Riccardo Di Segni
In questo articolo si presentano i risultati di uno studio condotto sulle conversioni all’ebraismo nella Comunità ebraica di Roma dal 1915 al 2015, in base a tre registri del tribunale rabbinico, altri registri di archivio e l’anagrafe elettronica. Il tribunale rabbinico ha effettuato conversioni principalmente per Roma, ma anche per altre Comunità italiane e, per un certo periodo, estere (come la Spagna). Il saldo attivo dal punto di vista strettamente demografico è positivo, ma, per quanto riguarda i minori, gli indicatori di identità ebraica sono decisamente inferiori al resto della popolazione ebraica.
1. Introduzione[1]
La conversione all’ebraismo (in ebraico ghiùr, pl. ghiurìm) è prevista e regolata da millenni di tradizione, come modalità di ingresso nel popolo ebraico in alternativa alla nascita da madre ebrea. Limitata nel corso dei secoli da legislature esterne coercitive, dall’epoca dell’Emancipazione la conversione è divenuta una realtà sempre più rilevante, oggetto continuo di analisi e discussioni.[2] I dati reali sulla consistenza del fenomeno sono pubblicati in relazioni recenti, anche se spesso parziali,[3] ma per l’Italia sono finora solo presuntivi e generici. In questo articolo si presentano i risultati di uno studio condotto sulle conversioni nella Comunità ebraica di Roma lungo un intero secolo, dal 1915 al 2015. La Comunità ebraica di Roma rappresenta ormai, come entità numerica, la metà dell’ebraismo italiano, è sede di un tribunale rabbinico attivo da secoli, che ha servito anche altre Comunità, ed è per questo importante raccoglierne, analizzarne e presentarne i dati.[4]
2. Richiami normativi
Per meglio comprendere l’argomento sono necessarie alcune premesse esplicative sulla normativa ebraica.[5] Nell’ebraismo ortodosso si diventa ebrei per nascita da madre ebrea o per conversione. Per una particolare evoluzione storica e culturale l’ebraismo non è attivo nel proselitismo, anzi è cauto e resistente alle richieste di conversione. Il primo approccio nei confronti di un candidato è la dissuasione, con la spiegazione di tutte le difficoltà che questo atto comporta. La resistenza cede progressivamente davanti alle insistenze del candidato. Il processo di conversione comprende, oltre alla verifica di una adeguata preparazione del candidato, delle sue intenzioni e del suo comportamento, delle procedure formali finali, che sono per gli uomini la circoncisione e per uomini e donne l’immersione (tevilà, pl. tevilòt) in un bagno rituale, insieme a una dichiarazione di impegno di accettazione dell’osservanza delle regole della Torà. Tutti questi atti vanno eseguiti al cospetto di un tribunale rabbinico (Bet Din) composto da tre rabbini. La procedura è possibile anche per i “minori” (intendendo con questo i maschi di età inferiore ai 13 anni e le femmine di 12), basandosi sul principio che si può fare un dono (l’ingresso all’ebraismo) a chi non è consapevole, con la riserva che al compimento della maggiore età (nel senso sopra detto) la persona ha il diritto di ricusare la procedura a cui è stato sottoposto e il dono ricevuto. Per i minori si eseguono gli atti formali di circoncisione e immersione, ma non essendo possibile, per la giovane età, la dichiarazione di impegno all’osservanza, è il tribunale che si assume la responsabilità. Si ricorre alla conversione dei minori in caso di adozione di bambini non ebrei da parte di genitori ebrei o quando una madre non ebrea desidera convertirsi insieme ai suoi figli. Un’altra eventualità è la conversione di figli di unioni miste, di un padre ebreo e di una madre non ebrea che non desidera convertirsi. Su quest’ultima eventualità vi è una notevole discussione; il principio del “dono” per molti decisori potrebbe essere valido solo se vi sono garanzie ambientali di futura osservanza delle regole tradizionali; se la persona diventata adulta non osserva, per lui l’ebraismo non è un dono ma l’ingresso in un sistema di sanzioni che scattano per chi non osserva; e una famiglia nella quale la madre rimane non ebrea potrebbe non dare sufficienti garanzie di educazione. In altri casi, sono i figli di madri non ebree diventati adulti che chiedono di entrare nell’ebraismo, e per loro la procedura iniziale è meno ostacolata, essendo più chiare le motivazioni della scelta.
Infine, per chi è nato ebreo o lo è diventato mediante conversione e poi è passato ad altra religione, nel caso di un suo desiderio di rientro, è prevista una procedura di riammissione che culmina formalmente in una tevilà.[6] Per questi motivi i registri delle tevilòt dei tribunali rabbinici contengono registrazioni di atti differenti: conversioni di adulti, conversioni di minori e riammissioni.
3. Fonti e metodi della ricerca
Sono stati analizzati per questa ricerca:
Tre registri cartacei del tribunale rabbinico, che consistono in rubriche alfabetiche e in progressione temporale, non sempre rispettata; un primo registro copre gli anni 1915-1975, un secondo gli anni 1976-2005 e un terzo dal 2005. Negli anni di confine qualche registrazione si accavalla tra i registri. Nelle rubriche sono segnati cognome, nome, paternità (non sempre), qualche volta la maternità, e la data civile (g/m/a) dell’atto. Dal 1985 sono indicati anche i nomi dei tre rabbini presenti alla procedura. Non sono segnate le date di nascita. Vi sono in alcuni casi note marginali e sigle (come C per conversione e R per ritorno) ma l’intervento di mani diverse nel corso del tempo non dà un significato univoco a queste voci. I registri cartacei sono stati riversati in file elettronici Excel e questo ha notevolmente facilitato l’elaborazione dei dati.
L’altra fonte principale di informazioni è l’anagrafe elettronica della Comunità ebraica di Roma (CER) che conserva per ogni iscritto o ex iscritto i dati relativi allo stato di famiglia, i matrimoni e qualche informazione aggiuntiva come la celebrazione del bar (per le ragazze: bat) mitzwà. Per questa ricerca, i dati dei registri cartacei e quelli dell’anagrafe sono stati confrontati permettendo di aggiungere le date di nascita, i dati matrimoniali e del bar o bat mitzwà.
Sulla base delle informazioni semplici o incrociate per la maggioranza dei nomi è stato possibile identificare la tipologia dell’atto: conversioni di adulti figli di genitori non ebrei, conversioni di adulti con padre ebreo, conversioni di minori e riammissioni all’ebraismo. I criteri adottati per questa classificazione sono stati in linea di massima questi:
Se il cognome di entrambi i genitori, o soltanto della madre, è ebraico, si tratta di una riammissione;
Se il cognome di entrambi i genitori o soltanto della madre non è ebraico, si tratta di una conversione e, in base alla data di nascita e quella della conversione, è di adulto o minore;
Il criterio del cognome non è comunque attendibile fino in fondo e i casi dubbi vanno verificati.
