Le regole sui doni ai poveri (capp.7 -10) – Maimonide
Tzedakà e Mishpàt – Aron Barth
Tzedakà: più della carità- Nachum Amsel
Le regole sui doni ai poveri (capp.7 -10) – Maimonide
CAPITOLO 7
1. E’ un precetto positivo dare la Tzedakà ai poveri in ragione di quanto è dovuto al povero, se chi dà ne ha la facoltà, come è detto (Deut. 15: 8) “Aprirai la tua mano”, ed è detto (Lev. 25: 35) “Manterrai il forestiero, il residente e colui che vive con te”, ed è detto inoltre (Lev. 25: 36) “Vivrà con te il tuo fratello”.
2. Chiunque veda un povero che mendica e fa finta di niente e non gli dà la Tzedakà contravviene ad un precetto negativo ed è detto (Deut. 15: 7) “Non indurire il tuo cuore e non chiudere la tua mano verso il tuo fratello povero”.
3. Si è obbligati a dare al povero secondo quanto gli manca: se non ha vestiti, lo si veste; se non ha utensili per la casa gli si comprano; se non ha una moglie, lo si fa sposare; ugualmente se è una donna la si fa sposare ad un uomo. Perfino se questo povero aveva in precedenza l’abitudine di andare a cavallo con un servo che lo precedeva, e si è impoverito e ha perso i suoi beni, gli si compra un cavallo ed un servo che lo preceda, come è detto (Deut. 15: 15): “A seconda di quanto gli è venuto a mancare”. E tu sei obbligato a ricostituire ciò che gli manca, ma non sei obbligato ad arricchirlo.4. Ad un orfano che si deve sposare gli si affitta una casa, gli si fa trovare un letto e tutto il corredo, dopodiché lo si fa sposare.
5. Se un povero viene a chiedere ciò che gli manca, e il donatore non ne ha la possibilità, gli dà a seconda delle sue facoltà; e quanto gli deve dare? Fino a un quinto1 dei suoi averi è l’optimum della mizvà; un decimo dei suoi averi è una quantità media; meno di questo significa dare di malavoglia. In ogni caso non si deve dare meno di un terzo di siclo all’anno. Chi dà meno di questa cifra non adempie al precetto. Perfino il povero che vive di Tzedakà deve dare Tzedakà ad un altro.
6. Un povero che non si conosce e dice: “Ho fame! Datemi da mangiare”, non si controlla se è un truffatore, ma gli si dà immediatamente del cibo. Se invece è nudo e dice “rivestitemi!” si controlla che non sia un truffatore. Ma se lo si conosceva, lo si riveste a seconda del suo status, senza fare alcun controllo.
7. Si dà cibo e vestiti ai poveri non ebrei come agli ebrei, in segno di pace. Al povero che mendica di porta in porta non si dà un dono grande ma piccolo, ed è vietato mandarlo via a mani vuote, anche a costo di dargli solo l’equivalente di un fico secco come è detto (Salmi 74: 21): “il misero non tornerà rosso per la vergogna”.
8. Al povero che vagabonda da un posto all’altro per chiedere l’elemosina, non si dà meno dell’equivalente di una pagnotta venduta alla locanda quando il grano costa quattro se’in per sela, e già abbiamo spiegato queste misure 2. E se deve dormire gli si fornisce un giaciglio, un cuscino da mettere sotto la testa, olio e legumi. Se è sabato gli si fornisce cibo per tre pasti, olio, legumi, pesce e verdura. E se lo si conosce gli si fornisce a seconda del suo status.
9. Al povero che non vuole prendere la Tzedakà lo si inganna e gliela si dà a titolo di dono o di prestito. Al ricco avaro che è pronto a soffrire la fame e la sete per non disperdere i suoi beni non si presta attenzione.
10. A chi non vuole dare Tzedakà o ne dà meno di quanto deve, Il tribunale lo obbliga e lo condanna alla fustigazione come ribelle finchè non ne dà quanto hanno stabilito che dia. E gli si pignorano i beni in ragione di quanto deve, e si può pignorare per Tzedakà perfino alla vigilia del Sabato.
