggherot Moshe, Y.D. I, n. 223; R. ‘Ovadyah Yossef, Resp. Yechawweh Da’at, III, n. 83) si riferiscono alla medesima domanda: esco d’obbligo dalla Mitzwah del Biqqur Cholim mediante una semplice telefonata? Entrambi esordiscono prendendo in esame i tre scopi che deve avere la visita ad un ammalato secondo l’insegnamento dei nostri Maestri: 1) Finalità morale: sollevarlo nello spirito, informandoci di lui e del suo stato di salute. 2) Finalità pratica: prendersi cura dei suoi bisogni concreti, che consistono nel procurargli eventuali medicine, portargli da mangiare e bere, accudirlo, persino spazzare la sua casa. E’ quanto si narra nel Talmud a proposito di un discepolo di R.’Aqivà che si era ammalato e nessuno era andato a trovarlo. Per il merito di R. ‘Aqivà che si mosse e gli riordinò la casa davanti a lui, guarì. Il discepolo gli disse: “Maestro, mi hai risuscitato”. R. ‘Aqivà insegnò: chi non visita l’ammalato è come se versasse il suo sangue (Nedarim 40a). 3) Finalità religiosa: pregare per lui.
Secondo i Responsa citati se ci limitassimo a una telefonata potremmo ottemperare forse soltanto al primo scopo; non certo al secondo, per il quale è necessaria la presenza fisica accanto all’ammalato. Quanto al terzo, abbiamo già visto quanto sia importante pregare per l’ammalato. Vi sono a loro volta tre motivi per cui è opportuno pregare per l’ammalato proprio in sua presenza. 1) Eynah domah reiyah li-shmi’ah: assistere a un fatto ha un impatto diverso su di noi rispetto a sentirne semplicemente parlare. Vedere di persona l’ammalato ispira assai più intensamente la Tefillah che rivolgiamo a H. per lui. E’ quanto si impara dall’episodio della Torah in cui Moshe prende il provvedimento di rompere le Tavole solo dopo aver constatato di persona che il popolo aveva commesso la trasgressione del Vitello d’Oro ancorché ne fosse già stato informato nientemeno che da H. stesso, la fonte più attendibile che ci sia per definizione. 2) I nostri Maestri insegnano che la Shekhinah è presente al capezzale dell’ammalato (Shabbat 12, in base al versetto: “H. lo sostiene sul letto di sofferenza” (Tehillim 41,4). 3) La forma più alta di preghiera che noi possiamo rivolgere per lui è quella che non menziona l’interessato per nome. E’ quanto impariamo da Moshe che pregò per la malattia di sua sorella Miriam dicendo semplicemente: “O D. per favore, guariscila” (Bemidbar 12). Si ritiene che “nomen: omen”: il nome avrebbe parte nel determinare il destino della persona che lo porta e potrebbe essere ora fra le cause scatenanti della sua malattia. In alcuni casi particolarmente gravi si giunge persino ad adottare la procedura di cambiare nome all’ammalato (shinnuy shem). Pregare per l’ammalato senza nominarlo è ovviamente possibile solo in sua presenza, ove è scontato che ci stiamo riferendo a lui.
In conclusione il parere concorde di entrambi i Maestri è che per uscire d’obbligo dalla Mitzwah del Biqqur Cholim in tutti gli aspetti è necessario far visita all’ammalato personalmente. Solo se si è oggettivamente impossibilitati a recarsi da lui sarà sempre meglio di nulla fargli una telefonata, scrivergli un messaggio o una lettera per rincuorarlo e incoraggiarlo. Ma non c’è come il contatto personale diretto per rispondere ai fini che la Torah affida a questa importante Mitzwah (cfr. anche Yalqut Yossef n. 7, p. 26). Occorre certamente scegliere con cura giorno e ora della visita, evitando p. es. la domenica se si sa che già riceve altri parenti e amici a loro volta impossibilitati a recarsi da lui in giorni lavorativi; o le ore della giornata in cui riposa o passano i medici. Ma una volta che si sono poste le dovute attenzioni, non si deve arretrare di fronte allo scrupolo di non disturbare.