Il confronto dei dati però è stato limitato da numerose difficoltà. Nei registri cartacei molto spesso i dati sono carenti o errati e l’identificazione è incerta e ulteriormente complicata da diffuse omonimie. Nell’anagrafe, d’altra parte, i dati personali sono spesso incompleti e talvolta chiaramente errati. E, soprattutto, un numero rilevante di nomi dei registri non compare nell’anagrafe. Uno dei motivi dell’assenza dall’anagrafe comunitaria è l’origine non romana; si tratta di persone residenti in altre Comunità italiane o all’estero (la Spagna dal 1987), che hanno usufruito dei servizi del tribunale romano. In molti casi, soprattutto i più recenti, l’origine non romana può essere attestata in base a vari indici: nomi di famiglia assenti a Roma, annotazioni sui registri, notizie derivanti da memorie o conoscenze, presenza nella terna dei giudici del Bet Din di un rabbino non romano (che di solito accompagna il candidato e viene cooptato nel tribunale; ma i nomi dei giudici compaiono solo dal 1985). Altri casi rimangono di definizione incerta, potendo essere non romani, o romani che non sono mai stati iscritti malgrado la conversione o precocemente cancellati, sfuggendo all’iscrizione nell’anagrafe elettronica, o confusi nelle trascrizioni cartacee tanto da non trovare un corrispondente. Tutto questo porterebbe a un’ulteriore classificazione “trasversale” in tre serie: residenti a Roma, non residenti a Roma e “altri”; ma l’identificazione precisa dei non residenti è difficile, essendo possibile solo dal 1946 al 1949 per i Sannicandresi, e, per gli altri, dal 1986 in poi. Nella maggioranza dei casi l’assenza nell’anagrafe elettronica non consente l’identificazione della data di nascita; questo limita l’entità di alcune serie che vengono qui esaminate, come sarà di volta in volta indicato.
Partendo dall’anagrafe elettronica, da questa si può derivare una lista di convertiti all’ebraismo ma, nel confronto con i registri comunitari, risultano assenti circa 104 nomi. I motivi possono essere diversi: la conversione non è stata fatta a Roma, o si è verificato un errore nella trascrizione. In assenza di altre conferme, questa serie non può essere inserita nelle valutazioni ulteriori.
Sono stati inoltre consultati:
Il registro (il cosiddetto Libro nero) conservato presso l’Archivio della CER, nel quale sono riportati i nomi dei battezzati e dei dissociati, ancora in uso per le registrazioni.
I registri delle iscrizioni scolastiche alla scuola elementare ebraica della CER.
3. Risultati[7]
A. Distribuzione generale delle registrazioni
I registri cartacei contengono, senza considerare casi difficilmente classificabili, un totale di 2504 registrazioni, qui esposte nella tabella 1 e nel grafico 1. Risalta con grande evidenza la preponderanza di due tipi: le conversioni di adulti e quelle dei minori, con notevole prevalenza delle seconde sulle prime. È un dato che conferisce a questa serie di dati una caratteristica del tutto particolare.
Tabella 1. Distribuzione generale delle registrazioni delle tevilòt (1915-2015)
| Adulti con genitori non ebrei | Minori | Adulti con padre ebreo | Adozioni | Rientri | Totale |
| 668,0 | 1502 | 78,0 | 23,0 | 233,0 | 2504 |
| % 026,7 | 0060 | 03,1 | 00,9 | 009,3 | 0100 |
Grafico 1. Tipi di tevilòt (1915-2015)

B. Le conversioni degli adulti
Il totale delle conversioni è 668, pari al 26,7% dell’intera casistica. Il primo dato rilevante è la differenza di sesso. Su un totale di 668, gli uomini sono 173 (25,9%) e le donne 495 (74,1%), con un rapporto tra donne e uomini di 2,9.
Sul totale di 668, 268 (39,9%) sono residenti romani, 116 (17,3%) non romani e 284 (42,3%) non meglio identificabili. I non romani provengono dall’estero (Spagna 19 casi, Germania 2) e da altre Comunità italiane: Ancona, Bologna, Ferrara, Firenze, Livorno, Milano, Napoli, Padova, Genova, Trieste e dalla Sicilia. Negli anni dal 1946 al 1949 sono state eseguite 4 conversioni a Bari e circa 50 di Sannicandresi.
L’evoluzione temporale delle conversioni, compattata in trienni, è rappresentata nel grafico 2.
Grafico 2. Conversioni di adulti, totali triennali, 1915-1015

A partire dal primo dopoguerra vi è stato un piccolo (entro il massimo di complessivi 12 in un triennio) e piuttosto costante processo di conversioni di adulti. Anche se non precisamente identificabili, si tratta quasi prevalentemente di casi romani. Dal 1940 al 1943 vi è stato un calo, attribuibile alla persecuzione che però, persino nel 1943, non ha impedito alcune conversioni femminili. Nel secondo dopoguerra vi è stata un’importante risalita, nella quale hanno avuto un ruolo importante le conversioni dei Sannicandresi. Dal 1950 in poi assistiamo a una ripresa in lenta crescita progressiva, fino ad arrivare, dal 1965 al 19’91, a un totale triennale sopra le 20 unità. I casi sicuramente romani rimangono piuttosto costanti fino al 2000, da un minimo di 9 al massimo di 14 triennali. Dalla fine degli anni Ottanta è evidente il ruolo di servizio del Bet Din per altre Comunità non romane. All’inizio del nuovo millennio si verifica un picco, dal 2004 al 2006.
È possibile valutare il destino matrimoniale dei convertiti adulti, ma solo per coloro che risultano registrati nell’anagrafe, e che sono una minoranza. Su 46 uomini, 33 (71,73%) risultano sposati con ebree e due con non ebree; su 233 donne, 170 (72,96%) sono sposate con ebrei; non risultano matrimoni con non ebrei. Di queste 170 donne (v. avanti, § C.5), 32 hanno già avuto figli dal partner ebreo, convertiti prima o contestualmente a loro. In almeno 5 casi a convertirsi è un intero gruppo famigliare (madre, padre, figli).
Sempre per coloro che sono registrati nell’anagrafe, si può calcolare l’età media della conversione, che risulta essere per gli uomini 36,7 anni (mediana 34) e per le donne 34,0 (mediana 31). Il grafico mostra un’evidente distribuzione temporale, con un picco dai 26 ai 31 anni. In particolare per le donne, risulta un’evidente correlazione con l’età matrimoniale. Per le conversioni in età avanzata si tratta, in molti casi, di donne già sposate a ebrei.
Grafico 3. Età della conversione degli adulti, 1920-1979

C. Le conversioni dei minori
1. Differenze maschi/femmine: su un totale di 1502 conversioni, i maschi sono stati 796 e le femmine 706, con lieve prevalenza maschile (53% rispetto a 47%, rapporto uomini/donne 1,12). Evidentemente qui gioca la scelta dei genitori, che non distingue tra figli (se non minimamente, forse la necessità della circoncisione), a differenza della scelta autonoma dell’adulto.