11. Se un uomo benestante dà Tzedakà più di quanto deve, o se, per non vergognarsi, si sacrifica per dare agli esattori, è vietato andare a cercarlo per esigere da lui la Tzedakà. L’esattore che gli chiede qualcosa e così facendo lo offende, deve aspettarsi una giusta punizione secondo quanto è detto (Geremia 30: 20): “E Mi ricorderò di tutti i suoi oppressori”.
12. Non si obbligano gli orfani a dare Tzedakà perfino per il riscatto dei prigionieri, e perfino se hanno molti beni, ma se il giudice li obbliga per dar loro onore è permesso. Gli esattori di Tzedakà devono prendere poco e non molto dai servi, dalle donne e dai minori, poiché verrebbe considerato un furto o peggio una rapina. E quanto è poco? Tutto dipende dalla ricchezza o la povertà dei rispettivi padroni o mariti o tutori.
13. Il parente povero ha la precedenza su ogni altro uomo. I poveri della propria casa precedono i poveri della propria città. I poveri della propria città precedono i poveri delle altre città. Come è detto (Deut. 15: 11): “Al tuo fratello, al tuo povero, e al misero del tuo paese” 3.
14. Chi viaggia per fare del commercio, e giunge in una città i cui abitanti gli impongono la Tzedakà, la dà ai poveri di quella città. Se [i viaggiatori] sono più di uno e [gli abitanti della città] impongono loro la Tzedakà, la danno; e quando tornano alla propria città, se la portano con loro e con quella mantengono i poveri della loro città 4. E se lì c’è un compaesano, la danno al compaesano e lui la distribuisce a suo giudizio.
15. Se uno dice 5 “date duecento dinari alla sinagoga” o “date un sefer torà alla sinagoga” la si dà alla sinagoga [in cui lui prega] abitualmente, e se ne frequenta due, li si dà a tutte e due. Se dice “date duecento dinari ai poveri” li danno ai poveri della città in cui abita.
CAPITOLO 8
1.La Tzedakà rientra nella regola dei nedarim (voti). Perciò se uno dice: “Mi impegno che questo sela sia per Tzedakà” o “Questo selaè per Tzedakà”, ha l’obbligo di darlo ai poveri immediatamente; e se ritarda a darlo, contravviene al precetto negativo “Non ritardare”, poiché ha la possibilità di dare subito e i poveri non mancano. E se non ci sono poveri, lo mette da parte finchè non trova dei poveri. E se ha posto la condizione che non lo darà finchè non trova un povero, non ha bisogno di metterlo da parte. E così se, quando ha fatto il voto di Tzedakà, ha posto la condizione, o ha espresso il voto che sia permesso agli esattori di “spicciolarlo” o di cambiarlo con monete più grandi, ciò è permesso agli esattori.
2. Chi fa un voto di Tzedakà indiretto è obbligato esattamente come per qualsiasi altro voto. Com’è il caso? Se ha detto: “Questo sela’ è come quell’altro” anche questo è Tzedakà. Chi mette da parte un sela’ e dice “questo è per Tzedakà”, poi ne prende un altro e dice: “anche questo”, anche il secondo è per Tzedakà nonostante che non abbia specificato [che è per Tzedakà].
3. Chi fa un voto di Tzedakà e non sa quanto ha deciso di dare, dia finchè non dice: “Non era questo quanto mi ero prefisso”.
4. Chi dice “questo sela’ è per Tzedakà” o dice “darò un sela’ in Tzedakà” e lo mette da parte: se lo vuole cambiare con un altro, può farlo. Ma se è già arrivato in mano all’esattore, è vietato. Se gli esattori vogliono unire le monete per farne dinari non possono, a meno che non ci siano lì dei poveri a cui distribuirle, in tal caso possono unirle con altre monete [della Tzedakà], ma non con le loro.
