“L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: ‘Ordina ad Aronne e ai suoi figli e di loro: Questa è la legge dell’olocausto’. L’olocausto rimarrà sulle legna accese sopra l’altare tutta la notte, fino al mattino; e il fuoco dell’altare sarà tenuto acceso” (Levitico 6:1-2). L’obiettivo finale del culto del Tabernacolo è l’Hashraat Shechinah/portare la Presenza Divina nel mondo fisico. Questo obiettivo è connesso ai fenomeni unici dell’ispirazione divina e della profezia; la presenza di Dio nel Tempio è parallela alla dimora della profezia nella mente del profeta. In particolare, l’offerta Olah/olocausto, completamente bruciata sull’altare, corrisponde al più alto livello di comunicazione tra noi e Dio, un livello sublime in cui il mondo materiale non ha alcuna rilevanza. Proprio come il fuoco dell’altare consuma completamente l’aspetto fisico dell’offerta, così l’incontro spirituale che avviene con la profezia trascende completamente la nostra esistenza fisica.
Esaminando il servizio legato all’offerta Olah/olocausto, possiamo capire la sua connessione con l’esperienza profetica. L’offerta quotidiana “Tamid” si deve consumare completamente sul fuoco sull’altare durante la notte. Delle ceneri dell’offerta, il giorno seguente, un Kohen, prima ne depone una palata accanto all’altare, poi per smaltire il resto, si cambia con abiti meno importanti e quindi trasporta le ceneri in un luogo ritualmente pulito fuori dal campo.
Notiamo dunque che il servizio Olah/olocausto coinvolge tre diversi luoghi, con santità discendente:
1. Il fuoco sopra l’altare.
2. Il lato dell’altare, dove si pone una palata di ceneri.
3. Un luogo ritualmente pulito fuori dal campo per le ceneri rimanenti.
L’esperienza profetica è un divampare di fiamme sacre all’interno dell’anima umana, un’interazione divina che trascende la vita ordinaria. Questo evento straordinario corrisponde, nella sua prima fase, alla bruciatura notturna dell’offerta nel fuoco dell’altare.
Successivamente, il profeta espande l’impatto di questa alta esperienza, affinché possa influire sui suoi tratti caratteriali e sulla sua vita interiore. Questo sforzo corrisponde alla deposizione di alcune delle ceneri, trasformate dalle fiamme dell’altare, accanto all’altare. Questo è un livello secondario di santità, analogo a quegli aspetti della vita che sono vicini al santo stesso, dove le impressioni della visione sacra possono essere conservate allo stato puro.
L’espressione più bassa della visione profetica è nella sua rivelazione pubblica. Informare il popolo del contenuto del messaggio di Dio e quindi infondere la luce divina nella vita e nella moralità umana, avviene a un livello più periferico, fuori dal campo interno, al confine con il dominio della vita secolare. Simbolicamente questa fase è rappresentata dal Kohen che estrae le ceneri rimanenti e le trasferisce all’esterno. Anche quest’area, tuttavia, deve essere ritualmente pura, in modo che l’influenza del sacro servizio possa avere il suo impatto. Per il bene del suo messaggio pubblico, il kohen-profeta ha bisogno di discendere in qualche modo dal suo precedente stato di santità e di cambiarsi in abiti più modesti. Nel linguaggio metaforico dei maestri “gli abiti indossati da un servo mentre cucina per il suo padrone non dovrebbero essere usati quando serve il vino al suo padrone” (Shabbat 114a).
La Torà conclude la sua descrizione del servizio Olah/olocausto avvertendo che il fuoco dell’altare deve essere tenuto acceso continuamente perché “Il Kohen vi accenderà legna ogni mattina” (Levitico 6:5).
Perché parlarne adesso?
Perché è proprio in questo frangente, dopo che il Kohen-profeta ha lasciato il nucleo interiore della santità per occuparsi degli affari temporali della vita, deve essere consapevole del fuoco costante sull’altare. Nonostante il suo coinvolgimento con gli aspetti pratici e materiali della vita, il fuoco sacro deve continuare a bruciare nel cuore.
Questa è la caratteristica unica del fuoco dell’altare: da lontano, può riscaldare ed elevare ogni anima del popolo ebraico. Questo fuoco sacro è una forza potente e sacra che non può essere spenta, come scrisse anche il re Salomone: “Le acque potenti non possono spegnere l’amore; né i fiumi possono portarlo via” (Cantico dei Cantici 8:7).
Tuttavia, non è sufficiente che il fuoco sacro bruci solo nelle profondità del cuore.
E come possiamo garantire che le sue fiamme raggiungano tutti gli aspetti della vita e sopravvivano alle “potenti acque” della vita mondana?
Le istruzioni conclusive della Torà presentano la soluzione a questo problema: “Il Kohen vi accenderà legna ogni mattina”. Nuovi ceppi di legna devono alimentare le sacre fiamme dell’altare.
Un’espressione simile, una sorta di rifornimento spirituale quotidiano, si trova nelle parole del profeta Isaia (50:4): “Ogni mattina Egli risveglia il mio orecchio per ascoltare come fanno i discepoli”.
Ecco dunque la soluzione: avere la capacità di rinnovarsi nella Torà ogni giorno. Questo rinnovamento crea forza per nuove azioni e aspirazioni e risveglia un nuovo spirito di vita dal fuoco più interiore della nostra anima.
Questa settimana, il devar Torà ha una dedica speciale per nostro figlio Carlo, in occasione del conseguimento della sua Laurea Magistrale. Che il fuoco che è arso in te e ti ha portato a questo risultato, possa tu sempre alimentarlo e rinnovarlo, nella Torà certamente, ma anche nella via che sceglierai di percorrere da questo importante traguardo, che hai raggiunto con la piena soddisfazione tua e di coloro hanno condiviso questo momento, Shabbat Shalom!!