2. I residenti a Roma sono 1212 (80,3%), i non romani 28 (1,9%), gli altri non meglio definibili 262 (17,4%).
3. L’evoluzione nel tempo è rappresentata nel grafico 4.
Grafico 4. Conversioni di minori, totali triennali, 1915-2015

Queste conversioni cominciano a essere registrate dal 1915, crescendo lentamente fino a un primo picco (in media 13 per anno) agli inizi degli anni Trenta; vediamo poi una flessione progressiva durante la persecuzione. Nel dopoguerra, le conversioni riprendono lentamente fino al 1955 (dai 6 agli 8 in media per anno). Un primo raddoppio (più di 13 per anno) si verifica nel periodo dal 1956 al 1967. Dal 1968 si verifica un ulteriore raddoppio, con un picco nel 1974-76 (34 in media per anno), cifra che subisce un lieve calo solo nel triennio 1983-85 (22 annuali in media) per poi rialzarsi e mantenersi alta fino al 2000-2001. Il profilo delle conversioni è cambiato dal 2002, non per il calo dei candidati, ma per una diversa scelta del rabbinato;[8] fino a quel momento la conversione veniva eseguita su semplice richiesta sottoscritta dai genitori. Dal 2002 la richiesta alle famiglie dei candidati di garanzie di impegni educativi (frequenza scolastica ebraica) e di osservanza religiosa (rispetto delle regole alimentari, frequenza della Sinagoga, rispetto del Sabato e delle feste) ha avuto come conseguenza una contrazione progressiva delle conversioni dei minori.
Le due brusche salite, dal 1956 e soprattutto dal 1968, sono evidentemente dovute all’aumento dei matrimoni misti a Roma, significativo anzitutto dalla fine degli anni Sessanta, fenomeno ben descritto al suo inizio da Sergio Della Pergola; Roma fino a quel momento era stata la Comunità italiana con il più basso numero di unioni miste, ma ha finito per adeguarsi quasi all’improvviso alla tendenza nazionale.[9]
Il cambiamento si vede con maggiore evidenza considerando, invece delle date di conversione (su questo v. subito avanti), quelle di nascita dei bambini residenti a Roma che sono stati convertiti, come risulta dal grafico 5.
Grafico 5. Bambini sottoposti al ghiur secondo l’anno di nascita, totali triennali, 1917-2003

Fino al 1958 le nascite di bambini poi sottoposti al ghiur erano meno di 7 all’anno; dal 1959 al 1967 una media di 17 all’anno; dal 1968 al 2000 almeno 24 all’anno. Rispetto al numero assoluto di figli di madri non ebree e delle conversioni si tratta di cifre minime e in difetto: per quanto riguarda le conversioni, dal 1968 al 2000 l’anagrafe ne registra altre 86 (che non risultano nei registri delle conversioni), pari a 2,3 all’anno, che in parte potrebbero essere romane; per quanto riguarda il numero dei nati, questo è certamente superiore, ma non è possibile sapere quale percentuale di nati da madre non ebrea sia stata avviata alla conversione e quale esclusa fin dall’inizio; notevole il confronto con la popolazione ebraica generale. Nel periodo 1968-2000 il numero totale dei bambini romani nati da madre non ebrea e sottoposti a ghiur è di 826, che rappresenta il 13,6% del totale di 6058 bambini nati in quel periodo e iscritti alla Comunità. Nei due trienni di confine (1968-1970 e 1998-2000) la percentuale è stata dell’11% circa; la massima percentuale (18%) si registra nel triennio 1985-88.[10] Il grafico 6 rappresenta l’andamento della natalità in generale con la componente dei gherim distinta.
Grafico 6. Nascite nella CER, totali triennali, 1968-2015

4. Età media del ghiur. Fino al 2007, su 649 maschi di cui si conosce la data di nascita, l’età media del ghiur è stata molto precoce, pari a 2,47. Su 541 femmine, ancora più precoce: 1,83. Contando insieme maschi e femmine, l’età media è stata 1,41. Nell’anno della nascita sono stati sottoposti a ghiur il 38,52% dei maschi e il 43,37% delle femmine; entro il primo triennio rispettivamente 75,92% e 80,12%. Nell’ultimo triennio rispetto all’età del bar-bat mitzwà le percentuali sono state rispettivamente 8% e 5,6%. Nella più piccola e recente serie dal 2008, 14 maschi e 7 femmine, l’età media è stata sensibilmente più alta, rispettivamente 6 e 7,28. Questo perché il Bet Din ha deciso di attendere il raggiungimento dell’età scolare per verificare l’iscrizione alla scuola ebraica. Per tutta la serie precedente è evidente l’intenzione (combinata delle famiglie e del tribunale) di risolvere la questione quanto più precocemente. La relativa maggiore precocità del pubblico femminile può essere in rapporto alla difficoltà e alle resistenze collegate al rito della circoncisione, che può rappresentare un freno, ma è comunque un appuntamento irrinunciabile.
5. Conversione contestuale o successiva della madre. Confrontando gli elenchi delle madri non ebree dei bambini sottoposti al ghiur e quelli delle conversioni delle donne adulte, sono stati identificati, su un totale di 903 madri (che possono avere avuto più di un figlio), 59 nomi di donne (6,5%) che contestualmente o dopo la conversione dei figli hanno fatto loro stesse il ghiur. Considerando solo le madri romane, il loro totale è 744, di cui 32 si sono convertite (4,3%). Nella popolazione non residente la percentuale delle conversioni è relativamente più alta (17,0%), verosimilmente in rapporto a un pubblico più selezionato che converge al tribunale di Roma per regolamentare in maniera più completa la situazione famigliare. Il dato è rilevante alla luce delle linee comportamentali di molti altri rabbinati, che convertono i bambini solo contestualmente alle madri, mentre a Roma tale procedura è limitata a una minoranza.
Tabella 2. Ghiur di madri non ebree, 1915-2015
| Madri | Totali | Romane | Non romane |
| di bambini convertiti | 903,0 | 744,0 | 159,0 |
| convertite anche loro | 059,0 | 032,0 | 027,0 |
| % | 006,5 | 004,3 | 017,0 |
6. Scolarità ebraica. I nomi dei bambini convertiti sono stati confrontati con gli elenchi degli alunni iscritti alle scuole ebraiche elementari romane. La ricerca è stata compiuta per i nati in tre periodi: il primo decennio del secondo dopoguerra, dal 1945 al 1954, il decennio dal 1965 al 1974 e i tredici anni dal 1989 al 2001 (gli anni successivi non vengono considerati essendo cambiate le condizioni richieste per la conversione). I risultati sono qui di seguito esposti:
Tabella 3. Iscrizione a scuole ebraiche di gherím, 1945-2001
| Anni | Totale di gherim | Gherim iscritti a scuola | % degli iscritti |
| 1945-54 | 072 | 031 | 43,05 |
| 1965-74 | 246 | 074 | 30,08 |
| 1989-2001 | 289 | 066 | 22,83 |
| totale | 607 | 171 | 28,17 |
La media complessiva è del 28,2% ma si può vedere come la percentuale di iscrizione sia progressivamente diminuita, passando dal 43,1% nel primo periodo considerato (con un numero minore di conversioni) al 22,8% del periodo finale.