5. Se per costringere la gente a dare Tzedakà, l’esattore trattiene il denaro e questo procura un vantaggio ai poveri, all’esattore è permesso prendere in prestito i soldi dei poveri e ripagarli, dato che la Tzedakà non è come l’hekdesh [oggetto consacrato al Santuario] dal quale è proibito godere.
6. Se uno offre una lampada o un lume alla sinagoga, è vietato cambiarla. Ma se è per il compimento di una mizvà, si può cambiare. Anche se il nome del donatore non è inciso su di essa, ma semplicemente viene detto “questa è la lampada (o il lume) del tal dei tali”. Ma se è caduto da essa il nome del donatore, la si può cambiarla anche per una cosa facoltativa.
7. Tutto ciò è valido se il donatore è ebreo, ma se è un gentile è vietato cambiarla finche non cada il nome del donatore da essa, affinché non dica il gentile: “ho donato qualcosa alla sinagoga degli ebrei e loro l’hanno venduta per loro tornaconto!”.
8. A priori non si accetta l’offerta di un gentile per la manutenzione del Tempio, ma se la si è già presa non si restituisce. Se era una cosa specifica, come una trave o un mattone, la si restituisce affinché non ci sia qualcosa di loro propietà nel santuario, come è detto (Ezra 4: 50): “non [spetta] a voi e a noi [insieme costruire il Santuario]…”. Però per la sinagoga si accetta anche a priori, a patto che dica: “Ho donato secondo la volontà di Israele”, e se non l’ha detto si deve comunque mettere da parte [l’offerta] perché la sua intenzione poteva essere giusta. Ugualmente non si accetta da loro [un’offerta] nè per le mura di Gerusalemme nè per le cisterna, come è detto (Nechemia, 2,20): “E non ci sarà parte vostra, nè ricordo in Gerusalemme”.
9. E’ vietato all’ebreo prendere Tzedakà dal gentile in pubblico. Ma se non può vivere con la sola Tzedakà degli ebrei, e non può prenderla dai gentili in privato, gli è permesso. E se un re o un principe dei gentili ha mandato una somma agli ebrei per Tzedakà, non la si restituisce per evitare contrasti con il governo, ma la si prende e la si ridistribuisce ai poveri gentili senza che il governo lo venga a sapere.
10. Il riscatto dei prigionieri precede il sostentamento e il vestimento dei poveri. E non c’è mizvà più grande del riscatto dei prigionieri, poichè il prigioniero rientra nella categoria degli affamati, degli assetati, degli ignudi ed è in pericolo di vita. Chi si disinteressa di un riscatto infrange i seguenti precetti negativi: “Non indurire il tuo cuore e non chiudere la tua mano…” (Deut. 15: 7), “non restare immobile di fronte al sangue del tuo prossimo” (Lev. 19: 16), “non farlo soffrire duramente davanti ai tuoi occhi” (Lev. 25: 53). E trasgredisce i seguenti precetti positivi: “Aprirai a lui la tua mano” (Deut. 15: 8), “E il tuo fratello vivrà con te” (Lev. 25: 36), “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lev. 19: 18). E anche “salva coloro che sono condotti a morte” (Prov. 24: 11). E molti altri ancora. E non c’è mizvà maggiore del riscatto dei prigionieri.
11. Se i cittadini hanno raccolto del denaro per la costruzione di una sinagoga, e vengono a sapere di una mizvà da compiere, spendano i soldi per la mizvà. Se hanno già comprato travi e mattoni non li vendano per compiere una mizvà se non per il riscatto dei prigionieri. Ma se hanno già finito di costruire, non vendano la sinagoga, ma esigano il riscatto dalla collettività.
12. Non si riscattano le persone rapite pagando un prezzo superiore al loro valore, per il buon andamento della società, in modo che i nemici non li perseguitino per rapirli. Allo stesso modo, sempre per il buon andamento della società, non si cerca di far fuggire le persone rapite, in modo che i nemici non aumentino il giogo o appesantiscano la sorveglianza.
