Ariel Viterbo
Il conflitto tra il sionismo e il mondo arabo è un conflitto tra un movimento di liberazione nazionale atipico e un’insieme di nazioni di grande cultura e dal grande passato, le quali da più di cento anni rifiutano di riconoscere il diritto degli ebrei ad uno stato proprio. La storia del conflitto è stata segnata da innumerevoli occasioni nelle quali gli stati arabi e il popolo palestinese hanno rinnovato con atti e parole il loro rifiuto. Errori lungo il cammino della storia ne hanno fatti entrambe le parti ed è inutile tornarci sopra. Tentativi di mediazione, trattative, conferenze di pace, incontri al vertice si sono alternati a guerre, attentati, insurrezioni armate.
Oggi in un periodo di relativa calma e di grandi minaccie, si è tornati a trattare, seppur con esitazioni e poche prospettive. Ma la soluzione del conflitto non verrà dagli incontri degli attuali leaders dei due popoli, deboli ed incerti almeno quanto il loro padrino americano. Se verrà, passerà attraverso il supermercato dove faccio la spesa e attraverso una moschea danneggiata da ignoti vandali.
Io sono un colono, abito in un insediamento israeliano nei territori occupati, 15 km a sud di Gerusalemme. Colline verdi che scendono a ovest verso il Mar Mediterraneo, a est verso il deserto della Giudea e il Mar morto. La zona è quella di Gush Ezion, un gruppo di insediamenti abitati in prevalenza da famiglie giovani, di israeliani e nuovi immigranti. Qui c’erano insediamenti ebraici ancora prima del 1948, distrutti poi dai giordani nella guerra d’Indipendenza. Per questi motivi, storici e geografici, la zona è considerata parte del “consenso”: anche nel futuro accordo di pace resterà in mani israeliane, sarà parte dello Stato d’Israele. Consenso, sia chiaro, solo israeliano: per i palestinesi è territorio da liberare. In attesa della pace, israeliani e palestinesi vivono fianco a fianco, nei cantieri, sulle strade, nei negozi.
Qualche mese fa una grande catena commerciale israeliana ha aperto un nuovo supermercato accanto al mio insediamento. È sulla strada principale, fuori dal recinto, in posizione centrale ed accessibile a tutti, israeliani degli insediamenti e palestinesi dei villaggi. Ed infatti, andando a fare la spesa, ci si imbatte in intere famiglie palestinesi, felici di scoprire un pezzo del paradiso consumistico degli ebrei. Nel parcheggio, tra gli scaffali di scatolette e i frigoriferi dei surgelati, nelle fila alla cassa, l’arabo si confonde coll’ebraico e l’inglese. Anche fra i dipendenti ci sono molti plaestinesi. La pace discesa in terra direttamente dal paradiso dei consumi? No, ma la convivenza è quotidiana, si fa normalità. Lascia pensare che sia possibile continuare così: incontrarsi al supermercato e non sul campo di battaglia.
Ma non tutto è cosi semplice. A pochi chilometri di distanza dal supermercato, nel villaggio di Bet Fajar, qualche giorno fa, ignoti vandali hanno appiccato il fuoco ad una moschea, danneggiandone l’interno e bruciando libri. Un atto stupido ed inutile, interpretato come vendetta di coloni (estremisti? pazzi? provocatori?), a seguito di alcuni recenti attentati. La polizia indaga, ancora non si sa chi l’abbia fatto. Anche senza la certezza della colpevolezza ebraica, i coloni della zona non hanno aspettato e hanno condannato la profanazione della moschea. Una delegazione di rabbini locali, tra i quali rav Aharon Lichtenstein and Shlomo Riskin, fra i più noti leaders religiosi della zona e dell’intero settore dell’ortodossia moderna, si è recata alla moschea in visita di solidarietà con gli abitanti del villaggio, recando libri nuovi al posti di quelli bruciati.
A metà strada fra il villagggio e gli insediamenti, nell’incrocio accanto al quale si trova il supermercato, si è tenuta una manifestazione di protesta, comune a coloni e a palestinesi. Protesta contro la violenza gratuita scatenatasi su un luogo di preghiera. Inizio di una nuova comprensione fra vicini di casa? No, dopo la manifestaziomne ciascuno è tornato a casa sua, vicino e lontanissimo. Ma è un altro, piccolo segno che la pace non passa attraverso i vertici dei leaders pilotici. Passa per i supermercati e attraverso le manifestazioni per un Corano bruciato, si fa vita quotidiana quando prescinde dalle trattative degli statisti. Si fa, in silenzio, scegliendo il gusto dello yoghurt e sorridendo al bambino della famiglia palestinese che compra il latte.
7 ottobre 2010