I dati vanno confrontati con la frequenza della popolazione generale alla scuola ebraica. Nel periodo 1989-2001 la frequenza di iscrizione alla scuola ebraica dei figli di madre ebrea è stata in media del 54,2% (980 iscritti a scuola su 1809 nati), crescendo da un minimo del 51,7% al massimo del 56,6%, rispetto al 22,8% dei convertiti iscritti a scuola. Il gruppo dei figli di madre ebrea comprende però anche i figli di padre non ebreo e madre ebrea, che presentano percentuali di iscrizione alla scuola molto ridotte e abbassano la media del gruppo; considerando solo i figli di entrambi genitori ebrei la percentuale di iscritti si alza di circa 5 punti. Inoltre va considerato che il numero degli iscritti in Comunità è, al momento dell’iscrizione a scuola, già ridotto rispetto a quello dei nati in un determinato anno,[11] per cui la percentuale degli iscritti a scuola, calcolata sull’effettiva presenza e non sulla data di nascita, è da aumentare ulteriormente. L’evoluzione nel tempo delle scelte dei due gruppi, dal 1989 al 2001, compattata in tre trienni e l’ultimo quadriennio, è rappresentata dal seguente grafico:
Grafico 7. Percentuali di iscrizione di gherím alla scuola elementare ebraica a confronto con i figli di madre ebrea (1989-2001)

7. Bar-bat mitzwà. Il bar-bat mitzwà (maggiorità religiosa) è una cerimonia che festeggia il passaggio all’età “adulta”, 12 anni per le ragazze, 13 per i ragazzi, coincidente con l’evento fisiologico della pubertà. È un evento religioso, che segna l’ingresso nella responsabilità dell’osservanza, ma viene celebrato in ampie fasce della popolazione ebraica, i cui modelli di identità e pratica religiosa sono molto differenti. È pertanto un indicatore significativo di una scelta di identificazione ebraica, e, quando assente, può indicare un rapporto debole con l’ebraismo – anche se nelle decisioni familiari possono talora intervenire fattori di altra natura (difficoltà economiche, distanza geografica ecc.); per le ragazze gioca anche la relativa recente istituzione del rito.[12] Si aggiunga il fatto che la celebrazione è formalizzata da un esame e da cerimonie pubbliche, e viene annotata nei registri comunitari, per cui è un dato facile da rilevare, ammesso che tali registri siano sufficientemente completi. Per quanto riguarda i minori convertiti, il dato assume un’importanza speciale, perché è a quella età che si può esprimere il diniego per la conversione ricevuta. Anche se, in termini rituali, è efficace solo la dichiarazione formale di dissenso, la mancata celebrazione del bar-bat mitzwà ha un suo significato.
I dati qui di seguito esposti si riferiscono esclusivamente alla popolazione romana di cui sia nota la data di nascita e sono ordinati in base ad essa, partendo dai nati nel 1932, per i quali nel dopoguerra iniziano le registrazioni dei bar-bat mitzwà, fino ai nati nel 2002.
Su 591 maschi, 336 (56,9%) hanno fatto il bar mitzwà; su 514 femmine hanno fatto il bat mitzwà 289 (56,2%). La percentuale è dunque praticamente identica per entrambe i sessi. Nell’evoluzione temporale si segnala una caduta delle frequenze per i nati dal 1950 al 1952, che avrebbero dovuto celebrare la maggiorità religiosa nell’arco degli anni 1962-1965. Dai livelli più bassi si arriva, con i nati dal 1959 al 1961, a una media costante, con qualche oscillazione in eccesso e difetto (minimo 40, massimo 72%). Il grafico 8 rappresenta l’evoluzione nel tempo dai nati nel 1941.
Grafico 8. Frequenza di bar-bat mitzwà dei gherím secondo l’anno di nascita, 1941-2003

Le percentuali assumono maggiore significato se si confrontano con i dati della popolazione ebraica generale. A questo proposito si può fare riferimento a due date particolari. La prima è il 1965. In quella data un’indagine condotta su un campione di popolazione dai 15 anni in su mostrava che a Roma, a confronto con le altre Comunità italiane, c’era una minore frequenza di bar-bat mitzwà, pari al 68,2% per gli uomini e al 56,3% per le donne.[13] Ora, calcolando la frequenza del bar-bat mitzwà in tutti i nati fino al 1950 da madre non ebrea e convertiti in età minore, otteniamo per i maschi una frequenza del 34,48% e per le femmine del 44,11%.
Tabella 4. Frequenza di bar-bat mitzwà, popolazione ebraica totale e gherím, 1965
| Popolazione generale | Gherim | |
| Maschi | 68,2 | 34,48 |
| Femmine | 56,3 | 44,11 |
Il confronto mostra che la frequenza per i maschi convertiti era la metà del resto della popolazione, e per le femmine di poco inferiore, anche se, fra i gherim, le femmine che facevano il bat mitzwà erano più dei maschi. La seconda data è trent’anni dopo, intorno al 1995. Per un calcolo più preciso e concentrato nel tempo sono stati considerati tutti i nati negli anni 1982-83, destinati al bar-bat mitzwà nel triennio intorno al 1995. Sono state calcolate le frequenze distintamente per i bambini nati ebrei e per quelli convertiti. Si vede che a trent’anni di distanza dal 1965, nella serie dei bambini nati ebrei a Roma le percentuali sono salite, arrivando a 84,31% e 73,52% rispettivamente per i maschi e le femmine. In quella dei convertiti le cifre sono inferiori (56,25% e 61,9%), più per i maschi, meno per le femmine. Come nella serie del 1965, le femmine sono più dei maschi. Si noti infine come la minore frequenza nel gruppo dei convertiti incida significativamente nell’abbassare le percentuali totali, calcolate considerando insieme tutti i bambini.
Tabella 5. Frequenza di bar-bat mitzwah fra i nati ebrei e i gherím, 1982-83
| % | Nati ebrei | Gherim | Totale della popolazione |
| Maschi | 84,3 | 56,3 | 77,6 |
| Femmine | 73,5 | 61,9 | 71,5 |
| Media | 78,9 | 58,5 | 74,7 |
Grafico 9. Percentuale dei nati 1982-83 che hanno fatto bar-bat mitzwà

8. Matrimonio. La scelta matrimoniale di chi è stato convertito in età minorile (con coniuge ebreo o non ebreo, oppure assenza di matrimonio) è un parametro molto importante. La valutazione di questo dato risulta però molto difficoltosa per la carenza delle registrazioni comunitarie; più precisamente il matrimonio con non ebrei viene registrato dalla Comunità solo quando è stato notificato dagli interessati, ma questo avviene per motivi particolari (come il desiderio di convertire i figli) e da molto tempo le registrazioni sono carenti; al contrario, il matrimonio ebraico, passando perlopiù per gli uffici comunitari, è quasi sempre registrato; quindi i dati relativi al matrimonio ebraico hanno un buon margine di attendibilità, a differenza degli altri (assenza di matrimonio e matrimonio con non ebrei). Considerando i convertiti di cui è nota la data di nascita (492 maschi nati fino al 1991 e 483 femmine nate fino al 1995)[14] risultano sposati con ebree il 12.0% degli uomini e il 16.6% delle donne. Il dato del matrimonio con non ebrei, lievemente inferiore, è del tutto inattendibile poiché non vi è certezza sulla completezza dei dati, e potrebbe essere molto più alto. Se si considerano invece solo i casi di coloro che si sono sposati e di cui è nota la religione del coniuge, la percentuale di sposati con ebrei sarebbe del 56%, comunque inferiore a quella di coloro che sono ebrei dalla nascita.