13. Chi ha venduto se stesso e i suoi figli ai gentili, o ha contratto debiti per i quali li hanno imprigionati, la prima e la seconda volta è mizvà riscattarli, la terza no. Però si riscattano i figli dopo la morte del padre. Ma se lo hanno condannato a morte, lo si riscatta anche dopo molte volte.
14. Lo schiavo che sia stato rapito, dato che ha fatto il bagno rituale per diventare schiavo, ed ha accettato le mizvoth, lo si riscatta come un ebreo prigioniero. Ma un prigioniero [ebreo] che si è convertito al paganesimo anche per una sola cosa, come per esempio per mangiare carne non kasher di proposito, o cose simili, è vietato riscattarlo.
15. La donna ha la precedenza sull’uomo per quanto riguarda la nutrizione, il vestimento, e la liberazione dalla prigionia. Poiché è costume dell’uomo cercare le donne, mentre non è così per la donna e il suo disagio è più grande. E se sono entrambi prigionieri e costretti a prostituirsi, bisogna riscattare l’uomo perché [la prostituzione dell’uomo] è meno comune 6.
16. Se si devono far sposare sia un’orfano che un orfana, si fa sposare prima la donna perché il suo disagio è più grande. E non gli diano meno dell’equivalente di sei dinari e un quarto d’argento puro. E se nella cassa di Tzedakà c’è abbastanza gli si dà secondo il suo status.
17. Se si hanno di fronte molti poveri o molti prigionieri, e non si ha abbastanza per nutrirli, vestirli o riscattarli tutti, Il Cohen precede il Levi, il Levi [precede] l’Ebreo, l’Ebreo [precede] il Cohen decaduto, il Cohen decaduto [precede] il figlio di padre ignoto, il figlio di padre ignoto [precede] il figlio di madre ignota, il figlio di madre ignota [precede] il mamzer 7, il mamzer [precede] il Gabaonita, il Gabaonita [precede] il proselita, in quanto il Gabaonita è cresciuto assieme a noi in santità, il proselita [precede] lo schiavo liberato perché quest’ultimo è incluso nella maledizione di Cam.
18. Quando si applica tutto ciò? quando sono entrambi uguali in saggezza, ma se un gran sacerdote è un ignorante e un mamzer uno studioso, lo studioso ha la precedenza. E chiunque sia più grande in saggezza precede il suo compagno. E se uno di loro era suo padre o il suo maestro, nonostante ci sia lì una persona che è più grande in saggezza [del padre o del maestro], il padre o il maestro di colui hanno la precedenza.
CAPITOLO 9
1. In ogni città dove ci siano ebrei c’è l’obbligo di nominare tra loro dei gabbaim (esattori) di Tzedakà, persone conosciute e di fiducia che corrano dietro al popolo da una vigilia del Sabato all’altra e prendano da ognuno quanto spetta ed è stabilito. E loro distribuiscono i denari ogni vigilia di Sabato e danno ad ogni povero alimenti sufficienti per una settimana. Questa è chiamata Kuppà (Cassa).
2. E inoltre si nominano degli esattori che prendono di giorno in giorno da ogni cortile pane ed altri cibi o frutta o denaro dalle persone pronte ad offrire, e alla sera dividono la raccolta tra i poveri e danno ad ogni povero gli alimenti giornalieri. Questo è chiamato Tamchui (Sostentamento).
3. Mai e poi mai abbiamo visto o sentito di una comunità di Israele che non abbia una Kuppà di Tzedakà. Però per quanto riguarda il Tamchui ci sono posti dove si usa e posti in cui non si usa. Ed oggi l’uso comune è che gli esattori della Kuppà raccolgano ogni giorno e dividano alla vigilia del Sabato.
