Il partito laburista in Israele è oggi una realtà politica inesistente. Ma la crisi della sinistra non è localizzata solo in Medio Oriente: riguarda anche noi
Pace o non pace, ritorno o meno degli ostaggi a casa, il dopoguerra in Israele non produrrà un rovesciamento politico. La destra continuerà ad essere l’area politica dominante. Semplicemente l’area politica che ha messo in piedi il Paese, ottanta anni fa, ovvero il partito laburista, è oggi una realtà politica inesistente. La sinistra va in minoranza in Israele perché si dissolve un linguaggio universalistico. Ma quella crisi riguarda anche noi, qui. Non è localizzata solo in Medio Oriente.
Certo è importante appoggiare e sostenere quelle minoranze che oggi lì (in Israele, ma anche nel mondo palestinese, e più in generale in Medio Oriente) si muovono in «direzione ostinata e contraria». E tuttavia quel confronto riguarda anche noi, qui alle prese con due questioni: il sovranismo e la mancanza di risposte a politiche neoliberiste che progressivamente hanno eliminato non solo il “welfare” ma anche le culture e i progetti di inclusione.
Com’è avvenuta questa trasformazione? Cosa significa?
Quella trasformazione è avvenuta molto tempo fa, quando gli effetti della “Guerra dei sei giorni” (5-10 giugno 1967) non sono più stati percepiti come provvisori, ma come definitivi. È accaduto quando nel linguaggio pubblico «i territori occupati» sono diventati «gli insediamenti». Era la metà degli anni ’70. Quel linguaggio era il lessico della destra.
Prima era avvenuta anche un’altra cosa nello scenario israeliano.
Nel 1970 la protesta dei giovani ebrei provenienti dai paesi arabi chiede soddisfazione del proprio malessere. Accusa l’establishment israeliano, occidentale e di origine europea, di orientalismo. Una parte di quella protesta in mancanza di risposte vira a destra, perché lì trova parole, sentimenti, immaginario.
E con ciò arriviamo alla seconda questione.
Nella crisi e poi nel crollo dell’area laburista israeliana sta la modifica strutturale dell’elettorato, cui corrispondeva anche una modifica radicale degli stili di vita, delle culture diffuse.
Quella che era stata una parte della cultura laburista (per esempio nella riflessione di Enzo Sereni, o di Berl Katznelson) ovvero pensare il futuro di Israele non solo come stato rifugiodegli ebrei perseguitati, ma anche come costruzione di una società condivisa con gli arabi, viene sempre meno e alla fine si dissolve. Significa sempre meno considerare Israele dentro un’area e costruire un’immagine di sé che fa muro intorno a sé.
Non è una scelta di cui Israele ha l’esclusiva. Le culture politiche degli Stati intorno a Israele hanno seguito un percorso analogo: esaurita la generazione delle lotte anticoloniali, il tratto culturale dominante dei nuovi attori politici, a partire dagli anni ’70, è seguire percorsi di fondamentalismo etnico e/o teologico.
La lotta alle diseguaglianze diviene ricerca di protezione nel proprio gruppo (etnico, religioso, politico) più che lotta universalistica per le garanzie. Si afferma definitivamente il «Noi», sparisce «l’altro»
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