Tabella 6. Gherìm sposati secondo la religione del coniuge
| Totale | Sposati con ebrei | Sposati con non ebrei | Senza dati | % Sposati con ebrei rispetto al totale | % Sposati con ebrei rispetto al totale noto di sposati | |
| Maschi | 492 | 059 | 058 | 389 | 12,0 | 50,4 |
| Femmine | 483 | 080 | 051 | 333 | 16,6 | 61,1 |
| Totale | 975 | 139 | 109 | 722 | 14,3 | 56,0 |
9. Incrocio dei dati. I risultati raccolti relativi alla frequenza scolastica, al bar-bat mitzwà e alle scelte matrimoniali possono essere incrociati tra di loro con risultati interessanti.
Scuola: Tra coloro che hanno frequentato la scuola elementare ebraica, dei nati nella prima serie di anni (1945-54), solo il 22,6% ha poi fatto il bar-bat mitzwà, malgrado la frequenza alla scuola; nelle serie successive il numero è progressivamente salito fino al 95,5%.
Tabella 7. Gherím iscritti a scuola ebraica e che hanno fatto il bar-bat mitzwà, 1945-2001
| Nati negli anni | Iscritti a scuola | Hanno poi fatto il bar –bat mitzwà | % |
| 1945-54 | 31 | 07 | 22,6 |
| 1965-74 | 74 | 60 | 81,1 |
| 1989-2001 | 066 | 063 | 95,5 |
| totale | 171 | 130 | 76,0 |
Su 212 bambini che hanno frequentato la scuola ebraica (nati maschi fino al 1991 e femmine fino al 1995) 43 (20,28%), si sono sposati con ebrei; ma, se si considerano solo i nati fino al 1975 i matrimoni ebraici di chi ha frequentato la scuola ebraica sono 40 su 137, pari al 29,19%. Nel gruppo successivo di 75 persone, i matrimoni sono solo 3, e questo potrebbe essere dovuto a un ritardo dell’età matrimoniale nei nati più recentemente. Dei 43 sposati, 36 ha fatto anche il bar-bat mitzwà.
Bar-bat mitzwà: Il 15,1% dei maschi che hanno fatto il bar mitzwà, risultano sposati con ebree, rispetto al 8,5% di quelli che non l’hanno fatto; il 21% delle femmine rispetto al 12,5%; insieme, maschi e femmine, il 18% rispetto al 10,4%. Mettendo insieme i dati, il 14,2% di matrimoni ebraici dei gherìm è diviso tra il 9,6% di chi ha fatto bar-bat mitzwà e il 4,7% di chi non l’ha fatto.
Tabella 8. Gherim secondo scelta del coniuge e bar-bat mitzwà
| Hanno fatto bar-bat mitzwà | Non hanno fatto bar-bat mitzwà | |||||
| Totale | Sposati con ebrei | % | Totale | Sposati con ebrei | % | |
| Maschi | 258 | 39 | 15,1 | 234 | 20 | 08,6 |
| Femmine | 257 | 54 | 21,0 | 207 | 26 | 12,6 |
| Totale | 515 | 93 | 18,1 | 441 | 46 | 10,4 |
Grafico 10. Gherìm secondo scelta del coniuge e bar-bat mitzwà

10. Abbandono della Comunità. L’abbandono diventa formale con il battesimo, con la dissociazione o con la mancata conferma di iscrizione al compimento dell’età adulta. Fino al 1949 i battesimi di chi era stato prima sottoposto a tevilà sono stati 65; dal 1950 ne risultano 49 (dal registro delle abiure), 32 dissociazioni senza battesimo e 5 mancate conferme (dall’anagrafe comunitaria); in tutto 86 abbandoni formali dal 1950, su 1105 nati dal 1932. C’è quindi una percentuale, stabilizzatasi dal 1950 intorno al 7%, che non si identifica con la Comunità.
D. Evoluzione temporale dei due tipi principali
Il grafico mette a confronto l’evoluzione nel tempo dei due tipi principali di conversioni, quella degli adulti e quella dei minori.
Grafico 11. Conversioni di adulti e minori, totali triennali, 1915-2015

Il rapporto tra conversioni adulti e minori è stato, salvo due periodi di eccezione, a favore dei minori. Il primo periodo di eccezione è quello del secondo dopoguerra, in cui pesano anche le conversioni dei Sannicandresi; il secondo parte dal 2004, per la diversa politica adottata che ha portato alla riduzione delle conversioni dei minori. In compenso ci sono stati periodi (1935-1938 e 1953-1955) in cui le conversioni degli adulti si sono ridotte notevolmente; il primo calo è collegabile alla persecuzione, il secondo non è ben comprensibile. A parte queste eccezioni, in particolare dagli inizi degli anni Sessanta assistiamo a un rapporto piuttosto costante tra i due gruppi (numero dei minori rispetto a quello degli adulti), oscillante da un minimo di 2,5 a un massimo di 6, in media 3,6.
E. Le conversioni dei figli di padre ebreo in età adulta
Le conversioni di figli di padre ebreo in età adulta rappresentano una situazione a parte, a metà strada tra le conversioni dei non ebrei senza origini ebraiche e di quelle dei figli di padre ebreo in età minore. In questi casi l’origine ebraica diventa lo stimolo per una scelta attiva e cosciente di identificazione con l’ebraismo. Ma si tratta di un fenomeno molto contenuto nella nostra serie, in rapporto alle altre tipologie: queste conversioni sono in tutto 78, con parità di sesso (39 maschi e 39 femmine) e rappresentano il 3,1% dell’intera casistica, l’11,7% rispetto a quelle degli altri adulti e il 5,2% rispetto a quelle dei minori. Il numero limitato potrebbe essere anche attribuito al fatto che la diffusione della pratica di conversione dei minori aveva lasciato pochi casi residui in età adulta. Se si suppone comunque che possano essere rimasti dei casi sospesi, le cifre esigue testimoniano di uno scarso interesse per l’ebraismo. Dal punto di vista dell’evoluzione temporale il fenomeno risulta diluito nel tempo. Compattando per decenni, si vede che, fino agli anni Cinquanta, si arrivava al massimo di 4 casi per decennio; successivamente il totale decennale è oscillato da 12 a 16. Il calo dell’ultimo decennio potrebbe essere legato ai percorsi più impegnativi richiesti agli aspiranti.
Grafico 12. Conversioni di adulti figli di padre ebreo, secondo decenni, 1919-2006

F. Adozioni
Le adozioni, con conversione del minore adottato, sono presenti, ma in numero molto contenuto. Si tratta di 23 bambini, 12 maschi e 11 femmine, che costituiscono il 0,9% dell’intera casistica delle tevilot. Il fenomeno inizia dal 1971 ed è distribuito nel tempo senza picchi significativi.