4. Durante i digiuni si distribuisce il cibo ai poveri. E per ogni digiuno in cui la gente ha mangiato e si è trattenuta dal distribuire la Tzedakà ai poveri, è considerata come gente assassina, com’è scritto nei libri dei Profeti (Isaia 1,21): “La giustizia (Zedeq) pernottava in essa, mentre ora vi sono assassini”. A quando si applica ciò? Quando non gli si è dato il pane e la frutta che si accompagna al pane come, ad esempio, datteri o uva. Ma se hanno ritardato [a dare] del denaro o del grano non vengono considerati assassini.
5. La Kuppà deve essere raccolta almeno da due persone, poiché non si fa una imposizione riguardante beni al pubblico in meno di due persone. E’ permesso affidare ad uno solo i soldi della Kuppà.E si distribuisce in tre perché [per la Tzedakà] si applicano le regole del diritto civile, poiché si dà a ciascuno quanto gli manca per quella settimana. E il Tamchui si esige in tre perché non è una cosa fissa e si distribuisce in tre.
6.Il Tamchui si esige ogni giorno, la Kuppà di settimana in settimana. Il Tamchui è per tutti i poveri del mondo, la Kuppà solo per quelli della città.
7. I cittadini hanno il diritto di trasformare il Tamchui in Kuppà e la Kuppà in Tamchui. E di variare a loro piacimento secondo i bisogni della collettività, anche se queste non erano le condizioni al momento dell’esazione. E se c’è nel paese un grande Maestro si esige secondo il suo giudizio e lui distribuisce ai poveri a sua discrezione. Egli ha la facoltà di variare a suo piacimento secondo i bisogni della collettività.
8. Gli esattori non possono separarsi l’uno dall’altro quando sono per la strada, però possono stare uno sulla porta e l’altro all’interno della bottega mentre esigono.
9. Se un esattore trova dei soldi al mercato non li metta in tasca sua ma nel borsello della Tzedakà, li prenderà poi, quando torna a casa.
10. Se un esattore riscuote un suo debito da un suo compagno al mercato non metta i soldi nella propria tasca, ma nel borsello della Tzedakà, li prenderà poi, una volta tornati a casa. E non conti i soldi della Kuppà a due a due bensì a uno a uno, a causa del sospetto [che potrebbe generare questo modo di contare], come è detto (Numeri 32:22): “Siate limpidi nei confronti di D-o e di Israele”
11. Degli esattori di Tzedakà che non hanno poveri a cui distribuire cambiano le monete in dinari agli altri, ma non a loro stessi. Degli esattori di Tamchui che non hanno poveri a cui distribuire, possono vendere [i cibi raccolti] ad altri, ma non a loro stessi. E non si controlla la Tzedakà agli esattori, nè le donazioni ai cassieri della sinagoga come è detto (II Re 22: 7): “Tuttavia non si esiga resoconto da loro dell’argento rimesso nelle loro mani, poichè essi agiscono onestamente”.
12. A chi risiede in una città per trenta giorni, lo si obbliga a dare Tzedakà per la Kuppà assieme agli abitanti della città. Se risiede per tre mesi lo si obbliga a dare Tzedakà per il Tamchui. Se risiede per sei mesi, lo si obbliga a dare Tzedakà per i vestiti con cui si vestono i poveri. Se risiede per nove mesi, lo si obbliga a dare Tzedakà per la sepoltura dei poveri e per tutto ciò che è connesso alla sepoltura.
13. Chi ha cibo per due pasti non può prendere dal Tamchui. Chi ha cibo per quattordici pasti non può prendere dalla Kuppà. Chi ha duecento zuzim, nonostante non li usi per commercio, (o ne ha cinquecento con cui commercia) non prenda nè la spigolatura, nè l’angolo del campo, nè la decima del povero. Se ne ha duecento meno un dinaro, perfino se mille persone gli danno tutte insieme, gli è permesso prendere. Se ha dei soldi che deve restituire o che sono impegnati nella ketubà di sua moglie, gli è permesso prendere [nonostante siano ipotecati].