G. Rientri all’ebraismo
La casistica delle tevilot comprende anche un numero significativo di rientri nell’ebraismo, dopo il battesimo subìto o scelto attivamente. Si tratta di 233 casi, pari al 9,3% dell’intera casistica delle tevilot. Nella distribuzione temporale è evidente il picco nell’immediato dopoguerra, come fenomeno di normalizzazione dopo il trauma della Shoà e della scelta conversionistica adottata da molti per limitare o evitare le conseguenze della persecuzione; dal 1938 al 1944 vi furono 897 battesimi, preceduti da 215 dal 1930 al 1937 (con sospetto sull’effettiva verità di queste date, molti presentarono documenti retrodatati);[15] aggiungendo altri 198 casi fino al 2005, come risulta dai registri comunitari, si arriva a un totale di 1310 battesimi.[16] In tutta la seconda metà del secolo scorso, però, e fino ai giorni nostri, il fenomeno del rientro è continuato seppure con piccoli numeri; hanno chiesto e ottenuto di rientrare nell’ebraismo il 18% circa dei battezzati.
Grafico 13. Rientri all’ebraismo, totali triennali, 1917-2017

5. Discussione e Conclusioni
Riassumendo i primi dati principali, 746 conversioni di adulti, di cui 78 di padre ebreo, e 1502 di minori, costituiscono una dimostrazione consistente e prolungata dell’attrazione che l’ebraismo ha esercitato, con una crescita progressiva di interesse dal secondo dopoguerra. Il fenomeno è stato principalmente romano, ma ha coinvolto altre città italiane (e per un certo periodo la Spagna) che a Roma si sono rivolte.
Analizzando i dati si vede che le motivazioni di questa attrazione sono state in prevalenza legate a problematiche famigliari dovute a unioni miste, alcune delle quali sono state ebraicizzate con la conversione del coniuge (futuro o già sposato civilmente) o regolarizzate nelle conseguenze con la conversione dei figli. Questo sembra infatti il movente della maggioranza delle conversioni adulte, che sono per ¾ femminili, e in età nuziale. Dimostrazione ulteriore di forza attrattiva, nella quale non mancano motivazioni famigliari, sono i rientri dopo i battesimi, presenti in una percentuale non indifferente: il 18% dei battezzati. Tutto questo non esclude certamente un’altra serie di conversioni singole o di gruppi famigliari, motivate da puro interesse religioso, ma che costituiscono una minoranza nel complesso.
Il dato prevalente è quindi caratterizzato da una certa ambiguità: da un lato il risultato dell’ingresso nell’ebraismo è segno di forza attrattiva e, nelle unioni miste, di prevalenza della parte ebraica rispetto all’altra. D’altro lato però è indice di una debolezza del sistema, in cui la tradizionale riluttanza a contrarre matrimonio con non ebrei è venuta meno, e in cui si è cercato di rimediare alle conseguenze con politiche conversionistiche.
Per effetto di queste unioni e delle scelte del Bet Din, la Comunità ebraica romana risulta ora composta per almeno il 12% di gherim, con legami coniugali e parentali con altri membri della Comunità.
Nell’Anatomia dell’ebraismo italiano del 1976 erano state pubblicate stime e proiezioni dell’evoluzione numerica della popolazione ebraica in Italia, che comprendevano il tema delle conversioni all’ebraismo e dall’ebraismo.[17] Tali stime e proiezioni erano basate sui dati parziali disponibili e sulla percezione delle tendenze predominanti prima del 1965. I dati relativi a Roma vengono qui messi a confronto con i risultati effettivi della nostra ricerca, aggiungendo i dati effettivi del periodo 1986-2005.
Tabella 9. Stime, proiezioni, e dati effettivi sulle conversioni all’ebraismo e sui battesimi, 1946-2005
| 1946-1965 | 1966-1985 | 1986-2005 | |||
| Stima | Effettivi | Proiezione | Effettivi | Effettivi | |
| Saldo | -320 | +100 | -90 | +548 | +626 |
| Ghiurìm | 30 | 216 (22 adulti, 19 adulti di padre ebreo e 175 minori) | 70 | 591 (84 adulti, 24 adulti di padre ebreo e 483 minori) | 645 (174 adulti, 20 adulti di padre ebreo e 471 minori) |
| Battesimi ecc. | 350 | 116 | 160 | 43 | 19 |
La realtà della Comunità Ebraica di Roma si è rivelata significativamente differente dalle tendenze percepite e solo in parte documentate prima del 1965. A differenza di una tendenza percepita e proiettata che comportava un costante saldo passivo fra le entrate e le uscite rispetto all’ebraismo, i dati reali dimostrano invece l’esistenza di un costante saldo attivo. Il guadagno in termini numerici è evidente, anche perché la componente negativa del battesimo e dell’abiura non ha avuto più un impatto significativo, mentre sono cresciute le conversioni (e dal 1966 basterebbero solo quelle degli adulti a compensare le perdite dei battesimi). Ma il bilancio, con l’impressione che se ne ricava di un guadagno crescente, andrebbe fatto non solo in rapporto alle perdite del battesimo, ma anche ad altri fattori negativi come le perdite per calo di natalità. È quello che viene fatto in ambienti demografici e ripreso anche in termini politici.[18] Il ragionamento proposto da alcuni è che siccome la natalità si è notevolmente contratta, le conversioni possono rappresentare il compenso mancante. Si può però osservare che dal punto di vista meramente numerico ci sarebbe un apporto dell’11-15% rispetto ai nati di ogni anno da madre ebrea, a fronte di un calo di natalità che rispetto alle cifre degli anni Settanta è arrivato a più del 60%. Il compenso sarebbe ben magro. Per cui invece di considerare il calo di natalità come un evento ineluttabile, e le conversioni come l’unico (o comunque un) rimedio possibile, bisognerebbe verificare le possibilità di invertire la tendenza con adeguate politiche sociali di sostegno alla famiglia.
Per quanto riguarda le conversioni degli adulti, i dati ricavati presentano molte analogie con la serie recentemente pubblicata circa le conversioni ebraiche negli Stati Uniti,[19] nei parametri del rapporto uomini/donne (74,6% nella nostra serie e 78% in quella USA) e dell’età (tra 20 e 29 anni rispettivamente 42% e 45%, tra 30 e 39 rispettivamente 33% e 27%, tra 40 e 49 rispettivamente 14% e 12%).
Se questo dato è in linea con tendenze internazionali, non lo è quello della preponderanza delle conversioni dei minori (in assenza della conversione materna) nella intera casistica. Un fenomeno che è l’espressione di scelte fatte da alcuni rabbinati dall’inizio del Ventesimo secolo e condivise dal rabbinato italiano e inizialmente riferite a entità numeriche relativamente esigue.
Sempre a proposito di conversione di minori, l’ampiezza del fenomeno romano e delle altre Comunità che a Roma si sono appoggiate consente il rilievo di dati su alcuni parametri identitari ebraici oggettivamente misurabili. Riassumendo i risultati si vede che su 100 gherim minorenni, arrotondando:
Il 93% rimane legato alla Comunità, mentre il 7% la abbandona per battesimi o dissociazioni.
Il 57% compie il bar-bat mitzwà, mentre il 43% non si presenta all’appuntamento di conferma.
Il 28% frequenta la scuola elementare ebraica, con tendenza progressiva alla riduzione di questa percentuale, fino al 22% dal 1989. Almeno il 72% sfugge ad un’educazione ebraica formale e all’integrazione sociale offerta dalla scuola.
I dati sulle scelte matrimoniali non sono completi. Considerando anche chi non si sposa, il 14% si sposa con un coniuge ebreo, il resto (86%) sceglie un partner non ebreo o non si sposa. Ma una volta dedotti i casi di persone non sposate, la percentuale di matrimoni endogamici sarebbe più alta. La percentuale degli sposati con ebrei cresce fino al 29% tra chi ha frequentato la scuola ebraica; chi ha fatto il bar-bat mitzwà ha il doppio di probabilità di sposare un ebreo rispetto a chi non l’ha fatto. Davanti a queste correlazioni c’è da chiedersi se questo significativo incremento di matrimoni endogamici sia una conseguenza dell’educazione ebraica o se matrimonio, bar mitzwà e scolarità siano espressioni indipendenti di un maggior interesse della famiglia; probabilmente non c’è una risposta univoca, ma è innegabile che l’azione dei diversi possibili agenti di socializzazione ebraica possa essere non trascurabile.
Tutte queste percentuali sono ben al disotto delle scelte degli altri iscritti.
Grafico 14. Indici di identità ebraica dei gherím minori

Tra tutti i dati, quelli sulle scelte matrimoniali ebraiche hanno un significato decisivo nella prospettiva a medio e lungo termine di continuità transgenerazionale. Le percentuali rilevate sono in qualche modo sovrapponibili a dati recenti pubblicati negli Stati Uniti, dove «tra gli ebrei sposati figli di un unico genitore ebreo, l’83% ha un coniuge non ebreo».[20] A differenza dell’indagine americana, i nostri dati si riferiscono solo ai figli di madre non ebrea e soprattutto a quelli che sono stati convertiti all’ebraismo. Se il risultato di una politica conversionistica aperta è quello che si è descritto, c’è da chiedersi se gli stessi risultati positivi, o ancora migliori, non possano essere ottenuti con diverse politiche di accoglienza, integrazione e formazione.
Tutto questo senza considerare gli aspetti strettamente halakhici del problema (non secondari per chi scrive) e la disponibilità del vasto mondo ebraico[21] ad accettare e validare scelte locali sempre più oggetto di discussione.
[1] Questo articolo riprende in parte e prosegue la presentazione di dati del mio precedente studio Battesimi e conversioni all’ebraismo a Roma nella prima metà del novecento. Indagine preliminare su due registri, «La Rassegna Mensile di Israel» LXXXI (2015), pp. 21-49. Il tema dei battesimi e delle abiure è stato qui considerato solo marginalmente, rappresentando per la seconda metà del Ventesimo secolo una realtà molto contenuta rispetto alla prima metà del secolo e all’entità dei dati delle conversioni all’ebraismo; v. più avanti al punto 4. G Rientri all’ebraismo. Sono grato per l’aiuto nelle ricerche allo staff dell’ASCER e in particolare a Claudio Procaccia, Silvia Haia Antonucci, Marcello Anticoli, alle segretarie dell’Ufficio Rabbinico Gianna Di Segni e Miriam Garcea. Un ringraziamento speciale alla direttrice della Scuola Elementare Ebraica Milena Pavoncello, per la sistematica verifica dei nomi negli archivi della scuola.
[2] Aspetti recenti, storici e sociologici sono discussi da diversi autori in Emanuela Trevisan Semi (a cura di), La conversione all’ebraismo in età moderna, Acireale, Bonanno 2016.
[3] Per le conversioni ortodosse negli Stati Uniti cfr. FINAL REPORT OF THE GPS REVIEW COMMITTEE June 29, 2015, nel sito http://rcarabbis.org/pdf/GPSFINALREPORT_FINAL_June28.pdf. Per lo Stato d’Israele, Flora Koch Davidovich, Heqqef ha-ghiurim we-hamarot ke-datot acherot be-Israel, 23/5/2013 nel sito https://www.knesset.gov.il/mmm/data/pdf/m03129.pdf.
[4] Dopo lo studio fondamentale di Sergio Della Pergola, Anatomia dell’ebraismo italiano, Roma, Carucci 1976, per gli aggiornamenti sulla Comunità romana cfr. Daniele Spizzichino, Le trasformazioni demografiche della Comunità ebraica di Roma (1945-1965) in Id, (a cura di), Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, La Comunità Ebraica di Roma nel secondo dopoguerra, Economia e società (1945-1965), Roma, Camera di Commercio di Roma 2007, ed Eugenio Sonnino, La popolazione della Comunità ebraica di Roma durante l’ultimo ventennio, «Zakhor» VII (2004), pp. 81-104. Mancano però dati aggiornati e sistematici sull’entità del fenomeno delle conversioni. Nell’aggiornamento sociologico di Enzo Campelli, Comunità va cercando ch’è si cara… Sociologia dell’Italia ebraica, Milano FrancoAngeli 2013, il tema è affrontato come “problema sentito” documentando le passioni e le opposte visioni che solleva.
[5] Le regole sulle conversioni all’ebraismo sono codificate nello Shulchan ‘Arukh, Yorè De’à 268, precedute e seguite da ampia letteratura responsoria che si è sviluppata specialmente negli ultimi due secoli discutendo in modo approfondito i problemi derivanti da mutate condizioni sociali. Una vasta raccolta di responsa è pubblicata in Yosef Avior, Hilkhot Gherim be-nissuè ta’arovet, [Merkaz Shapira], Ha-Makhon ha-Toranì she-le-yad Yeshivat Or ‘Etzyon 1998. Un ampio studio storico in Menachem Finkelstein, Proselytism, Halakha and Practice, Ramat-Gan, Bar-Ilan University Press 1994 (in ebraico). Esempi di discussioni recenti in: Israel Rosen, ‘We-ohev ger’ or ‘al ha-ghiur be-Israel, Gush ‘Etzyon, Makhon Tzomet 2010; Zvi Zohar, Avraham Sagi, Ghiur we-zehut yehudit, ‘iyyun be-yesodot ha-Halakhà, Jerusalem, Shalom Hartman Institute-Bialik Institute 1997 (seconda ristampa). Una esposizione in italiano delle problematiche recenti in Donato Grosser, Sulle conversioni dei bambini, «Segulat Israel» VII (5768), pp. 105-117; Alberto Moshè Somekh, Matrimoni con non ebrei e conversioni, ibidem, pp. 93-104.
[6] Per una sintesi delle regole e delle problematiche storiche relative alle cerimonie di riammissione cfr. il mio articolo L’immersione rituale (tevilà) e la tonsura nel procedimento di riammissione dei convertiti: fonti e problemi, in Maddalena Del Bianco Cotrozzi, Riccardo Di Segni e Marcello Massenzio (a cura di), Non solo verso Oriente, Studi sull’ebraismo in onore di Pier Cesare Ioly Zorattini; Firenze, Leo S. Olschki 2014, pp. 179-186.