14. Un povero bisognoso che possiede un abitazione e utensili per la casa, perfino se possiede utensili d’argento o d’oro non può essere obbligato a vendere la casa o gli oggetti di uso comune, e gli è permesso prendere [la Tzedakà]. Ed è mizvà dargliela. Quand’è che si applica questa regola? Per gli oggetti che servono a mangiare, bere, vestirsi, dormire o cose del genere. Ma se gli oggetti preziosi sono per esempio una spazzola da bucato o una macina o cose del genere, li deve vendere e comprarne di più economici. Ciò è valido prima che venga a prendere la Tzedakà dalla gente, ma dopo che ha già preso della Tzedakà, lo si obbliga a vendere i suoi utensili e a comprarne di più economici. Dopodiché può prendere la Tzedakà.
15. Una persona non povera che va di città in città e finisce i soldi per strada e non ha più di che mangiare, ha il permesso di prendere dalla ‘spigolatura’ , dall’ angolo del campo’, dalla decima dei poveri, e di godere della Tzedakà. E quando torna a casa non deve pagare perché in quel momento era povero. Ciò è analogo al caso del povero che si è successivamente arricchito e non deve ripagare [la Tzedakà].
16. Se uno possiede case, campi e vigne, che vendendoli nel periodo della pioggia gli vengono sottovalutati, mentre, invece, vendendoli nel periodo estivo, li vende al loro giusto prezzo, non lo si può obbligare a vendere, ma lo si alimenta con la decima del povero fino a metà del valore [dei suoi campi…], affinché non sia costretto a vendere nel periodo sfavorevole.
17. Se tutti comprano a un prezzo alto, e lui non trova a chi vendere, se non a un prezzo basso, perché è costretto e preoccupato, non lo si obbliga a vendere, ma continua a mangiare dalla decima del povero finché non vende, in modo che tutti sappiano che non è costretto a vendere.
18. Un povero per il quale sia stato raccolto ciò che gli manca, ma hanno raccolto più di quanto lui avesse bisogno, il sovrappiù è suo. E il sovrappiù dei poveri va ai poveri. E il sovrappiù dei prigionieri va ai prigionieri. E il sovrappiù di un prigioniero va a lui stesso. E il sovrappiù dei morti va ai morti. E il sovrappiù di un morto va ai suoi eredi .
19. Se un povero dà una monetina al Tamchui o una monetina alla Kuppà, la si accetta. E se non la dà, non lo si obbliga a darla. Se gli hanno dato dei vestiti nuovi, e lui dà indietro quelli usati, li si accetta. E se non li dà, non lo si obbliga a darli.
CAPITOLO 10
1. Dobbiamo stare attenti al precetto della Tzedakà più di ogni altro precetto affermativo, perché la Tzedakà è il simbolo del giusto, discendenza di Abramo nostro padre, come è detto (Gen. 18: 19): “Poiché Io l’ho prescelto per ordinare ai suoi figli di fare giustizia (Tzedakà)”. E né il Trono d’Israele è stabile, né la vera fede si sorregge, senza Tzedakà, com’è detto(Isaia 54: 14): “Con la giustizia (Tzedakà) sarai stabile”. E Israele non può essere redento senza Tzedakà, come è detto (Isaia 1: 27): “Sion sarà riscattata col diritto, e i suoi esuli con la giustizia (Tzedakà)”.
2. Un uomo non si impoverirà mai per la Tzedakà, né può essere una cosa cattiva, nè viene danneggiato dalla Tzedakà, come è detto (Isaia 32: 17):”E l’opera di Tzedakà sarà di pace”. E chiunque abbia pietà, è a sua volta degno di pietà, come è detto (Deut 13: 18): “E ti darà pietà, avrà pietà di te e ti moltiplicherà”. E chiunque sia crudele, e non abbia pietà deve temere per i suoi beni, perché la crudeltà si trova solo presso i gentili, com’è detto (Geremia 50: 42): “Loro sono crudeli e non hanno pietà”, e tutti gli israeliti e chi si unisce a loro sono fratelli, come è detto (Deut. 14: 1):”voi siete figli del Signore vostro D-o”. E se il fratello non avrà pietà del fratello, chi avrà pietà di lui? E verso chi guardano pieni di speranza i poveri di Israele? Forse verso i gentili che li odiano e li perseguitano? No! Guardano pieni di speranza solo verso i loro fratelli!