[7] Le cifre che risultano per il periodo fino al 1949, in particolare per gli anni del dopoguerra, presentano alcune differenze rispetto a quanto pubblicato nel precedente articolo, e definito allora provvisorio. Ciò è dovuto alla più precisa identificazione in base a nuovi dati, che ha spostato nel campo delle riammissioni diversi casi classificati inizialmente come conversioni di minori. Non cambia comunque la struttura dei fenomeni già descritti e commentati.
[8] Il problema si è posto nel rabbinato italiano agli inizi del Ventesimo secolo, quando sono diventati rilevanti i fenomeni di matrimoni misti e, con questi, la necessità di definire la posizione religiosa dei figli. Diverse erano le motivazioni che orientavano le scelte delle famiglie e le loro richieste al rabbinato. In alcuni casi si trattava di un bilancio di forze tra i coniugi; in altri, l’appartenenza religiosa del figlio seguiva quella del padre, se maschio, o della madre se femmina; in altri casi ancora i figli seguivano la religione del padre (con il paradosso che chi nasceva ebreo da madre ebrea veniva battezzato e chi nasceva non ebreo veniva sottoposto a ghiur). In generale, alla fine del secolo scorso, la scelta del rabbinato italiano è stata quella di consentire ghiurim di minori anche in assenza del ghiur materno, su richiesta e consenso dei genitori, con diversi livelli di elasticità a seconda delle circostanze e del rabbino giudicante, basandosi, ovviamente, sulle aperture concesse dalla halakhà (v. paragrafo 2). A Roma questo tipo di scelte è stato numericamente contenuto fino al rabbinato romano di rav Elio Toaff (1951-2001), quando il fenomeno è esploso. Negli anni Novanta, però, un’ondata di critiche pervenute da ambienti esteri e italiani in linea con approcci più rigorosi (e basati sulle motivazioni spiegate nel paragrafo 2), ha portato a una brusca inversione di tendenza a Milano, con le decisioni pubblicate da rav Giuseppe Laras; mentre a Roma la situazione restava sostanzialmente invariata. Da quando chi scrive è stato eletto Rabbino Capo di Roma, in considerazione del fatto che fuori dall’Italia, nel mondo ortodosso, la conversione dei minori era una procedura di fatto arrestata e priva di riconoscimento si è avviato un percorso progressivo verso il ghiur consapevole in età adulta.
[9] Sergio Della Pergola, Matrimoni ebraici e matrimoni misti nella Comunità di Roma 1926-1975, in Elio Toaff (a cura di), «Annuario di Studi Ebraici», 1975-1976, Roma, Sabbadini 1977, pp. 121-143.
[10] Ci si riferisce qui al numero dei nati che risulta dalla statistica elaborata dall’archivio elettronico; tale numero risulta superiore a quello che si ricava, nello stesso anno (2016), estraendo da detto archivio gli elenchi degli iscritti: per il periodo considerato si passa da 6058 a 5143, con una riduzione del 15%. La differenza è dovuta a decessi, dissociazioni e trasferimenti.
[11] V. la nota precedente; già a sei anni dall’anno di nascita può esserci un calo del 10%.
[12] In Italia il bat mitzwà è stato introdotto dalla seconda metà dell’Ottocento; v. Alberto Moshe Somekh, ESHET CHAYIL, Il Bat Mitzwah: storia di una “innovazione” rituale ebraica. In onore di Micol Ravà, Bat Mitzwah, Torino, Shabbat P. Ki Tavò 5758 (1998). Alcune famiglie molto ortodosse non lo celebrano, o lo fanno in modo differente dal costume comunitario comune, ma il tema esula dalla presente ricerca.
[13] ¹³ S. Della Pergola, Anatomia, cit., pp. 182-183.
[14] Tenendo conto dell’età del matrimonio come indicato nel 2002 da Sonnino, La popolazione, cit.; probabilmente negli anni più recenti l’età si è innalzata.
[15] Cfr. il mio articolo Battesimi e conversioni, cit.
[16] Dal 1945 al 1949, 51 casi; dal 1950 al 1965, 85 casi: dal 1966 al 1985, 43 casi; dal 1986 al 2005, 19 casi. Dal 1950, su 137 casi identificabili, i battezzati che risultano essere figli di entrambi genitori ebrei sono 72 (52%); di madre ebrea e padre non ebreo 16 (12%); di padre ebreo e madre non ebrea 49 (36%); l’origine mista coinvolge il 48%.
[17] Tabella 34 a pp. 152-153.
[18] Cfr. ad es. le considerazioni conclusive nell’articolo di Eugenio Sonnino, cit. Gli argomenti sono stati ripresi nella campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel 2016.
[19] Cfr. FINAL REPORT, cit., alla nota 2.
[20] «Among married Jews who report that only one of their parents was Jewish, fully 83% are married to a non-Jewish spouse. By contrast, among married Jews who say both of their parents were Jewish, 63% have a Jewish spouse and 37% have a non-Jewish spouse»; A Portrait of Jewish Americans: Findings from a Pew Research Center Survey of U.S. Jews, http://www.pewforum.org/2013/10/01/chapter-2-intermarriage-and-other-demographics/
Sul comportamento dei figli di unioni miste negli Stati Uniti, cfr. Theodore Sasson, Leonard Sax, Fern Chertok, Michelle Shain, Shahar Hecht, Graham Wright, Millennial Children of Intermarriage: Touchpoints and Trajectories of Jewish Engagement, Brandeis University Maurice and Marilyn Cohen Center for Modern Jewish Studies, 2015, all’indirizzo: https://www.brandeis.edu/cmjs/pdfs/intermarriage/MillennialChildrenIntermarriage1.pdf
Va notato peraltro che gli studiosi della Brandeis University, nella loro analisi delle conseguenze dei matrimoni misti, includono senza distinzione persone, in particolare minori, definite sia come «Jewish» sia come «partially Jewish». Quest’ultimo gruppo include discendenti di matrimoni misti che affermano un legame identitario esplicito con le origini di entrambi i genitori – per esempio essere ebreo e protestante allo stesso tempo. Il fenomeno è assai raro in Italia ma è diffuso in misura crescente negli Stati Uniti. Un’analisi che escluda quest’ultimo gruppo conduce a conclusioni ben diverse riguardo alla trasmissione di un’identità ebraica ai figli di matrimoni misti, ossia alla constatazione di un’erosione molto più forte e rapida di tali contenuti identitari. Si veda in proposito: Sergio Della Pergola, End of Jewish/Non-Jewish Dichotomy? Evidence from the 2013 Pew Survey, in Arnold Dashefsky, Ira Sheskin (a cura di), American Jewish Year Book, 114, Dordrecht, Springer 2014, pp. 33-39.
[21] In particolare le istituzioni di controllo come la Rabbanut ha-rashit, il rabbinato centrale d’Israele, che stabilisce i criteri per l’accettazione di ebrei che intendono trasferirsi o sposarsi in Israele, e la Conference of European Rabbis, che stabilisce i criteri per molti tribunali e rabbinati europei.