3. Chiunque si sottragga alla Tzedakà è chiamato malvagio, com’è chiamato malvagio l’idolatra. A proposito degli idolatri Lui dice (Deut. 13: 14): “Uscirono degli uomini malvagi”, e a proposito di chi si sottrae alla Tzedakà Lui dice (Deut 15: 9): “Sta bene attento a che non ci sia nulla di malvagio nel tuo cuore”. E viene chiamato cattivo, come è detto (Prov. 12: 10): “La pietà dei cattivi è crudeltà”. E viene chiamato peccatore, come è detto (Deut 15: 9): “E invocherà il Signore, e in te ci sarà peccato”. E il Santo, Benedetto Egli sia, è vicino al lamento dei poveri, come è detto (Giobbe 34: 28): “Il lamento dei poveri Tu ascolterai”. Perciò bisogna stare attenti al loro grido, dato che un patto è stabilito per loro, come è detto (Esodo 22: 26):”E avverrà che quando griderà a Me lo ascolterò, perché Io sono pietoso”.
4. Chi dà la Tzedakà ad un povero con il viso accigliato e lo sguardo in basso, anche se dà mille monete d’oro, perde il merito della mizvà. Invece gliele dia col viso gradevole e con gioia, e si lamenti con lui della sua disgrazia, come è detto (Giobbe 30: 25):”Non piangevo forse per chi passava giorni duri? La mia persona non si angustiava per il misero?”. E gli dica parole di conforto e consolazione, come è detto (Giobbe 29: 13): “il cuore della vedova rallegrerò”
5. Se un povero ti chiede, e non hai nulla in mano da dargli, consolalo con le parole. Ed è vietato maltrattare o sgridare un povero. Perché gli si romperebbe e gli si opprimerebbe il cuore, mentre Lui dice (Salmi 51: 19): “D-o non disprezzerà il cuore oppresso e rotto”. E inoltre dice (Isaia 57: 15): “Per ravvivare lo spirito degli umili, e per ravvivare il cuore degli oppressi”. E guai a chi fa arrossire il povero! Guai a lui!, Ma sia compassionevole sia nei sentimenti che nei fatti, come è detto (Giobbe 29: 16): “Io sono un padre per i miseri”.
6. Chi spinge gli altri a dare Tzedakà ha una ricompensa più grande di chi dà, com’è detto (Isaia 32: 17): “E l’opera di Tzedakà sarà di pace”. E a proposito degli esattori di Tzedakà e dei loro simili dice (Daniele 12: 50): “Coloro che fanno giustizia a molti, sono come le stelle”.
7. Ci sono otto livelli successivi di Tzedakà. Il più alto di tutti è quello di chi prende per mano un ebreo povero e gli dà un dono o un prestito, o fa una società con lui, o gli trova un lavoro, in modo che lo rafforza, fino a che non abbia più bisogno di chiedere agli altri. e a proposito di questo è detto (Lev. 25: 35): “Manterrai il forestiero, il residente e colui che vive con te”, cioè mantienilo affinché non cada più né abbia più bisogno.
8. Il livello inferiore a questo è quello di chi dà Tzedakà ai poveri, senza sapere a chi vanno, nè il povero sa chi ha dato. Perché questa è una mizvà fatta senza alcun secondo fine. Come ad esempio la sala dei segreti’ che c’era nel Santuario, nella quale i giusti davano in segreto, e i poveri di buona famiglia 8 ne traevano sostentamento in segreto. Simile a questo è il dare alla Kuppà di Tzedakà. E’ bene non dare alla Kuppà di Tzedakà, se non si è sicuri che il responsabile è fidato e saggio e sa ben amministrare come rabbì Chananià figlio di Teradion.
9. Il livello inferiore a questo è quello in cui il donatore sa a chi dà, ma il povero non sa da chi prende, come facevano i più grandi maestri che andavano in segreto ad infilare le monete sotto le porte dei poveri. Ed è una buona cosa da farsi, quando gli incaricati della Tzedakà non si comportano come si deve.
10. Il livello inferiore a questo è quello in cui il povero sa da chi prende, ma il donatore non sa a chi da , come facevano i più grandi maestri che mettevano le monete dentro dei teli e le facevano cadere dietro di loro cosicché i poveri venissero a prenderle senza vergognarsi.
11. Il livello inferiore a questo è quello in cui si dà prima che venga chiesto.
12. Il livello inferiore a questo è quello in cui si dà dopo che viene chiesto.
13.Il livello inferiore a questo è quello in cui si dà meno del dovuto, ma con buon viso.
14. Il livello inferiore a questo è quello in cui si dà con rammarico.
15. I più grandi maestri usavano dare una monetina al povero prima di ogni preghiera, e solo dopo pregavano, come è detto (Salmi 17: 15): “guarderò la Tua faccia con giustizia(Zedeq)”.
16. Chi passa gli alimenti ai suoi figli e figlie maggiorenni, ai quali non è tenuto a passare alimenti, per insegnare Torà ai maschi, o perchè le figlie si comportino bene e non vengano disprezzate; parimenti chi passa gli alimenti al padre e alla madre, tutti questi casi rientrano nella regola della Tzedakà. Ed è una grande Tzedakà, perché il parente ha la precedenza. E chiunque faccia mangiare e bere i poveri e gli orfani alla sua tavola, invoca il Signore che gli risponde, e ne ha godimento, come è detto (Isaia 55: 9): “Allora invocherai e il Signore risponderà”.
17. Hanno ordinato i Maestri che i familiari poveri o orfani di un uomo vengano al posto dei servi. E’ preferibile per lui servirsi di quelli, in modo che i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe godano dei suoi beni, e non ne godano i discendenti di Cam. Poiché chiunque esageri quotidianamente in servitù, aggiunge colpa e peccato al mondo, mentre se sono i poveri della sua casa, aggiunge meriti e mizvoth.
18. Non si metta mai un uomo nella condizione di rovinarsi, da aver bisogno degli altri, nè lo si metta a carico della collettività. E così hanno ordinato i Maestri: “Fai del tuo sabato un giorno feriale, ma non ricorrere all’aiuto degli altri” 9. E perfino se è saggio e onorato, ma povero, cerchi un lavoro, anche un lavoro umile, ma non abbia bisogno degli altri. E’ preferibile che scuoi la pelle delle carogne di animali , piuttosto che dica: “io sono un grande saggio, sono un sacerdote, mantenetemi!”. Così hanno ordinato i Maestri. Tra i più grandi Maestri c’erano taglialegna, portatori di travi, attingitori d’acqua ai giardini, fabbri e carbonai, e non chiedevano nulla alla collettività, né accettavano nulla quando gli veniva offerto.
19. Chiunque non abbia bisogno e inganni il popolo prendendo [la Tzedakà], non muore di vecchiaia finché non abbia veramente bisogno. E rientra nella categoria di “maledetto l’uomo che ha fede nell’uomo” (Geremia 17: 5), ma chiunque abbia bisogno di prendere e non può vivere senza prendere, come ad esempio l’anziano, o il malato, o l’handicappato, e fa il superbo, e non prende, costui è uccide se stesso, e fa diventare la sua disgrazia una colpa. E chiunque ha il diritto di prendere ma si dispiace e rinvia l’ora, e fa una vita disgraziata per non disturbare la collettività, non morrà di vecchiaia finche non avrà alimentato gli altri coi suoi beni. A proposito di lui e di casi simili è detto (Geremia 17: 7): “benedetto l’uomo che ha fede in D-o”.